Mostra a Bologna: Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni figurative


a cura di Vincenzo Pasquali

3 Mar 2022 - Arti Visive, Letteratura, News cinema, Varie

La Cineteca di Bologna ha presentato la mostra su Pasolini a cura di Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi, Gian Luca Farinelli. Una mostra dedicata al grande intellettuale in occasione del centenario della sua nascita a Bologna il 5 marzo del 1922. Dall’1 marzo al 16 ottobre 2022 nello spazio espositivo del Sottopasso di Piazza Re Enzo a Bologna.

(In calce all’articolo tutte le didascalie delle fotografie numerate, con i relativi crediti)

Dalla pittura, che imparò ad amare tra i banchi dell’Università di Bologna agli inizi degli anni Quaranta, al cinema, che lo vide protagonista di una meravigliosa stagione negli anni Sessanta e Settanta. I capolavori dell’arte medievale e rinascimentale rivivono nel cinema di Pier Paolo Pasolini, sono riferimento visivo costante delle sue inquadrature, fonti d’ispirazioni o financo tableaux vivant. Le Folgorazioni figurative furono quelle che illuminarono lo sguardo del giovane Pasolini, quelle che la mostra realizzata dalla Cineteca di Bologna ricostruisce mettendo a confronto le immagini della grande tradizione pittorica e quelle dei film di PPP, lungo un percorso cronologico che va dall’esordio di Accattone nel 1961 all’ultimo, postumo, Salò del 1975. Promossa dalla Cineteca di Bologna, nell’ambito delle celebrazioni del Comune di Bologna e di quelle del Comitato nazionale per il Centenario della nascita di Pasolini, con il patrocinio di Alma Mater Studiorum Università di Bologna, il sostegno del Ministero della cultura e della Regione Emilia-Romagna, la partnership con Tper (con cui è realizzata la galleria di vetrofanie che ritraggono Pasolini esposte nelle pensiline della città) e Trenitalia Tper, e curata da Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli, la mostra Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni figurative sarà aperta al pubblico dal 1° marzo al 16 ottobre (con visite guidate a cura di Bologna Welcome, mentre quelle per le scuole saranno a cura del progetto Schermi e Lavagne della Cineteca di Bologna), inaugurando così i nuovi spazi espositivi del Sottopasso di Piazza Re Enzo (la cui riqualificazione è stata resa possibile grazie ai contributi POR FESR Emilia-Romagna 2014-2020 Asse 6 Città attrattive e partecipate, nell’ambito del progetto dei Laboratori aperti del Comune di Bologna), nel cuore di Bologna, la città dove Pasolini nacque il 5 marzo 1922. Non si tratta di rammentare un semplice dettaglio anagrafico, ma di seguire una traccia. Importante. La traccia che Bologna ha lasciato nella formazione di una delle anime più sensibili del nostro Novecento, dalla nascita, appunto, agli anni del liceo e dell’università, con un maestro come Roberto Longhi che ne plasmò lo sguardo e lo instradò verso una passione, quella per l’arte figurativa, che lo accompagnerà lungo tutto il suo poliedrico percorso creativo. Una vera e propria folgorazione.

La formazione dello sguardo: Roberto Longhi

Come ci ricorda Marco Antonio Bazzocchi nel saggio introduttivo al catalogo della mostra, pubblicato dalle Edizioni Cineteca di Bologna, “Pasolini ha imparato a leggere i dipinti negli anni Quaranta, grazie all’insegnamento di Roberto Longhi, che nell’autunno del 1941, a Bologna, in via Zamboni 33, ha spiegato a un ristrettissimo gruppo di studenti le differenze tra la pittura di Masaccio e quella di Masolino. Per farlo ha usato una tecnica critica assolutamente nuova, proiettando sullo schermo dell’aula i vetrini che riproducono le immagini di alcuni particolari delle opere d’arte analizzate. Lì, dai particolari, dai frammenti di un’opera, Longhi ricostruisce lo stile dell’artista, sa distinguere le fasi del suo percorso, le sa mettere in rapporto con quello che viene prima ma anche con quello che verrà poi. Particolari e frammenti di realtà, un viso, una mano, un lembo di veste. Corpi sezionati, esaminati a pezzi, osservati come oggetti d’amore. Per Pasolini in quei vetrini si consuma una folgorazione dove prende posto tutto il suo mondo futuro: la sua idea della Realtà come oggetto unico di attenzione, il bisogno di leggere sempre nei volti l’alterità, la diversità, la spinta a uscire fuori di sé per conoscere il mondo, e infine la carica erotica. Ogni film di Pasolini è progressivamente la costruzione di una bellezza che saccheggia ampie zone dell’arte italiana o europea per ridare dignità espressiva a ciò che non la avrebbe. I suoi film, complessivamente, disegnano una storia dell’arte in forma di cinema”.

