Urbisaglia (MC): Medea, Antigone, Menecmi, la schiava… il resoconto


di Alberto Pellegrino

11 Ago 2013 - Senza categoria

Teatro: Recensioni

Letture su Medea e su Antigone
La stagione del Teatro Antico 2002 prevedeva anche un incontro con il teatro d'attore con una Lettura su Medea da parte di Iaia Forte e Tommaso Ragno. Malgrado l'imperversare del maltempo abbia impedito che l'appuntamento potesse svolgersi sulla suggestiva cornice del Teatro Romano, anche al chiuso della piccola sala teatrale del Comune, superando la situazione d'emergenza, i due attori hanno presentato il testo di Euripide prosciugato ai due soli interpreti (Medea e Giasone) che si sono affrontati e scontrati in un miscuglio di gelosia e di rabbia che finirà per trascinare i due nel baratro del dolore e della follia. Bravissima Iaia Forte che ha presentato con l'ausilio della sola voce la donna maga che per amore del proprio uomo aveva tradito i suoi e lasciato la propria terra per poi subire l'affronto dell'infedeltà del marito. Come una leonessa Medea difende la propria dignità di donna e di amante fino a compiere il sacrilegio di uccidere i propri figli per non lasciarsi fra estranei, per far loro soffrire l'esilio, per punire soprattutto il loro padre infedele. Di fronte ad una Medea appassionata e spietata, Tommaso Ragno ha prestato la sua musicalissima voce ad un Giasone dolente, sottotono, quasi indifeso di fronte alla sciagura che finirà per schiacciarlo. Una bella prova di miniteatro da camera raffinato e capace di attrarre la sensibilità di un pubblico attento e qualificato.

Il secondo appuntamento con il teatro della parola si è svolto nella splendida cornice della Rocca di Urbisaglia con Antigone & le altre, una lettura affidata alla voce della brava Barbara Mancini di testi di Guido Ceronetti tratti dalle raccolte Deliri disarmati e Composizioni e disperazioni (Einaudi), a cui si sono aggiunti alcune composizioni poetiche inedite di Alda Merini appositamente messe a disposizione dall'autrice per questo spettacolo. Hanno accompagnato Barbara Mancini in questo viaggio attraverso la poesia il vocalist Roberto Gigli e Mirko Bisonni che le ha eseguite attraverso l'uso di vari strumenti. Gigli è anche l'autore delle musiche di scena di chiara impronta mediterranea, ma assolutamente capaci di creare le giuste atmosfere sonore in un efficace impasto con i testi.
Lo spettacolo è stato un caleodoscopio di donne divise fra tragedia e satira, create dall'aspra, intrigante, volte spietata poesia di Ceronetti, a cui si è aggiunto il fascino dolente e violento delicato della Merini. Ha aperto questa carrellata Antigone messa a confronto con il vecchio padre Edipo il più disgraziato degli umani che si aggira disperato per le metropoli d'Europa ridotte a foreste di brutture , città appestate dove le Sfingi affilano i loro enigmi , quei segreti della parola che solo Edipo è in grado di sciogliere, rinnovando in loro un'antica paura. E' poi la volta di Saffo e del suo infelice amore condannato senza appello da una società che non vuole capire, seguita da Eloisa che si rifiuta di accogliere l'invito del teologo Abelardo, il quale la invita a lasciare per lui, ormai vecchio e malato, l'abito monacale e il convento. Eloisa non vuole lasciare l'oasi del convento, dove vive con il figlio avuto dalla loro relazione, per diventare medico confessore becchino di un uomo che ormai appartiene al suo passato. Resterà in convento nella convinzione che l'abito che indossa appartiene a Dio, il suo corpo ad Abelardo e la sua anima non si sa a chi appartenga secondo la lezione impartitale dall'amante teologo. La Modella elettronica ci riporta al presente con lo spettacolo di una donna ridotta ad icona informatica chiusa dentro un compiuter da cui i pittori possono trarre oltre 500 modelle e far assumere loro oltre 4000 pose, dalle più caste alle più sconce. Ceronetti continua testardamente a prediligere le antiche donne di carne ed invita i giovani artisti a cercare le loro donne per le strade senza collocare i loro sogni all'interno di un simulacro elettronico, lasciando ai comuni mortali di cadere prigionieri di televisori e computer. Si ritorna al passato con il dramma di Calpurnia che predice invano a suo marito Cesare la fine terribile che lo aspetta in quelle tragiche Idi di Marzo che ritornano ancora oggi fra mostri dalle facce umane e pozzi di petrolio in fiamme. Il clima cambia e si placa intorno alla figura di Caterina da Siena che consuma nel dolore e nel sangue il suo mistico amore di dolce sposa del Cristo. Infine irrompono sulla scena i caldi versi di Alda Merini che parlano di dolore, di follia, di solitudine di chi, prigioniera fra le mura di un manicomio, ha la forza e il coraggio di lanciare un messaggio di speranza: la poesia è il copro fondante dell'amore ed il poeta può anche vivere nella più totale solitudine, perchè non è mai un disperato quando ha come compagna la poesia stessa.

