“Il canto della rinascita”, n(u)ove musiche a Milano


di Andrea Zepponi

9 Ott 2020 - Commenti classica

Nove compositori per nuove musiche alla Sala Verdi del Conservatorio, per la Società del Quartetto di Milano. Protagonisti l’ensemble Sentieri Selvaggi diretto da Carlo Boccadoro, Carmela Remigio, Monica Bacelli, Elio De Capitani.

N(u)ove musiche per la Società del Quartetto di Milano, fondata nel 1864, sono state eseguite in prima assoluta alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano il 6 ottobre 2020 ore 20 per affrontare con uno spirito nuovo la prospettiva aperta dal covid-19 e i traumi della sofferenza e della perdita patiti in questi lunghi mesi. Nove compositori per nove creazioni di nuova musica Paolo Arcà, Marco Betta, Carlo Boccadoro, Silvia Colasanti, Michele Dall’Ongaro, Matteo D’Amico, Ivan Fedele, Carlo Galante e Fabio Vacchi, hanno accettato a titolo gratuito di esibire le loro composizioni consapevoli della flebile voce dell’arte nel paesaggio postmoderno e del suo potere liberatorio per far prevalere una voce su tutte, quella della speranza. L’esecuzione è stata affidata all’ensemble Sentieri selvaggi, sotto la guida del M° Carlo Boccadoro. Il concerto ha avuto in primo piano le voci soliste di due signore del canto lirico italiano: Carmela Remigio (soprano) e Monica Bacelli (mezzosoprano). Il brano finale ha avuto la partecipazione di un attore d’eccezione, Elio De Capitani che ha declamato un testo firmato da Mariangela Gualtieri. Programmaticamente il direttore artistico Paolo Arcà aveva sottolineato: «Le nove composizioni utilizzeranno testi di diversa provenienza e atmosfera, scelti da ciascun compositore in base alle proprie affinità intellettuali e poetiche; due brani saranno solo strumentali. Tale pluralità e varietà di suggestioni è garanzia della massima libertà creativa. Si tratta di autori tutti accomunati da una scrittura di forte presa comunicativa ed emotiva». In effetti il programma variegato in diverse combinazioni dell’ensemble è stato godibilissimo e ha avuto un degno successo scongiurando il rischio di cadere nella retorica grazie alla consapevolezza dei musicisti di non volere attingere all’assoluto e di avere dato il proprio contributo al tema della “rinascita” in sintonia con il proprio immaginario compositivo.

Questo il programma:

Carlo Galante: Aforismi di guarigione, piccola cantata per mezzosoprano e sei strumenti,

Ivan Fedele: 4 Haiku per voce femminile, clarinetto basso, violoncello e percussioni,

Matteo D’Amico: Ecco mormorar l’onde, madrigale per voce e sei strumenti su testo di Torquato Tasso,

Paolo Arcà: Alleluia, una speranza, per soprano e sei strumenti,

Carlo Boccadoro: Dopo per ensemble,

Fabio Vacchi: Par les soirs bleus d’été per voce ed ensemble su testo di A. Rimbaud,

Michele Dall’Ongaro: Win per flauto, clarinetto, violino, viola, percussione e pianoforte,

Marco Betta: Abbraccio madrigale per soprano, mezzosoprano, flauto, clarinetto, violino, violoncello, vibrafono e pianoforte su testo di Davide Camarrone.

Silvia Colasanti: Nove marzo duemilaventi, per voce recitante e ensemble su testo di Mariangela Gualtieri.