Un itinerario tra arte figurativa e le rielaborazioni pasoliniane

“La mostra – secondo i curatori Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli – sarà un itinerario figurativo all’interno dell’immaginario di Pier Paolo Pasolini: ogni sezione corrisponderà a uno snodo fondamentale del suo percorso artistico e formativo, dall’insegnamento di Longhi alla pittura friulana, dalla scoperta di Roma e del cinema all’amore per le culture arcaiche, alla condanna della massificazione consumistica. Il filo conduttore del percorso sarà dato dai dipinti e dai disegni dell’arte della grande tradizione italiana e internazionale e di quella contemporanea che Pasolini ha assorbito nel proprio sguardo e ha rielaborato e reinventato nelle sue opere creando un immenso sistema visivo-scritto. Ogni sezione avrà un tema centrale che verrà illustrato dalle riproduzioni pittoriche e dai testi di Pasolini che le accompagnano, oltre che da audiovisivi comprendenti sequenze dei suoi film e dei suoi interventi. Così l’intera opera di Pasolini e il percorso del suo pensiero e del suo immaginario verranno raccontati attraverso un montaggio di immagini che corrisponderà a un racconto visivo”.

La mostra come capitolo centrale delle iniziative della Cineteca di Bologna per i 100 anni di PPP

La mostra rappresenta il capitolo centrale, ma non unico, dell’omaggio che la Cineteca di Bologna dedica a Pasolini e che si compone inoltre di una pubblicazione, Pasolini e Bologna. Gli anni della formazione e i ritorni, che si aggiunge al già citato catalogo della mostra che verrà presentato nel giorno del compleanno di PPP, sabato 5 marzo, alle ore 17.30, in Biblioteca Salaborsa; un convegno allo Stabat Mater dell’Archiginnasio in programma giovedì 3 marzo, alle ore 17.30, con gli interventi di Anna Tonelli, Marco Antonio Bazzocchi, Stefano Casi, Roberto Chiesi, Andrea Cerica, Stefania Rimini; altro volume che verrà presentato, sarà quello delle Lettere, edito da Garzanti, martedì 15 marzo, alle ore 21, nell’Aula Magna dell’Università di Bologna in Piazza Scaravilli, alla presenza di Graziella Chiarcossi e della curatrice del volume Antonella Giordano. E poi la retrospettiva integrale, sempre a Bologna, al Cinema Lumière, dei film di PPP e la distribuzione (in collaborazione con CSC – Cineteca Nazionale) su tutto il territorio nazionale di alcuni tra i titoli più rappresentativi, grazie al progetto Il Cinema Ritrovato. Al cinema, con il quale la Cineteca di Bologna porta da un decennio nelle sale italiane i classici restaurati.

LE SEZIONI DELLA MOSTRA

A lezione da Roberto Longhi

Alla morte di Roberto Longhi, nel 1970, Pasolini scrive un bellissimo ricordo del professore di cui nell’inverno del 1941 aveva seguito il corso di storia dell’arte medievale e moderna. Pasolini commemora in lui colui che, nel mezzo dell’epoca fascista, aveva saputo eliminare qualsiasi inutile retorica dalla lettura esatta, storicamente fondata, delle opere d’arte. Longhi aveva creato, nell’auletta universitaria di via Zamboni 33, l’atmosfera magica di un’isola felice dove gli studenti vedevano scorrere le immagini proiettate sullo schermo e commentate con attenzione in tutti i loro particolari. Così, diceva Pasolini, era nata la sua attenzione per il cinema: immagini cariche di bellezza che esprimono il “sacro” della realtà.

