“Minotaurus ballata per mostro solo” affascinante con Andrea Pierdicca
di Alberto Pellegrino
15 Lug 2025 - Commenti teatro, Letteratura
Affascinante spettacolo nel Palazzo Bonaccorsi di Macerata, nell’ambito di Teatri Antichi Uniti: “Minotauris ballata per mostro solo”, con Andrea Pierdicca accompagnato dal violoncello di Giuseppe Franchellucci; regia di Andrea Fazzini.
Nella bella cornice del cortile di Palazzo Bonaccorsi (Macerata), nell’ambito della XXVII Edizione della rassegna TEATRI ANTICHI UNITI-AMAT e in collaborazione con il “Festival Macerata Racconta”, è andato in scena il 9 luglio 2025 il melologo Minotaurus ballata per mostro solo, tratto dall’omonima opera di Friedrich Dürrenmatt, per la scrittura di scena e la regia di Andrea Fazzini che ha rielaborato il testo, sfrondandolo di alcuni passaggi prettamente letterari per concentrarsi sugli aspetti ritmici e introspettivi, proponendo un rito a volte epico e ironico, a volte tragico e dionisiaco di un mostro che racconta, danza, mima e ulula verso il cosmo il suo dramma personale attraverso la polifonica e coinvolgente interpretazione di Andrea Pierdicca, accompagnato dal violoncello di Giuseppe Franchellucci che ha scavato nelle parole del testo, sottolineando silenzi, danze e parole del mostro con sonorità che hanno conferito un particolare rilievo alla poesia dell’autore.
Lo svizzero Friedrich Dürrenmatt (1921–1990) è uno dei massimi esponenti del teatro contemporaneo nel quale ha trattato in chiave grottesca le meschinità nascoste dietro la facciata perbenista della società contemporanea. Tutta la sua produzione letteraria è stata caratterizzata da una pungente satira e da uno spirito critico con il sapiente utilizzo di trame investigative, escavazioni psicologiche, rievocazioni mitologiche finalizzate a dimostrare come sia il caso a governare i destini di una umanità nella quale si mescolano colpa e innocenza, il Bene e il Male.
Ha lasciato romanzi esemplari come Il giudice e il suo boia, La promessa e Il sospetto, straordinari drammi come Romolo il grande, Il matrimonio del signor Missisippi, La visita della vecchia signora, Tito Andronico, La panne, I fisici.
Il Minotauro
Dopo aver rivisitato il mondo classico con La morte della Pizia, nel 1985 Dürrenmatt si confronta con il celebre mito del Minotauro, l’essere mostruoso dal corpo umano e la testa di toro, nato dall’accoppiamento tra la regina di Creta Pasifae, moglie di Minosse, che si è rifiutato di fare sacrifici a Poseidone attirando sulla moglie l’ira del dio e la sua sventura. La donna s’innamora di un toro e implora l’inventore ateniese Dedalo di costruire una vacca di legno concava che possa accogliere la regina per farsi penetrare dall’animale. Il frutto di questo amplesso è il Minotauro che Minosse, impietosito, decide di allevare. La sua natura di animale lo rende selvaggio e violento, per cui il re decide di rinchiuderlo nel labirinto di Cnosso, la leggendaria prigione progettata da Dedalo.
Il Minotauro si ciba di carne umana e la città di Atene, sottomessa a Creta, deve ogni anno offrire in sacrificio sette fanciulle e sette fanciulli da dare in pasto al mostro, fino all’arrivo del principe ateniese Teseo. Grazie al filo che gli serve a indicare il percorso per entrare e uscire dal labirinto e che è stato collocato da Arianna l’altra figlia di Minosse, l’eroe uccide il mostro e libera le vittime sacrificali. Quindi fugge da Creta con Arianna che si è innamorata di lui per poi abbandonarla nell’isola di Naxos dove la giovane sarà da Dioniso, il dio dell’ebrezza pronto a prenderla con sé e a renderla immortale.

Le caratteristiche di questo monologo
Dürrenmatt rovescia completamente il significato del mito e si colloca dalla parte del Minotauro, che da mostro diventa vittima, mentre Teseo da eroe si trasforma in spietato assassino. Lo scrittore ricorre a due geniali invenzioni. La prima consiste nell’idea di dare voce al “mostro” che nell’immaginario collettivo rappresenta il diverso e l’inconcepibile, facendone un essere che non è né bestia, né uomo, che non conosce i concetti d’innocenza e di colpa, la differenza tra la vita e la morte, facendogli compiere un viaggio introspettivo all’interno di un mondo ignoto agli umani.
La seconda invenzione è l’aver trasformato il labirinto costruito da Dedalo in una intricata muraglia di specchi, nei quali il Minotauro, dopo essersi risvegliato da un lungo sonno, vede riflessi una infinità di essere simili a lui, con i quali dialoga, gesticola, danza con gioia infantile che sembrano muoversi ai suoi ordini e lo fanno sentire “come un capo, anzi di più, come un dio, se avesse saputo cos’è un dio”.
Sarà l’incontro con creature diverse da lui, gli esseri umani, a rendere cosciente il Minotauro della propria tragica condizione di diverso, di escluso, di prigioniero.


