“Maria Stuarda” su tutto allo Sferisterio Opera Festival


Alberto Pellegrino

6 Ago 2007 - Commenti classica

Con la Maria Stuarda, questa opera di Gaetano Donizetti troppo spesso dimenticata, è stato portato sul palcoscenico dello Sferisterio di Macerata un autentico gioiello del belcanto all'italiana composto nel 1834 su libretto di Giuseppe Bardari che ricalca con sufficiente fedeltà e una certa eleganza il dramma di Schiller incentrato sullo scontro di due regine: da una parte Maria Stuarda portatrice di nobili sentimenti e di un'estrema fierezza testimoniata fino alla morte (anche se nella storia non sia andata proprio in questo modo); dall'altra Elisabetta d'Inghilterra fiera del proprio potere perseguito e gestito con indubbia intelligenza, forte fino alla spietatezza nel fronteggiare i propri nemici, che in parte subisce come uno stato d'inferiorità il fascino anche sessuale della sua cugina-rivale arrivata al punto di averla espropriata dell'amore del conte di Leicester, rimasto affascinato dalle grazie della Stuarda. La chiave interpretativa nel secondo atto, quando l'incontro fra le due regine doveva dare l'avvio a una sperata riappacificazione e si trasforma invece in scontro mortale per l'infelice ma fiera Maria. Donizetti compone per questo melodramma una musica traboccante di poesia che tratteggia soprattutto il personaggio di Maria come un angelo d'amor complesso e variegato incontro fra un bel sembiante e una profonda spiritualità ritrovata in pieno una volta assunta la certezza di una morte vicina e ineluttabile. Ancora momenti di coinvolgente poesia musicale quando la Stuarda riscopre la bellezza della natura dopo mesi di segregazione nel carcere, oppure nello struggente duetto d'amore intrecciato con l'amato Leicester. Se il secondo atto è il momento dell'amore, della speranza, della umiliazione di fronte alla rivale e della riscoperta fierezza in faccia alla morte, il primo atto è segnato dalla presenza costante di Elisabetta che si aggira nel suo palazzo di Westmister, ancora incerta sul destino da riservare alla sua nemica, ma poi divorata dalla gelosia e pronta a colpire la rivale una volta scoperto l'amore fra lei e il suo Liecester. Il terzo atto infine è il momento della meditazione e della preghiera e della morte. La gran preghiera pronunciata da Maria e dai suoi familiari è una delle pagine più alte e commoventi del melodramma del primo Ottocento, così come assume un'aura di grande solennità l'attesa della morte imminente con le due arie appassionate che Maria innalza al cielo ( D'un cor che muor reca il perdono e Ah! Se un giorno da queste ritorte ) che rappresentano un coinvolgente, commovente e nello stesso tempo fiero addio alla vita.
Un grande merito del successo dell'opera spetta al giovane M Riccardo Frizza che si è dimostrato profondo e sensibile interprete di questo spartito (del resto altre volte diretto con efficacia in un recente passato), riuscendo a cogliere tutte le sfumature della musica di Donizetti, tutti i raffinati passaggi compositivi che segnano quest'opera dall'inizio alla fine. Il direttore è stato ben assecondato dall'Orchestra Filarmonica Marchigiana e dal Coro Bellini, chiamato ancora una volta a sostenere una prova alquanto impegnativa. Finalmente un cast di cantanti di alto livello, perfettamente amalgamato ed equilibrato in tutte le sue voci a cominciare dai ruoli maschili di Cecil (Mario Cassi), Talbot (Simone Alberghini) e del giovane tenore Roberto Di Biasio che ha saputo profondere il giusto ardore romantico nel personaggio del conte di Leicester. Una mensione a parte meritano le due interpreti femminili: il mezzosoprano Laura Polverelli ha disegnato con eleganza e fierezza il personaggio di Elisabetta, i suoi furori, i suoi dubbi, le sue gelosie; il soprano Maria Pia Piscitelli è stata una splendida Maria Stuarda, appassionata, dolente, fiera, chiusa nella sua dignità di condannata a morte pronta a ricordare le sue colpe del passato ma anche consapevole della sua presente innocenza, una grande prova di canto che ha coinvolto quel pubblico che sa apprezzare le grandi prove interpretative.
Pier Luigi Pizzi, con un coraggio che solo lui può permettersi, ha ripresentato la stessa scena del Macbeth, che ha tuttavia assunto un nuovo sapore nel contesto diverso dell'azione, con la grata di fondo a ricordare il carcere duro di Maria, con i due piani inclinati destinati a segnare il confine tra chi gestisce con forza e fierezza il potere e chi è caduto in disgrazia e il potere l'ha perduto per sempre. Del resto il Maestro non ha mai nascosto le sue intenzioni nell'assumere la direzione dello Sferisterio Opera Festival: Essenzialità e rigore sono il segno costante e progressivo di uno stile che la mia ostinata idea di teatro etico pretende, senza tuttavia rinunciare alla bellezza come appagamento estetico e spirituale . E nel caso della Maria Stuarda il miracolo della bellezza è stato affidato alla sfolgorante bellezza dei costumi, segnati dall'armonia delle forme dalla raffinatezza dei colori, dalla sapiente disposizione degli interpreti e delle masse corale, tutti scolpiti dalle straordinarie luci lunari di quel mago che è Sergio Rossi. Opera quindi tutta bellissima, anche se mi hanno particolarmente colpito tre momenti che mi hanno emotivamente segnato: il sestetto del primo atto nel suo allineamento cromatico e nel suo schieramento prossemico; il bacio rubato da Elisabetta, con improvvisa violenza a Leicester; la scena finale di raccolta e intima preghiera mentre in alto incombe, grigia e inquietante, la figura del boia che si prepara a giustiziare la Stuarda. Momenti struggenti dove la poesia del sentimento supera la dura tematica del potere.
(Alberto Pellegrino)


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