La luce friulana

A cominciare dal 1943, i soggiorni sempre più frequenti in Friuli portano Pasolini a contatto con un ambiente artistico provinciale ma molto vicino a quella lingua espressiva minore che è il dialetto friulano, adottato per la prima raccolta, Poesie a Casarsa. Pasolini cerca nella pittura qualcosa di simile al dialetto, in modo che i grandi temi dell’arte moderna (espressionismo, cubismo) siano trasportati nella dimensione della provincia. “La pittura è nel Friuli il genere artistico che dà i risultati più brillanti”: così inizia un dettagliato articolo sul “Messaggero Veneto” del 21 settembre 1947, dal titolo La luce e i pittori friulani. Possiamo ritrovare le idee di Pasolini in questa frase, che in qualche modo anticipa una tecnica presente anche nel cinema futuro: “La luce è ancora attiva, dinamica: cadendo sull’oggetto da un dato sempre naturalistico (il sole) lo deforma arricchendolo o corrodendolo”.

A Roma come Caravaggio

Cacciato dalla scuola dove insegnava, dal PCI dove militava, costretto a lasciare Casarsa con il marchio, all’epoca infamante, dell’omosessualità, il 28 gennaio 1950 Pasolini si trasferisce con la madre a Roma. Scopre così la “stupenda metropoli plebea” ma soprattutto il mondo delle borgate che circondano la capitale, un mondo fuori dalla storia e pagano, con un’umanità reietta di esclusi, di ragazzi di vita e di morte che si imporranno alla sua ispirazione di poeta (Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo), narratore (Ragazzi di vita, Una vita violenta, Alì dagli occhi azzurri) e più tardi di regista (Accattone, Mamma Roma, La ricotta). Un’analogia fra Pasolini e Caravaggio appare quasi inevitabile: entrambi “maledetti”, entrambi ispirati dalla vitalità e dalla morale senza regole dell’universo popolare che pulsa ai margini della società borghese, entrambi decisi a immergersi in quel mondo. Ma non è solo un nesso biografico. Come ha rilevato Francesco Galluzzi, il rapporto è anche un rovesciamento: “Mentre il Caravaggio raffigurava i santi come popolani, Pasolini ambiva a raffigurare i popolani come santi”.

La rabbia

La rabbia è il rifiuto dell’adattamento: adattamento alla normalità dei primi anni Sessanta, alla mediocre democrazia (inquinata da scorie fasciste) che governa l’Italia, alla realtà manipolata e falsificata dai cinegiornali, all’avvento trionfale della televisione. Soprattutto, adattamento all’avvento del neocapitalismo e di una modernizzazione che ha investito brutalmente il Paese. Pasolini vede il profilarsi di una nuova Italia, uscita dagli anni Cinquanta, che sta per essere miracolata dal boom economico. La rabbia costituisce una delle sue prime opere dove la fisionomia reale di questo “nuovo corso” viene stigmatizzata come una falsa chimera di progresso e un effettivo processo di degradazione sociale e culturale.

I manieristi e l’invenzione del colore

All’inizio degli anni Sessanta Pasolini si appropria della nozione di “manierismo” elaborata dagli storici dell’arte. Longhi ne aveva parlato nel 1953 come di “umori balzani, lunatici, spesso introversi”. A cui si accompagnano tecnica raffinata, astrattezza, intellettualismo. Nel 1961 lo studio di Giuliano Briganti (La maniera italiana) sottolinea la bizzarria di questi artisti, il loro modo di stravolgere la tradizione classicistica citandola, l’artificiosità delle pose e dei colori, in altre parole l’intensità di uno “stile” elaborato che si contrapponeva al classico e ancora non era barocco. Pasolini pensa di poter individuare alcuni scrittori che sono riconducibili a questi elementi, in particolare fa il nome di Anna Banti (la moglie di Longhi) e di Giorgio Bassani. Lui stesso si definisce “manierista”, soprattutto nelle composizioni poetiche che confluiranno nella raccolta del 1964, Poesia in forma di rosa. La traccia dei manieristi è molto esplicita nel cinema, specialmente nel passaggio tra Mamma Roma, La rabbia, e La ricotta.

Favole e parabole

Nel 1964 Pasolini realizza un film dal Vangelo di Matteo. Il film vuole riecheggiare la tradizione figurativa dell’arte sacra, come sempre mescolata e sovrapposta. Dopo i toni sublimi del Vangelo, Pasolini muta registro e adotta una leggerezza “mozartiana” per raccontare un film-favola, Uccellacci e uccellini, un apologo sull’Italia degli anni Sessanta, dove sono svaniti gli ideali del marxismo e si sta affermando una nuova società. Sulla linea di una leggerezza favorita dal rapporto tra Totò e Ninetto, Pasolini avrebbe voluto girare un film in vari episodi ma riuscirà a realizzarne soltanto due. Il primo è un apologo sulla condizione umana, La terra vista dalla luna (1966), di cui lo stesso Pasolini disegnò lo storyboard, mentre il secondo, Che cosa sono le nuvole? (1967), gioca con l’Otello di Shakespeare messo in scena in un povero teatrino di marionette, che si interrogano sul rapporto tra verità e finzione.

