Intervista a Franco Ballatore


a cura di Francesca Bruni

13 Mag 2024 - Approfondimenti live, Interviste, Varie

Franco Ballatore, musicista e “viaggiatore” instancabile, ci ha concesso questa intensa e articolata intervista, ricca di utili indicazioni quanto mai attuali.

(Tutte le foto ci sono state gentilmente concesse da Franco Ballatore. Le foto dei Marlene Kuntz, eccetto quella del “boghetto”, sono inedite)

Franco Ballatore

Intervista al cuneese Franco Ballatore, primo bassista della rock band Marlene Kuntz, uomo dallo spirito avventuriero; ha raccontato, per MusiCulturAonline, la sua vita affascinante.

Ballatore è giramondo instancabile e osservatore attento, tra viaggi intercontinentali alla scoperta di nuove culture, per riscoprire un nuovo “io” e riportare a casa, ogni volta, un tassello di esperienze indimenticabili.

Vi auguro una buona lettura, sarà come percorrere strade sconfinate.

D. Lei è stato il primo bassista della rock band Marlene Kuntz; mi racconta di quel periodo e del primo concerto tenutosi nel maggio 1989 al Parco Monviso di Cuneo?

R. È trascorso parecchio tempo, ma ricordo bene quella serata. I Marlene si erano formati qualche mese prima. Negli anni precedenti avevo suonato in alcuni concerti locali e registrato un demo con il mio primo gruppo chiamato Memorabilia, nulla più. Cristiano Godano e Alex Astegiano arrivavano invece dall’esperienza con Jack On Fire, già noti a livello nazionale. Alex è stato il primo cantante dei Marlene, una presenza scenica davvero impattante. Luca Bergia e Riccardo Tesio penso fossero alla loro prima esperienza live. All’evento, organizzato nell’ambito della Festa dell’Unità, parteciparono una decina di gruppi, in un contesto ideale per il collaudo/esordio dei Marlene. Salimmo sul palco verso metà serata, completamente disorganizzati. Ricordo un gran caos nell’avvicendarsi dei musicisti sul palco, scavalcando cavi e amplificatori senza nemmeno sapere bene dove inserire lo spinotto degli strumenti. Partimmo con “La Verità”, un pezzo mai pubblicato, poi “1°2°3°”, poi “Sig. Niente”. Chiudemmo con una versione di “Cocaine” talmente irriconoscibile che nemmeno riuscimmo a terminarla, si spense semplicemente, con gli strumenti che ad a uno a uno smisero di suonare. Nei giorni successivi i giornali locali uscirono con titoli del tipo “Il Teatro del Caos” e “Santa Marlene”. Dopo qualche settimana, venimmo invitati ad una festa di paese e quando iniziammo a suonare calò un silenzio tombale, a metà concerto ci chiesero cortesemente di scendere dal palco. Suonare nella provincia di Cuneo con i Marlene era così in quegli anni, non sapevamo mai se stavamo dentro o fuori contesto. Era divertente.

D. Perché ad un certo punto decide di lasciare il gruppo?

R. I Marlene stavano compiendo il loro quarto anno di vita, Gianni Maroccolo si era proposto con il Consorzio Suonatori Indipendenti, la Emi Italia si fece viva poco dopo, quasi tutti i pezzi di “Catartica” erano pronti, io invece lo ero sempre meno. Potrei elencare numerosi motivi, tutti riconducibili ad uno solo: da qualche tempo stavo trascurando il gruppo, sentivo l’esigenza di altro. Comunque, i Marlene rimarranno sempre nel mio cuore.    

D. La sua vera passione di sempre è quella per i viaggi; qual è stato il suo primo viaggio?

R. Essenzialmente mi piace andare in giro. All’età di dieci anni partivo da Cuneo in bici e risalivo le vallate montane, questi sono stati i primi viaggi. A quattordici caricavo il motorino di bagagli e, tenda e sacco a pelo, superavo valichi alpini per spingermi fino in Francia. Con il tempo la cosa si è evoluta fino ad affrontare lunghe attraversate intercontinentali. Svegliarmi ogni giorno in un posto diverso è ciò che più adoro. A pensarci bene ogni passione della mia vita è stata caratterizzata proprio dallo spostamento: le trasferte con la squadra di calcio in età giovanile, quelle con i Marlene per i concerti, così come per le competizioni di enduro. Persino sul lavoro…percorrevo oltre 50.000 km all’anno. Ho la noia facile e trovo l’antidoto nel movimento.

