La 27 Biennale Internazionale dell’Umorismo nell’Arte


Alberto Pellegrino

27 Ago 2013 - Altre Arti, Eventi e..., Arti Visive

TOLENTINO (MC) – Riteniamo che l’aspetto più valido della 27^ Biennale Internazionale dell’Umorismo nell’Arte di Tolentino sia un ritorno all’umorismo “puro”, senza infingimenti e scappatoie. Senza “se” e senza “ma” così com’era stato ideato nel 1961 dal suo fondatore Luigi Mari. È innegabile che l’umorismo disegnato stia attraversando una certa crisi ma fin quando ci sono artisti sperimentati e giovani autori apportatori di nuove energie che quest’antica forma di arti possa continuare a vivere nella società globalizzata e magari a percorrere nuove strade della comunicazione elettronica. L’edizione 2013 ha dato quattro segnali positivi: l’individuazione di un tema (O combatti o scappi, oppure ridi) che ha stimolato positivamente la creatività degli autori; l’alto numero di partecipanti (480 autori con 1019 opere), le numerose nazioni rappresentate (53), un nuovo modo di procedere nella selezione delle opere e nella proclamazione dei vincitori. Quest’anno una Giuria tecnica ha selezionato le 76 opere da esporre nella mostra; quindi la Giuria generale, presieduta da Paola Ballesi, ha individuato sei opere ritenute valide di ricevere i tre premi previsti dal regolamento; a questo punto la Biennale si è aperta al pubblico ed è entrata in funzione la Rete per stilare una classifica dei vincitori: tra il 24 maggio e 14 giugno 7.498 votanti hanno provveduto a stilare, con i loro voti, la graduatoria dei sei autori indicati dalla Giuria e, guardando i risultati, si scopre che i votanti Escapehanno fatto un’ottima scelta. Il 1° premio assoluto è andato al turco Gumus Musa con Escape (2.070 voti), dove sullo sfondo s’intravedono i ruderi di una città sotto le bombe, mentre su un pezzo di muto sbriciolato un bambino si affaccia a una finestra intorno alla quale ha disegnato un aereo con il quale sogna di volare, una perfetta sintesi del tema della Biennale. Il secondo premio è stato assegnato all’italiano Toni Vedù per l’opera Una risata vi seppellirà (1,389 voti), nella quale un burlone applica un rosso naso da pagliaccio sul viso della Morte. Il terzo premio è toccato all’italiano Manuel Riz con The conquist (1.243 voti), in cui si vede l’ormai classica immagine dei marines a Iwo Jima con un clown che usa la bandiera che compie un fantastico salto con l’asta verso un futuro di pace. Le altre opere classificate sono nell’ordine: Smile, un video di Dario Picarello; Le prodezze quotidiane della signora Maria, una scultura di Anna Trezzari; Ninja, una inquietante scultura di Tiziana Talè che forse meritava un piazzamento migliore. È significativo che, invertendo una radicata tendenza della Biennale, quest’anno, sui sei primi classificati vi siano ben cinque italiani, segno che si è notevolmente innalzata la qualità degli autori italiani, i quali hanno costituito il gruppo maggiore con 150 presenze. Per le Americhe sono presenti 28 Paesi, per l’Asia e il Medio Oriente 26, per l’Europa 58 con la significativa presenza di Polonia e Germania (9 autori), Belgio (8) e Francia (7). Come sempre nutrita la presenza di Paesi dell’Est europeo che hanno in tutte le edizioni linfa e sapore alla Biennale: Romania (18 autori), Serbia (13), Croazia (12), Russia (12), Bulgaria (11), Ucraina (9). Particolarmente nutrita la partecipazione di Iran (58 autori) e Cina (25) e questo rappresenta la maggiore novità di questa edizione e il segno che in quei Paesi la satira è ancora viva. Gli autori più interessanti ci sono sembrati Wei Gao e Giulai Gao (Cina), Reza Dalvand, Ojan Shirozhan e Masha Erbrahimi (Iran, Boris Erenburg (Israele), Victor Crudu (Moldavia) Ignat Mihai (Romania), Mikhail Zlatkovsky (Russia), Alessandro Ferrari, Tommaso Gianno, Marco Marilungo e Milo Renzi (Italia). Molto bella ci è sembrata la mostra personale di Anastasia Kurakina, vincitrice della precedente Biennale, tutta giocata sul binomio Satira-Morte, mentre appare molto datata la personale di Abele Malpiedi, un’artista concettuale quando questa corrente è defunta da un pezzo.
