Un “Barbiere di Siviglia” spigliato e fantasioso porta una ventata di giovinezza nello Sferisterio


di Alberto Pellegrino

22 Ago 2022 - Commenti classica

Un “Barbiere di Siviglia” giovanile e spiritoso, che probabilmente sarebbe piaciuto anche a Rossini, ha completato il cartellone della 58° stagione di Macerata Opera Festival (12/14/19/21 agosto), che nel suo complesso si può valutare come una valida operazione culturale, nella quale si è voluto coniugare il teatro in musica con il cinema.

(Ph Luna Simoncini)

Questa volta è toccato alla televisione, che rimane il medium più popolare, interagire con l’opera lirica secondo un progetto vincitore di un bando 2020 per regia, scene e costumi rivolto ad artisti under35 indetto da Macerata Opera Festival in collaborazione con il ROF di Pesaro e Opera Europa, con una giuria presieduta da Graham Vick (1953-2021), a cui lo spettacolo è stato dedicato. Questo allestimento, progettato da Daniele Menghini (regia), Davide Signorini (scene), Nika Campesi (costumi), Simone de Angelis (luci) e Stefano Teodori (video) e previsto per il 2021, è stato inserito nel cartellone 2022 con felice intuizione dal nuovo direttore artistico Paolo Pinamonti.

Il Barbiere rossiniano oscura completamente l’algido Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello, ultimo esempio di una comicità ormai arcaica, anche se nel libretto si precisa di non voler “incorrere nella taccia d’una temeraria rivalità coll’immortale autore che lo ha preceduta”. Grazie invece al testo di Cesare Sterbini, brillante scrittore e amico del Belli, questo nuovo Barbiere si ricollega alla perfezione con Il Barbiere di Siviglia di Beaumarchais (1775), rivoluzionaria commedia del teatro borghese nella quale  soprattutto  Figaro e Rosina mettono in risalto una nuova personalità e una nuova psicologia di personaggi destinati a sovvertire la figura del “factotum” dell’opera buffa e della protagonista con una doppia natura (docile e furbissima) destinata a cambiare il tipo femminile dell’ingenua del primo Ottocento.

Del resto il regista Menghini ci tiene a precisare di aver tenuto presente il testo di Beaumarchais, il quale nasce figlio di un orologiaio e finisce segretario del re Luigi XV: “Figaro è il suo alter ego che compone testi e musica e si sceglie da sé il datore di lavoro. Figaro è il regista, il motore dell’azione, innesca il gioco teatrale che manda avanti la trama…l’ingegno messo in moto dalla bramosia di denaro (l’iniziativa privata borghese) fa sì che Figaro tiri almeno in parte le fila dell’intreccio…In qualche modo mi ricorda la maschera di Arlecchino”. Per questo una simbolica maschera della Commedia dell’arte si aggira sul palcoscenico per tutto il suo spettacolo.

Ma veniamo alla messa in scena. Siamo in un centro di produzione televisiva dove si stanno realizzando tre diversi format televisivi: il primo, intitolato F*cktotum, vede come protagonista un parrucchiere alla moda che nel suo salone provvede a mettere insieme delle coppie (la donnetta e il cavaliere citati nella cavatina); il secondo è intitolato la Calunnia, dove il conduttore televisivo Basilio è impegnato a dividere le coppia formate dal barbiere; il terzo, intitolato L’inutil precauzione, è una soap opera ambientata nel Settecento e interpretata da una divetta televisiva di nome Rosina; nella soap i riferimenti al XVIII secolo servono a creare un collegamento fra innovazione e tradizione attraverso scene e costumi opera di uno stylist di oggi, dominati da un rosa confetto che volutamente cita certe volgarità televisive. Tutto il melodramma è collocato al di fuori di una precisa località e di un preciso tempo storico pur rievocato in alcuni particolari: Rosina, Basilio e Figaro sono dei conduttori televisivi e solo nel finale il barbiere indossa un improbabile costume da torero per ricordare le sue origini sivigliane; Bartolo è un manipolatore che divide il suo tempo tra la professione medica e il ruolo di uno spregiudicato produttore televisivo; Almaviva è un influente politico (forse un ministro) dotato di un grande potere, per cui diventa parte attiva dell’intrigo che caratterizza tutta la vicenda. Giustamente Menghini fa riferimento al commento al melodramma di Massimo Mila: “Il barbiere di Siviglia è un esempio di teatro della crudeltà perché in questa opera non c’è neanche l’ombra […] di buoni sentimenti. Tutti questi personaggi […] sono animati soltanto da una sfrenata voglia di guadagnare, di divertirsi, ma non c’è neanche l’ombra di moralismo. Tutta l’opera si svolge nella sfera dell’utile […] tra Machiavelli e Guicciardini, e per questo è italianissima […] è veramente il ritratto degli italiani”. Gli italiani di Rossini non sono infatti quelli delle opere di Verdi e, dietro la componente comica, si affaccia una componente critica e pessimistica.