L’appartenenza dei nove compositori a diverse generazioni, tutte con differenti percorsi artistici, non ha impedito di far trovare loro un punto comune di convergenza configurato come scelta di campo fuori da ogni atteggiamento ideologico, lontano dai dogmatismi dell’avanguardia post-weberniana e al contempo dalle semplificazioni del postmodernismo. Uniformati ma non conformi a questa linea, dato che ognuno si è espresso in modalità e misure diverse, i musicisti non hanno rinunciato alla complessità della scrittura connessa a una risorgente volontà comunicativa – che oggi viene mistificata in certa avanguardia musicale da un pensiero unico livellante – e hanno dimostrato la loro disponibilità ad annettere nel proprio linguaggio diversi modelli anche di una tradizione liberamente scelta come giacimento di virtualità per il futuro in cui si ritrovano insieme il recupero del parametro melodico e, direi, di una sintassi di tendenza tonale, il ritrovamento di gesti sonori “gestalticamente” riconoscibili, una ricerca timbrica arricchita dalle più avanzate acquisizioni del modernismo e infine la riscoperta della “narratività” come modus operandi privilegiato per veicolare, attraverso la musica, storie e percorsi su testi letterari. Il ristretto organico, costituito da flauto, clarinetto in si bemolle, percussioni, pianoforte, violino e violoncello guidato dal M° Boccadoro che si impegna da tempo alla diffusione del repertorio contemporaneo, ha stimolato gli ascoltatori ad un ascolto attivo intellettualmente secondo l’impostazione voluta dalla Società del Quartetto che “intende ampliare il proprio pubblico con la forza di una secolare attività al servizio della musica e della cultura”. I due brani solamente strumentali, quello di Dall’Ongaro e dello stesso  Boccadoro, hanno delineato un preciso itinerario emozionale: il primo, Win, il cui percorso drammatico e narrativo rimanda a un’estetica di impronta espressionista, sembra raccontare la furiosa veemenza della malattia, il secondo, dal titolo Dopo, sulle note desolate del flauto basso ha reso con mezzi stringati il tentativo dolente di andare oltre la desolazione con il suono finale delle percussioni (crotali, due triangoli piccoli e uno medio) che rievocano l’ascendenza jazzistica dell’autore. Per le composizioni con la presenza della vocalità il calcolato percorso ha esordito con Aforismi di guarigione di Carlo Galante, con testo tratto dalla letteratura di ogni tempo – dagli inni orfici a Proust- e si è articolato come una celebrazione del potere consolatorio della parola applicata alla musica cui la voce di Monica Bacelli ha dato la sua densità di apporto espressivo nell’abile alternanza delle dinamiche, indi i 4 Haiku di Ivan Fedele, dallo scarno materiale compositivo ma dal sapiente controllo della esiguità dei suoi mezzi, hanno messo in primo piano la voce del soprano Carmela Remigio chiamata ad eseguire virtuosisticamente quarti e sesti di tono in un rarefatto dialogo con gli strumenti su cui si esercita una raffinata ricerca timbrica e dinamica, mentre nell’Ecco mormorar l’onde di Matteo D’Amico, la Bacelli ha esibito efficacemente il richiamo al modello del madrigale rinascimentale prediletto dall’autore già nelle sue Rime d’amore per mezzosoprano, coro femminile e orchestra composte nel 1998, con un ricorso alle immagini sonore di un rivisitato madrigalismo, a seguire l’Alleluia, una speranza di Paolo Arcà ha compendiato la suddetta apertura alla speranza con l’indugio su esitanti vocalizzi raddoppiati e riecheggiati dal flauto in cui la Remigio ha dato ancora prova della sua versatilità interpretativa questa volta in atmosfera armonica sospesa che fa uso di chiari riferimenti al linguaggio tonale e di una citazione della Sinfonia dei Salmi di Stravinskij ; nel prosieguo anche il brano Par les soirs bleus d’été di Fabio Vacchi era dedicato all’anelito per la vita declinando il gusto per la cultura francese  dell’autore– una lirica di A. Rimbaud che inneggia alla riscoperta panica della natura- su una scrittura musicale “iper-semantica” in cui avviene la proliferazione di iterazioni musicali, dove tutto è “molto detto” ma anche alluso, dal canto molto espressivo del violoncello alla parte della voce affidata alla vocalità della Remigio, che ha realizzato sensibilmente l’eloquenza evocativa della composizione; così nel madrigale a due Abbraccio di Marco Betta ritorna lo slancio propiziatorio per la vita attraverso la icastica quanto utopica raffigurazione testuale di due eserciti che rinunciano alla guerra e sconfiggono così la morte facendo sciogliere alle due voci duettanti di Bacelli e Remigio, ben distinte da una scrittura attenta alla diversa timbrica vocale, una sorta di mantra apotropaico correlato alla logica costruttiva della musica etnica. Al di là della commozione dovuta alla tematica correlata alla pandemia, il numeroso pubblico ha gradito tutto, applaudito vivamente compositori, strumentisti e cantanti, inoltre la ben nota sensibilità del pubblico milanese ha risposto in modo entusiastico anche all’esecuzione, l’ultima della serata, di Nove marzo duemilaventi, di Silvia Colasanti in cui a prendersi la scena era il testo finemente recitato da Elio De Capitani con la musica che lo scandiva in una serie di sequenze segnalate da precise indicazioni espressive – Nervoso, Adagio, Danzando, Immobile, Rituale, Luminoso, Perdendosi – per un melologo dipanantesi tra un alterno rarefarsi e infittirsi della tessitura strumentale. Il canto della rinascita è stato dedicato a una città piegata dalla pandemia, ma la palingenesi cui si allude nel titolo del concerto vale anche per la musica classica che vive da anni in una crisi strutturale e ora cerca nuovi paradigmi per cambiare passo auspicando nuove strategie per coinvolgere le politiche pubbliche di sostegno e di finanziamento perché senza cultura non vi può essere nessuna rinascita, ma senza musica non ci può essere nessuna vera cultura.

Fotografie di Kilian Agath

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