Il Minotauro e la ragazza
Per prima cosa il Minotauro vede riflessa l’immagine di una ragazza completamente nuda e sente che qualcosa di strano attraversa le sue viscere: un desiderio che sconfina in quello che noi umani chiamiamo amore. Da parte sua, la giovane impaurita teme che questo essere sia qualcosa d’incomprensibile e di insopportabile. Infatti questa strana fusione tra uomo e toro “si chinò, sollevò la fanciulla, mugghiò, lamentò, sollevò la fanciulla verso il cielo buio, e ovunque minotauri si chinarono, sollevarono fanciulle, mugghiarono, lamentarono, sollevarono fanciulle verso il cielo buio […] Lui danzò la sua deformità, / lei danzò la sua bellezza, / lui danzò la gioia d’averla trovata, / lei danzò la paura di essere stata trovata, / lui danzò la sua liberazione, e lei danzò il suo destino, / lui danzò la sua smania, e lei danzò la sua curiosità, / lui danzò il suo addossarsi, lei danzò la sua ripulsa, / lui danzò il suo penetrare, lei danzò il suo avvinghiare”).
Questo impossibile intreccio tra il Minotauro e un corpo femminile avrà conseguenze drammatiche, perché la sua danza di accoppiamento si trasforma in un amplesso di morte, dato che l’uomo-toro “non poteva sapere nemmeno che l’uccideva, perché non sapeva cos’era vita e cosa morte. In lui non c’era altro che incontenibile felicità fusa con incontenibile piacere”. Durante il sonno, che lo coglie come ogni essere umano dopo il coito, egli sogna la ragazza e comincia quella infelicità a cui l’ha condannato Pasifae, la sua condanna “a non essere dio, né uomo, né animale, bensì solo Minotauro, colpevole e incolpevole insieme”.
Mentre sogna ecco arrivare dal cielo uno stormo di avvoltoi attirati dal sangue e nel labirinto entra una schiera di ragazze e ragazzi inviati da Atene, Tra questi ce n’è uno che sembra voler giocare con lui e il Minotauro gli si avvicina per intessere una danza giocosa ma squilibrata, perché il ragazzo non ha la sua stessa volontà e cerca di ucciderlo e per la prima volta egli conosce che cosa sia il dolore fisico inflitto dalla spada che gli ha trafitto il petto. Il mostro si rende conto di essere in realtà odiato, impazzisce per il dolore e dà sfogo alla propria furia finché non cade stremato e sporco di sangue.


La dolorosa scoperta della diversità e della solitudine
Con un’altra mossa geniale Dürrenmatt trasforma il dolore del Minotauro in qualcosa che lo fa crescere, in una furia che si scatena contro gli altri ragazzi, contro lo stesso labirinto, contro quelle immagini riflesse dagli specchi che riduce in frantumi. Ora scopre che esiste un solo Minotauro, che lui è “l’unico, l’escluso e rinchiuso, che il labirinto c’era per causa sua, e questo solo perché era stato messo al mondo perché l’esistenza d’uno come lui non era consentita dal confine posto fra animale e uomo e fra uomo e dei, affinché il mondo conservi il suo ordine e non divenga labirinto per ricadere nel caos da cui era scaturito”.
Il Minotauro s’addormenta e sogna ancora anche se non sa cosa sia la forza, cosa sia il desiderio, cosa sia la morte, cosa sia la vita, cosa sia il linguaggio, sogna come se fosse ancora nel ventre di Pasifae: “Sognò il linguaggio, sognò / fratellanza, sognò amicizia, sognò accoglienza, / sognò amore, intimità, calore, eppure / mentre sognava sapeva di essere un mostro / cui mai sarebbe concesso un linguaggio, / sognò come gli esseri umani sognano gli dei, / l’uomo con la tristezza degli uomini, / il Minotauro con la tristezza degli animali”.
Mentre è addormentato, Arianna avvolge intorno alle sue corna un filo rosso che permetterà a Teseo di entrare e uscire da labirinto. Quando si sveglia il Minotauro si trova dinanzi un Altro con la stessa testa di toro e cerca di scoprire chi sia questo essere: di sicuro non è un’immagine riflessa, perché i suoi movimenti sono simili ma non uguali ai suoi e ne deduce che sia un vero mostro come lui. Prorompe pertanto in un grido o meglio in un muggito di gioia, perché non è più l’unico, l’escluso, il rinchiuso, perché ora sa che non esiste solo il suo io ma c’è anche un tu.
Allora esegue la danza dell’amicizia, della fratellanza, dell’accoglienza, dell’amore, dell’intimità e del calore, “danzò la sua felicità, danzò la sua dualità, danzò la sua redenzione, danzò il crollo del labirinto, lo sprofondare roboante di pareti e specchi / nella terra, danzò l’amicizia fra minotauri”. Quando si getta fra le braccia dell’Altro convinto di aver trovato un amico, quello estrae un pugnale e lo affonda con sicurezza nella sua schiena, per cui il Minotauro è già morto quando cade a terra. Teseo si toglie la maschera da toro, riavvolge il filo rosso ed esce dal labirinto, mentre gli specchi riflettono solo il cadavere del Minotauro e, prima che sorga il sole, arrivano in volo gli avvoltoi.