Rossini, pressato dalla committenza compone questa opera in soli 12 giorni e con il suo “cinismo creativo” fa ricorso al precedente repertorio, ripescando la celebre “sinfonia” dall’Aureliana in Palmira che aveva già riciclata per Elisabetta, regina d’Inghilterra, dalla quale prende una parte della cavatina di Rosina, nel Sigismondo si ritrova il coro che apre il primo atto e parte della straordinaria “calunnia” di Don Basilio. Siccome il genio non conosce limiti né regole, in questa opera trasloca per sedimentazione un patrimonio artistico accumulato nel tempo che finisce per manifestarsi nel momento giusto, per cui da questo insieme di ripescaggi nasce il più grande capolavoro dell’opera buffa che ancora oggi trionfa in tutti i teatri del mondo.

Il giovane Maestro Alessandro Bonato ha diretto con brio e vigore una scrittura strumentale molto raffinata e complessa, certamente difficile da riportare all’aperto soprattutto in certi passaggi degli archi e dei fiati. Egli ha però espresso la convinzione che la musica deve arrivare a tutti e deve essere compresa dalla maggioranza senza abbassare la qualità dell’esecuzione. Bonato ha messo in scena in modo puntuale la partitura originale (anche con la lunga aria finale di Almaviva), perché ha dichiarato che bisogna “trattare la musica con buon gusto, di salvaguardarne la bellezza”, nel pieno rispetto di partitura e libretto anche quando è un difficile compito rendere l’energia del canto sillabico (si veda la cavatina di Bartolo “A un dottor della mia sorte”), preservando l’intelligibilità del testo e il collegamento con le note. La direzione musicale ha pienamente rispettato la complessità e la personalità dei vari personaggi a cominciare da Figaro che “è un fine stratega, machiavellico, subdolo”, tralasciando di accelerare troppo (come costume) la celebre cavatina del barbiere che non deve essere troppo plateale, perché si tratta di un autoelogio: “Figaro si piace e si specchia come una donna appena uscita dal parrucchiere”. Bene hanno fatto nel complesso tutti gli interpreti. Il tenore russo Ruzil Gatin, dopo una partenza un po’ incerta nelle due romanze iniziali, ha preso quota nelle vesti del conte di Almaviva, entrando con coerenza vocale e fisica nei vari travestimenti; del resto, è uno specialista di Rossini che ha portato in diversi teatri del mondo e che per anni ha fatto parte dell’Accademia rossiniana di Pesaro. Serena Malfi è un giovane mezzosoprano specializzato sia nel repertorio barocco, sia in quello mozartiano e rossiniano. Diplomata nel Conservatorio di Santa Cecilia, ha debuttato a Zurigo proprio nel ruolo di Rosina e anche a Macerata è entrata nel personaggio con vivacità e con misura anche quando ha dovuto sfoggiare un’audace minigonna. Alessandro Longo è una dei baritoni italiani più interessanti della sua generazione, dotato di un bel timbro di voce (forse più adatta al chiuso), con alle spalle un vasto repertorio e importanti esperienze artistiche. Ha sfoggiato anche doti di attore in un ruolo sempre molto difficile e reso ancora più complesso dalle scelte della regia, mostrando prestanza fisica e indossando con disinvoltura i diversi e variopinti costumi di scena. Roberto De Candia non lo scopriamo certo a Macerata quale interprete di un ottimo Don Bartolo; allievo di Sesto Bruscantini, ha debuttato alla Scala nel 1996 inanellando una serie di successi nel ruolo di baritono/buffo, come interprete di Verdi (Falstaff) e Donizetti (Don Pasquale), ma soprattutto di Rossini e questo spiega la sua frequente presenza al ROF di Pesaro. Infine va segnalato il monumentale Don Basilio del marchigiano Andrea Concetti, uno dei più apprezzati bassi italiani nel mondo, un grande attore e un raffinato interprete di Rossini e Mozart. Di lui ricordiamo in particolare tre memorabili interpretazioni sotto la regia di Pier Luigi Pizzi: Così fan tutte (Don Alfonso) e Don Giovanni (Leporello) nel Teatro delle Muse; uno straordinario Papageno nel Flauto magico nello Sferisterio (2006/2007).

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