I volti della borghesia

Dopo il 1966, in concomitanza con la stesura di sei tragedie, Pasolini decise di ambientare testi di teatro, di narrativa e i propri film all’interno di case borghesi e della loro “irrealtà”. Per la prima volta gli odiati borghesi divennero protagonisti delle sue opere: la famiglia costituita dal padre Paolo, la madre Lucia, la figlia Odetta e il figlio Pietro di Teorema, romanzo e film; il marito e la moglie di Orgia; il padre e il figlio di Affabulazione; un altro padre e un altro figlio, Klotz e Julian, il rivale e coetaneo del padre Herdhitze di Porcile, tragedia teatrale e film; i quattro Signori di Salò e l’ingegnere Carlo Valletti del romanzo incompiuto Petrolio.

Il sogno del passato

Tra il 1967 e il 1970 Pasolini progetta e realizza tre film mitologici, Edipo re, Appunti per un’Orestiade africana, Medea. Per quanto riguarda le scelte visive, decide di abbandonare qualsiasi riferimento all’arte occidentale e di spostare tutto in luoghi esotici: il Marocco, l’Uganda, la Tanzania, la Turchia. Una scelta profondamente innovativa rispetto al modo con cui fino ad allora era stato concepito il film in costume. Pasolini rifiuta la Grecia classica, così come per il Vangelo aveva rifiutato i territori israeliani. Viene ignorato qualsiasi riferimento banalmente “realistico”. Pasolini vuole “inventare” il mito a partire da una realtà straniata, non convenzionale, e innestare gli intrecci tragici dentro mondi lontani. Un’operazione simile viene fatta per i costumi, ideati con la collaborazione di Danilo Donati (Edipo) e di Piero Tosi (Medea). Pasolini immagina soprattutto copricapi bizzarri, vagamente ispirati all’arte africana per Edipo, mentre per Medea viene creato un pesante abito di lana scura ispirato alle culture dei Balcani, con grosse collane che risuonano a ogni movimento. Ancora più radicale quanto avviene per l’Orestiade: Pasolini inquadra i visi e i corpi degli africani, commentando direttamente con la sua voce a quale personaggio potrebbero corrispondere.

Le immagini del genocidio

Salò o le 120 giornate di Sodoma viene concepito da Pasolini secondo un progetto visivo molto elaborato. Lui stesso sottolinea che si tratta di un film per il quale ha valutato con attenzione ogni minima scelta, compresi gli oggetti che compaiono anche per pochissimi secondi. I primi minuti del film sono girati in esterno, sul lago di Garda, e hanno colori molto caldi, da pittura veneziana. Pasolini utilizza luoghi diversi per la resa della villa dove si svolge poi l’azione: Villa Aldini a Bologna per la facciata neoclassica da cui si affacciano i Signori e iniziano a dare ordini alle vittime; la stanza interna delle orge viene ricavata dentro Villa Zani di Villimpenta, progettata da Giulio Romano in provincia di Mantova; la settecentesca Villa Riesenfeldt di Pontemerlano offre lo spazio del salone da pranzo e della sala con gli specchi déco. Per girare la sequenza iniziale della selezione, Pasolini usa invece Villa Sorra di Calstelfranco Emilia, di cui viene inquadrata la facciata e viene sfruttato lo spazio a vetri dell’aranciera per la selezione delle vittime maschili.