Come manifestazione parallela alla Biennale è stata allestita la mostra Lineis et Coloribus. La Scuola Romana e il meglio della pittura degli Anni Trenta con opere provenienti dalla collezione di Palazzo Ricci della Fondazione Carima e di collezionisti privati con un imponente schieramento di nomi: Scipione, Mafai, Cagli, Antonietta Raphael, Capogrossi, Melli, Donghi, De Pisis, De Chirico, Guidi, Maccari, Bartolini, Licini, Crucianelli, Pirandello Tamburi, Guttuso, Levi, gli scultori Pazzini e Martini, artisti che hanno segnato con la loro presenza il nostro Novecento.
La Scuola Romana ha segnato la storia artistica italiana degli anni Trenta, raccogliendo un gruppo di artisti impegnati a rileggere la realtà nazionale con occhi diversi rispetto al culto accademico dell’arte di regime. Giustamente il direttore artistico Evio Hermas Ercoli dice che “La Scuola Romana è la risposta intima di quei poeti del figurativo che hanno guardato oltre confine, attingendo all’espressionismo europeo e ristabilendo il legame viscerale con Roma e il suo mito dell’antico, il culto del “mestiere” e della sperimentazione, e, soprattutto, una profonda insofferenza verso un’idea di arte come espressione di un Regime”. Perfetto!
Allo sprovveduto visitatore, anche se affascinato da tanta bellezza, forse può venire spontaneo chiedersi: che cosa c’entra questa bella panoramica artistica con la Biennale dell’Umorismo? Forse le uniche opere capaci di suscitare un brivido d’ironia sono la verde maschera della Natura morta (1935) di Afro Libio Basaldella (giustamente messa nella copertina del bel catalogo) e la celebre Papera (1930-1931?) di Alberto Savinio. Questa donna elegantissima con la testa di una papera è un capolavoro carico di assoluti valori satirici come scrive l’autore: “La testa d’animale è la ricerca del carattere. Al di là degli eufemismi della natura, al di là dalle correzioni della civiltà, al di là degli abbellimenti dell’arte…E’ un metafisico darvinismo nel quale si cela forse anche la cristianissima intenzione di umanizzare il mostro”.
Probabilmente, volendo indagare il periodo storico tra le due guerre mondiali, sarebbe stato più attinente alla Biennale presentare quelle riviste che hanno rappresentato la “fronda al fascismo” a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta. Il Selvaggio (1924-1943), fondato da Mino Maccari, ha aggregato intorno a sé una schiera di artisti come Longanesi, Savinio, Soffici, Bartolini, Morandi, Mafai, Rosai e Guttuso. Un altro foglio importante è stato Omnibus (1937-1939) di Leo Longanesi e un periodico di grande rilievo politico e sociologico è stato il Bertoldo (1936-1943), fondato da due raffinati umoristi come Vittorio Metz e Giovanni Mosca, sulle cui pagine si sono fatti le ossa umoristi del calibro di Giovanni Guareschi, Carlo Manzoni e Marcello Marchesi. Sul versante più popolare uguale importanza ha avuto il Marc’Aurelio (1931), definito “una pietra miliare nella storia della stampa umoristica e satirica” per la sua fitta schiera di disegnatori, tra cui spiccano i nomi di Attalo, Barbara e De Seta, e di collaboratori come Metz, Mosca, Amurri, Fellini, Marchesi, Scarpelli, Steno, Zapponi, Verde e Zavattini.

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