D. E quello più rischioso che ha percorso?

R. Nell’ultimo viaggio affrontato, dall’Italia al Giappone in moto, l’attraversamento dell’Afghanistan è stato psicologicamente molto impegnativo per via della situazione sociopolitica; io e Rosario Sala (collega del team Yamaha Kamcharkaraid) ed Emilio Radice (giornalista di Repubblica ora in pensione) eravamo gli unici stranieri occidentali presenti sul territorio. L’attraversamento delle highlands in Papua Nuova Guinea, accompagnato da guide delle tribù locali, è stata un’altra esperienza che ho affrontato con un una certa tensione, in quel caso viaggiavo da solo. Ma il rischio maggiore l’ho vissuto in Pakistan, dove un camion “senza freni” mi investì distruggendo la moto…ne uscii miracolosamente illeso, ma per qualche secondo ho pensato fosse davvero finita. Durante i miei viaggi ho contratto la febbre dengue per ben due volte, l’ultima delle quali sono stato ricoverato una decina di giorni in ospedale nello Sri Lanka, ma questo è un rischio quasi garantito per lunghe permanenze in certe zone del mondo.

D. Mi parla del suo progetto “Bicosisgud”?

R. Nel 2011 lasciai il lavoro che svolgevo da oltre vent’anni per dedicarmi alla mia principale passione: andare in giro (o viaggiare) a tempo pieno. Ritrovandomi così privo di un’identità sociale, che normalmente corrisponde a quella professionale, me ne dovetti trovare un’altra. Nacque così il progetto Bicosisgud, avente lo scopo di visitare più paesi possibile nel mondo. Al momento ne ho “collezionati” 150 su 195 internazionalmente riconosciuti.

D. Che cosa significa per lei viaggiare?

R. Significa provare emozioni, riempirmi gli occhi di cose nuove.

D. C’è stato un itinerario in cui per un momento ha pensato di mollare tutto?

R. Sinceramente non mi è mai capitato. A volte sono tornato indietro per cercare un’altra strada. In qualsiasi caso, a parte negli ultimi anni in cui sono entrati in gioco gli sponsor, che giustamente un minimo di programmazione la pretendono, non mi sono mai posto l’obbiettivo di una meta o una via a qualsiasi costo. Casomai ho visitato luoghi in cui non tornerei, nel senso che una volta basta e avanza.

D. Nel 2021 ha pubblicato il suo primo libro dal titolo “Lula star panamericana”, ha sentito l’esigenza di raccontare una parte di sé e condividerla con la gente?

R. Durante i miei viaggi tengo un “diario di bordo” su cui annoto aneddoti e sensazioni. Nel periodo di lockdown ho avuto la “fermezza” di recuperare e riordinare il materiale prodotto durante un viaggio che realizzai in Vespa da New York a Buenos Aires e trasformarlo in un libro. Qualcuno sostiene che la felicità non esiste se non viene condivisa e sono d’accordo. Detto questo, in un’era in cui abbondano gli strumenti di condivisione, il caro vecchio tomo rimane ancora il mio mondo preferito.

D. Una tra le sue grandi imprese è quella svolta in Asia in moto, dedicandola al suo amico Luca Bergia, storico batterista dei Marlene Kuntz; che legame aveva con lui e cosa avrebbe pensato di questo bellissimo messaggio di amicizia nei suoi confronti?

R. Conoscevo Luca da quasi quarant’anni. Con lui ho condiviso l’esperienza dei Marlene, il primo viaggio “serio” della mia vita e molto altro. Negli ultimi anni ci incontravamo quando riuscivamo…lui sempre in giro per concerti, io per “bandierine”. Tra noi c’è sempre stato un forte legame e dedicargli il viaggio in Asia, che ho affrontato qualche mese dopo la sua scomparsa, è stato naturale. Potesse saperlo? Mi prenderebbe sicuramente per i fondelli…

D. Molti di noi vorrebbero avere il coraggio di mollare tutto per dare una svolta alla propria vita come ha fatto lei; cosa lo ha spinto a questo cambiamento?