Non esiste la fine

Negli ultimi mesi Pasolini torna anche al disegno e inizia a considerare la presenza della fotografia all’interno delle sue opere. Nella copertina della raccolta La nuova gioventù viene inserita una foto di Pasolini diciottenne, come ad alludere a un ritorno impossibile del passato. Nell’ottobre del 1975, il giovane fotografo Dino Pedriali realizza un servizio fotografico che si svolge tra Sabaudia e la Torre di Chia. Si tratta ancora una volta di una vera e propria performance nella quale Pasolini si presta a recitare il ruolo di se stesso. Nel grande spazio che usa come laboratorio, vediamo il poeta in ginocchio mentre sta realizzando alcuni disegni a carboncino. Sono ritratti di Roberto Longhi, il maestro conosciuto all’università nel 1942. Pasolini utilizza la foto di Longhi che si trova sul cofanetto del volume che esce nel 1973 e raccoglie i saggi più importanti dello storico dell’arte, curati da Gianfranco Contini. Con questa misteriosa allusione a Longhi (e implicitamente a Contini, che lo aveva scoperto come poeta) Pasolini sembra voler chiudere il cerchio della sua avventura intellettuale, rievocando il maestro al quale risaliva la sua “folgorazione figurativa”. Forse questo è il segno della fine di una fase di sperimentazione e di inizio di una nuova ricerca. Oppure, come dice Nunzio in Porno-Teo-Kolossal, “nun esiste la fine”.

DIDASCALIE DELLE FOTO NUMERATE:

01. Piero della Francesca – Madonna del parto (1455); Affresco, dimensioni originali 203×260; Museo di Monterchi. Per gentile concessione del Museo di Monterchi; © Comune di Monterchi 2018 – Musei Civici Madonna del Parto

01b. Il Vangelo secondo Matteo (1964); © Cineteca di Bologna / Angelo Novi

02. Rosso Fiorentino – Deposizione (1521); Olio su tavola, 201×341; Pinacoteca e Museo Civico, Volterra. Per gentile concessione della Pinacoteca Civica di Volterra

02.b La ricotta, episodio da Ro.Go.Pa.G. (1963); Still da restauro

03. Piero della Francesca – dettaglio del trombettiere dalla Battaglia di Eraclio e Cosroè. Leggenda della vera croce (particolare: La battaglia di Eraclio e Cosroè) (1452-66); Affresco; Cappella Bacci, Basilica di San Francesco, Arezzo. Su concessione del Ministero della Cultura. Direzione regionale Musei della Toscana-Basilica di S. Francesco di Arezzo. Immagine metrica in alta definizione realizzata da Culturanuova s.r.l. – Arezzo

03b. Il Vangelo secondo Matteo (1964); © Cineteca di Bologna / Angelo Novi

04. Piero della Francesca, dettaglio degli uomini con copricapo dall’Esaltazione della Croce. Leggenda della vera croce (particolare: L’esaltazione della Croce) (1452-66); Affresco; Cappella Bacci, Basilica di San Francesco, Arezzo. Su concessione del Ministero della Cultura. Direzione regionale Musei della Toscana-Basilica di S. Francesco di Arezzo. Immagine metrica in alta definizione realizzata da Culturanuova s.r.l. – Arezzo

04b. Il Vangelo secondo Matteo (1964); © Cineteca di Bologna / Angelo Novi

10. Performance artistica alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, realizzata da Fabio Mauri, dal titolo Intellettuale. Sul corpo di Pasolini vengono proiettate le immagini del film Il Vangelo secondo Matteo. 31 maggio 1975. © Cineteca di Bologna / Antonio Masotti

11. Performance artistica alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, realizzata da Fabio Mauri, dal titolo Intellettuale. Sul corpo di Pasolini vengono proiettate le immagini del film Il Vangelo secondo Matteo. 31 maggio 1975. © Cineteca di Bologna / Antonio Masotti

INFORMAZIONI

Pier Paolo Pasolini – FOLGORAZIONI FIGURATIVE

  • Bologna, Sottopasso di Piazza Re Enzo
  • 1° marzo – 16 ottobre

Giorni e orari di apertura

  • Lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì dalle 14 alle 20
  • Sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 20

Giorno di chiusura

  • martedì

Biglietti: intero €10, ridotto €7

Info: www.cinetecadibologna.it

  • A cura di Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi, Gian Luca Farinelli
  • Promossa da: Fondazione Cineteca di Bologna e Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini nell’ambito delle celebrazioni del Comune di Bologna – PPP 100 anni di Pasolini a Bologna e del Comitato nazionale per il Centenario della nascita di Pasolini
  • Con il sostegno di: Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, Regione Emilia-Romagna
  • Con il patrocinio di: Alma Mater Studiorum Università di Bologna
  • Partner: Tper e Trenitalia Tper
  • In collaborazione con: Bologna Welcome
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