O amore de povertate


11 Ago 2013 - Dischi

Scheda critica di Alberto Pellegrino

Il musicologo Francesco Zimei ha curato una raccolta di canti francescani del XIII secolo pubblicati in un disco intitolato O amore de povertate (Promo Music, Bologna), dove l'interpretazione dei vari brani è stata affidata al complesso corale e strumentale Compagnia Hora decima. Questo insieme di canti rappresenta un documento di fondamentale importanza per la conoscenza della poesia religiosa e della musica medioevale. Infatti i vari brani vengono eseguiti non solo attraverso il canto, ma anche con l'impiego di particolari strumenti che non sono copie di antichi reperti, ma autentici strumenti popolari di diretta ascendenza medioevale (raganelle, campanacci, castagnette, cimbali, flauti doppi, zampogne, cialamelle, zarb, daf, shofar, tamburo degli angeli, lira calabrese, tromba di Massomeli, buccina, tzouras, ghironda, ma anche strumenti di uso comune come la botte e la falce, la troccola e le catene di ferro), che servono agli esecutori per creare suggestive atmosfere musicali.
Questi testi di ambito umbro-marchiagiano, che sono stati selezionati attraverso un'accurata indagine storica con l'ausilio di discipline comparative come la cronachistica e l'iconografia, costituiscono una importante testimonianza del valore della spiritualità francescana e degli influssi positivi che essa ha esercitato sul mondo poetico e musicale del medioevo. L'uso del canto nell'ordine francescano ha avuto fin dalle sue origini una valenza contemplativa secondo l'esempio dato dallo stesso Fondatore: Quando la dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel petto si manifestava all'esterno con parole francesi e la vena dell'ispirazione divina traboccava in giubilo alla maniera giullaresca (Tommaso da Celano, Vita Seconda). Francesco, tuttavia, non seguiva il modello giullaresco solo per cantare le lodi del Signore, ma anche per la predicazione della Parola di Dio, in quanto riteneva che il canto, la musica e la recitazione fossero efficaci mezzi di comunicazione per diffondere il messaggio evangelico. Per questo nel disco si sono voluti mettere insieme sia la tradizione del canto popolare religioso, sia i modelli profani della lauda-ballata e della lauda religiosa; è stato accantonato lo stile declamato di precedenti esecuzioni e si è preferita la forma cantata della ballata suffragata anche dalle fonti ( Si cantano con voci modulate inni spirituali, sostenuti dal dolce suono degli strumento , Tommaso Da Cenano, Vita Prima) con l'aggiunta di code autonome concepite come vere e proprie danze secondo il modello del repertorio storico (saltarello, ghaetta, danza macabra, rota).
Il percorso ha inizio con il canto di esordio A voi gente facciam prego, che probabilmente apriva ogni predicazione francescana, coniugando lauda arcaica e poesia giullaresca; seguono Alleluia e la splendida melodia Sia laudato San Francesco, mentre Chi vuol lo mondo disprezzare è un'allegoria della morte trionfante a metà strada fra le immagini di alcune “Danze macabre” raffigurate all'interno o sui muri esterni della chiese e il forte impatto emotivo di certi canti carnevaleschi. Nella raccolta viene reso omaggio al culto mariano attraverso due canti: Dolce Vergine Maria di Ugo Pazienza da Prato (?) e Madonna santa Maria, composizione attribuita al perugino Ranieri Fasani, fondatore del movimento dei flagellanti , il cui inizio ( Madonna santa Maria/mercè de noi peccatori/faite prego el dolze Cristo/che ne degia perdonare ) coincide con il canto dei penitenti perugini. Infine sono presenti nel disco due testi del grande Jacopone da Todi: il celebre O amor de povertate e un adattamento in forma drammaturgica di O Cristo onnipotente con una suddivisione in quattro scene e l'introduzione di quattro personaggi dialoganti (il Narratore, il Cristo, l'Anima e la Voce del popolo).
Questi canti ci aiutano a capire come Francesco d'Assisi abbia conferito una nuova dignità alla figura del giullare spesso emarginata e diffamata da parte della società civile, guardata con sospettosa diffidenza dalle stesse autorità ecclesiastiche. Francesco, al contrario, ha voluto che i suoi frati andassero per il mondo a predicare e lodare Dio. Voleva che dapprima uno di essi, capace di predicare, rivolgesse al popolo un sermone, finito il quale tutti insieme cantassero le Laudi del Signore come giullari di Dio (Legenda perugina, XLIII), adottando un nuovo modello di comunicazione più vicino alla sensibilità popolare e quindi capace di trasmettere quella religiosità che la complessa ritualità ufficiale rendeva di difficile comprensione per i fedeli. Di fondamentale importanza per raggiungere queste finalità si è rivelato l'uso della lingua volgare che ha favorito il fiorire di una nuova poesia religiosa.
Il maestro Zimei ritiene che sia stato decisivo in questo senso l'incontro avvenuto a San Severino Marche tra Francesco d'Assisi ed un poeta che era chiamato il Re dei Versi perchè era il più rinomato dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni mondane. In breve, la gloria del mondo lo aveva talmente reso famoso che era stato incoronato dall'Imperatore nel modo più sfarzoso (Tommaso da Celano, Vita Seconda, LXXII). Secondo Zimei questo poeta, convertitosi alla regola francescana, era sicuramente un giullare trasformatosi in uno dei più fedeli collaboratori del santo con il nome di Frate Pacifico . A questo gentilissimo maestro di canto Francesco ha consegnato le parole e la musica (purtroppo andata perduta) del suo Cantico delle creature, mettendolo a capo di alcuni frati buoni e spirituali affinchè andassero per il mondo a predicare e lodare Dio (Legenda perugina). Zimei individua questo poeta, che Tommaso da Celano definisce sommo fra coloro che cantavano rime lascive, inventore di rime profane , nella persona di Guglielmo Divini da Lisciano d'Ascoli. Questa figura di Frate Pacifico è ancora abbastanza controversa, perchè il Celano parla genericamente di un re dei versi e di un incontro avvenuto nella Marca di Ancona , mentre San Bonaventura (che aveva come segretario il marchigiano Fra Marco da Mutino) ci tramanda il nome di Pacifico e riferisce che l'incontro con il santo avvenne in un monastero vicino al castello di Sanseverino dove, dopo aver ascoltato una predica, il poeta disse a Francesco toglimi agli uomini e restituiscimi al grande imperatore . Uno storico ascolano, il Civalli, avanza l'ipotesi che possa trattarsi del poeta ascolano Pacifico Masini, accennando alla sua vita scandalosa, usando quasi le stesse parole usate dai cronisti per descrivere la condotta licenziosa del Pacifico convertito da Francesco a San Severino. L'ipotesi più accreditata rimane tuttavia quella di Guglielmo da Lisciano (sembra sia nato intorno al 1150), che era poeta di corte di Enrico IV e della regina Costanza. Si ritiene che l'uomo sia venuto a San Severino per trovare una sua parente monaca nel Converto di Colpersito e che l'incontro con Francesco sia avvenuto intorno al 1212, perchè nel 1217 Fra Pacifico viene nominato primo Provinciale di Francia, dove fonda diversi conventi. Nel 1223 egli fa ritorno in Italia e ricopre l'incarico di visitatore delle clarisse nel periodo 1226-28, quindi ritorna in Francia dove conclude nel 1234 la sua vita terrena.
(Alberto Pellegrino)


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