Successo per il primo Festival Shostakovich a Bruxelles


di Alma Torretta

1 Mar 2022 - Commenti classica

Al “Festival Shostakovich: the other revolutionary” si sono esibiti insieme artisti russi ed ucraini invocando la pace.

Malgrado i venti di guerra, lo scorso fine settimana si è svolta regolarmente nella capitale europea la prima edizione dello “Shostakovich Festival: the other revolutionary”, anzi è stata una delle prime occasioni per condannare fermamente l’invasione russa dell’Ucraina. Già in programma per la prima serata, c’era giusto la famosa sinfonia n.13 in si bemolle minore “Babi-Yar” scritta nel 1962 per ricordare il massacro avvenuto a Babi Yar, appunto in Ucraina, vicino Kiev, dove nel 1941 in poche ore 33.000 ebrei furono uccisi a fucilati dai nazisti e gettati in una fossa comune dove, nei giorni seguenti, si aggiungeranno ancora molte altre vittime.

Il festival è stato organizzato dalla Belgian National Orchestra, in collaborazione con il Bozar di Bruxelles dove si sono svolti i concerti, e ad inizio serata è stato letto un comunicato in cui si è ricordato che in quella orchestra suonano insieme sia musicisti russi che ucraini; quindi, un minuto di silenzio è stato chiesto alla sala per tutte le vittime già dell’invasione.

Un festival nato per approfondire la figura del compositore russo, figura che appare sempre più complessa. Anche la sua posizione rispetto al regime è meno allineata di quanto potrebbe sembrare dato che, a differenza di Prokofief e Stravinsly non ha mai preso la via dell’esilio ed è riuscito a continuare a lavorare per le grandi istituzioni musicali russe malgrado critiche verso di lui dello stesso Stalin. La sua musica appare percorsa, a ben vedere, da un messaggio subliminale ben diverso dal “realismo socialista”, forzatamente ottimista, che imponeva allora il giovane regime sovietico. Shostakovich riusciva a far sembrare la sua musica positiva, senza esserla veramente, ad esempio usando accordi maggiori ma diminuendoli progressivamente, ha fatto notare il musicologo belga Ruben Goriely nella prima delle conferenze che hanno arricchito il Festival. Per i russi Shostakovich era moderno, non lo era più per l’Occidente già rivolto alla musica seriale e poi elettronica, ma il fascino che tuttora esercita il compositore russo dimostra che il suo lavoro merita di essere ancora meglio compreso in una prospettiva storica.

Noi abbiamo potuto seguire solo due delle tre giornate di studio e concerti in programma. Data la situazione internazionale, l’esecuzione di “Babi-Yar” è risultata particolarmente toccante, sul podio della brava Belgian National Orchestra l’americano, nato a Parigi, Hugh Wolff, e come solista il famoso basso russo Mikhail Petrenko, accompagnato dalle voci solo maschili dell’Octopus Choir per un lavoro che è una sorta di messa laica per tutte le vittime della guerra, scandita dall’inizio alla fine da tocchi di campana. Una partitura drammatica ma che sorprende con movimenti scherzosi, che riflettono lo humour tipicamente yiddish, e i versi del poeta Evgueni Evtouchenko che passano da Anna Frank a quello che succede nei negozi dove le povere donne russe cercano di procurarsi un po’ di cibo per sfamare la famiglia. La sinfonia è stata preceduta da un lavoro giovanile di Shostakovich, il Concerto n. 1 in C minore op. 35 del 1933, con al piano il giovane talento francese Lucas Debargue e tromba solista Leo Wouters, un lavoro molto vitale, fresco e ricca di spunti che testimoniano come Shostakovich stesse indagando diverse tendenze.

La seconda sera invece ha suonato l’Orchestre Philharmonique Royal de Liège proponendo innanzitutto la Suite Op. 114 a Katerina Ismailova, una sintesi dei quattro atti della più famosa opera di Shostakovich, Lady Macbeth del distretto di Mtsensk, lavoro espressionista ma, sulla direzione del russo Vassily Sinaisky, lo è sembrato fin troppo, caricata sui forte, tempo molto veloce, senza quella precisione e nettezza di tocco necessari per non perderne la finezza nella brutalità. Godibilissimi invece i successivi Canti e danze di morte scritti da Modest Mussorgsky tra il 1875 e il 1877 e orchestrati da Shostakovich nel 1962. Ad interpretare le quattro parti, un altro basso russo, Evgeny Niktin, che ha compensato con un’ottima interpretazione, aiutata anche da ampi gesti, qualche difficoltà tecnica. In chiusura della seconda serata, proposta l’ultima sinfonia di Shostakovich, la Quindicesima, del 1971, puramente strumentale con le celebri citazioni insieme dal Guglielmo Tell di Rossini e dal Tristano e Isotta e dall’Anello dei Nibelunghi di Wagner.

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