Si chiude con Plauto
Per chi ama il teatro d'attore, tradizionale nell'impianto ma spumeggiante nella recitazione non poteva mancare l'appuntamento con questi Menecmi. I due gemelli napoletani messi in scena con l'adattamento di Tato Russo e la regia Livio Galassi. Un grande attore napoletano si è cimentato con il testo di Plauto, trasferendo la vicende dei due gemelli, divisi dal destino in tenera età e ricongiunti ormai adulti, da Epidemno a Naepolis con quel tanto in più di colore e di accento partenopeo conferito alla vicenda nel pieno rispetto della commedia plautina, senza cadere in quelle attualizzazioni da rivistuola televisiva oggi tanto di moda. Tato Russo, da padrone assoluto del palcoscenico, ma con l'ausilio di una agguerrita schiera di bravi attori (in particolare Rino Di Martino) e alcune belle ragazze, ha giocato sul continuo avvicendarsi degli equivoci, ha fatto un uso intelligente dei tormentoni , ha assicurato una carica continua di autentica ed elegante comicità . Da anni non si rideva con tanto gusto ad Urbisaglia di fronte ad un testo plautino presentato calcando la mano con intelligenza sulle leve della comicità . Tato Russo nel doppio ruolo ha fornito una prova di eccellente livello ammiccante e raffinata, impeccabile nell'indossare i panni dei due Menecmi, mettendone in evidenza la diversa psicologia, seguendo una comicità esplicita ed anche un po' gaglioffa di sicura presa sul pubblico come ha sottolineato Ghigo De Chiara a proprosito di questo spettacolo: Tato Russo è abilissimo nel disegnare i due personaggi facendo uso soprattutto del linguaggio, divertimento garantito certo, ma qualcosa in più (di più sofistica, di più raffinato) che deriva dalla dimensione di chiapliniana surrealtà in cui Tato Russo si muove: la sua comicità impiega il dialetto ma non è mai dialettale, lontanissima dal naturalismo sancarliniano e percorsa da brividi di ironia feroce (provocando) risate in continuazione .

Non altrettanto bene è possibile parlare dell'altro spettacolo plautino in cartellone, La schiava che Enrico Vaime ha tratto dalla commedia Casina. Già l'adattamento si presenta in modo molto discutibile con un eccesso veramente fastidioso di riferimenti all'attualità senza seguire un preciso progetto di attualizzazione del testo, per cui si finisce per banalizzare la vicenda plauta e tradire lo spirito stesso della commedia plautina ridotta a farsa minimalista. A questo bisogna aggiungere la totale negatività della regia di Claudio Insegno che ha introdotto elementi di modernità del tutto gratuiti e cervellotici senza seguire un vero progetto registico, perdendo per evidente incapacità un'occasione di intelligente trasposizione della vicenda ad oggi con un adattamento intelligente nel linguaggio, nei costumi e nelle musiche con un preciso riferimento all'oggi scegliendo una qualsiasi cifra interpretativa (rivista anni Trenta, avanspettacolo anni Quaranta Cinquanta, cabaret anni settanta, ecc.). In questo modo invece una delle più divertenti commedie di Plauto, caratterizzata dalla rapidità delle singole scene, dal ritmo rapido delle battute, da una serie di lazzi, malintesi e giochi di parole sempre brillanti, si è trasformata in una specie di marmellata insipida e banale a cui non riuscito a dare sapore nemmeno l'impegno profuso da Carlo D'Angelo la cui comicità è tuttavia riduttivamente segnata da uno stile televisivo anni Ottanta che non sempre regge alla prova del palcoscenico.

(Alberto Pellegrino)


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