R. A dire il vero non mi ha spinto nulla in particolare, è una cosa che avevo in testa fin dall’adolescenza, ho solo dovuto attendere il tempo di creare le premesse. Quindi nessun coraggio direi, semplicemente la fase di un percorso.  

D. Viaggiare vuol dire conoscenza dei popoli e delle loro usanze, pensa che nel mondo odierno manchi la voglia di scoprire cose nuove? 

R. Oggi si possono scoprire un’infinità di cose restando comodamente seduti di fronte a uno schermo. Tale situazione ha levato spazio all’immaginazione e allo stimolo della ricerca con i quali è cresciuta la gente comune della mia generazione. Il processo evolutivo umano porta sempre più verso questa direzione. Ho la sensazione che ogni popolazione incontrata nei miei viaggi sarà probabilmente destinata a uniformarsi o soccombere. Ho visto con i miei occhi questa evoluzione in ogni luogo in cui m’è capitato di ritornare dopo anni. È romantico pensare che vi sarà un’inversione di tendenza, ma non ci scommetterei molto. Io mi ritengo un privilegiato e lo auguro anche alle future generazioni.

D. Qual è stato il popolo con cui si è sentito accolto maggiormente?

R. Gli iraniani, senza dubbio. Ho attraversato l’Iran tre volte, l’ultima poco dopo le proteste popolari per la morte di Masha Amini. La popolazione dell’Iran non ha nulla a che fare con la vetrina propagandistica venduta dal regime al potere, anzi, è tutta il contrario. Gente dalla mentalità aperta, ospitale e disponibile al dialogo e al confronto. Quasi ogni persona con cui ho parlato (donne, uomini, giovani, anziani) non ha avuto alcun timore a dirmi che coloro che li comandano non li rappresentano.

D. Lei dà un grande messaggio di vita e di apertura verso il prossimo; quanto lo appaga questo pensiero di libertà ed umanità?

R. Sono felice di trasmettere questo messaggio, immagino più prodotto da ciò che faccio piuttosto che da una mia volontà vera e propria. Vivo la vita seguendo le mie passioni e se questo è un messaggio positivo e utile a qualcun altro, ne sono assolutamente lusingato, ma in realtà non ho merito. 

D. Dopo aver fatto un viaggio molto lungo, cosa prova quando torna a casa, alla vita di tutti i giorni?

R. Stanchezza, estrema stanchezza. Torno sempre volentieri a casa, anzi, dopo qualche mese di viaggio ne sento proprio l’esigenza. Normalmente in viaggio perdo una decina di chili e quindi passo i primi giorni a dormire e mangiare, poi lentamente torno a socializzare e dopo qualche settimana ho già voglia di ripartire. Battute a parte non ho mai avuto una fase, per così dire, “down”. Riprendo lentamente, ma abbastanza facilmente le mie abitudini. Metabolizzo senza troppi traumi l’esperienza vissuta e metto nella banca dei ricordi.

D. Ha in progetto una nuova traversata?

R. Complice anche la situazione geopolitica mondiale, penso che il 2024 sarà un anno di transizione, in cui non ho in programma grandi attraversate terrestri. Lo occuperò principalmente visitando alcune isole sparse per oceani dove ancora non sono stato. Per il 2025 ho intenzione di tornare a Samarcanda in moto, passando per Azerbaijan e Turkmenistan, “saltate” lo scorso viaggio. Poi vorrei dedicarmi ai mari delle isole caraibiche, ma la logistica rimane tutta da studiare.

Grazie infinite per avermi concesso questa meravigliosa intervista e lezione di vita.

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One response

  1. Massimo ha detto:

    Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Franco è una persona meravigliosa che a me dà carica quando seguo i suoi viaggi. Ho letto il suo libro, è un racconto che solo pochi e grandi riescono; bravo, bella intervista, ciao.

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