“V” album di Alessandro Mannarino


di Alberto Pellegrino

13 Ott 2023 - Dischi

Mannarino è ritornato nel 2021 con l’album “V”. Un disco dedicato soprattutto alle donne e tutte le parole chiave del disco comincino per V.

Abbiamo colpevolmente perso di vista l’ultimo album di Alessandro Mannarino intitolato “V”, per cui vogliamo rimediare parlando di queste canzoni che sono un appello a rivalutare l’antica saggezza degli esseri umani, a riscoprire il valore di culture lontane dall’Europa e dal resto del mondo occidentale, a far riemergere le radici tribali e ataviche dell’umanità che riecheggiano nei suoni e nelle voci delle foreste e degli indigeni dell’Africa e dell’Amazzonia. Il cantautore propone come unico e potente antidoto alla disumana brutalità contemporanea i valori della Natura, dell’animismo, della femminilità, del rapporto uomo-donna in un insieme organico politico e visionario, dove l’amore, l’irrazionale e un senso magico della vita diventano strumenti reali di decolonizzazione del pensiero e di resistenza umana.

È un disco dedicato soprattutto alle donne e sulla copertina c’è l’immagine di una guerriera che unisce femminilità e resistenza fusi insieme per evocare un’entrata in azione, una difesa non violenta ma poetica, per mostrare e difendere una identità antica e futura. Le parole chiave dell’album cominciano tutte con la “V”: Venere, Vita, Ventre, Valore, Veleno, Violenza, Villaggio, Vertebre, Vagina, Vene, Vagabonda, Vento, Vegetazione, Vanità, Verbo, Verità.

Un nuovo Mannarino

Con questo album Alessandro Mannarino si colloca a pieno diritto nella schiera dei grandi cantautori italiani, riuscendo a conciliare leggerezza e fascinazione musicale con la poetica di un ribelle indomito che denuncia i mali del mondo, ad avere paura, ma che anche invita a sperare. Alle sue sonorità calde e avvolgenti corrispondono testi che sono un inno alla natura, l’evocazione di nuove emozioni e che fanno dell’immagine femminile la vera protagonista di questo viaggio intorno al mondo, l’immagine di una donna anelata, inseguita, ricatturata e rinsaldata. Mannarino si allontana dal primo “menestrello” della canzone italica, perché fugge dalla sua stanza dei divertimenti, dal suo cantautorato irriverente fatto di giochi di parole e di sarcasmo legato alle strade, ai vicoli di Roma, per mostrare una raggiunta maturità umana e culturale, senza dimenticare il suo primo mondo per allargare i suoi orizzonti mentali, sentimentali e geografici.

Queste tredici canzoni sono altrettanti e affascinanti paragrafi di un lungo racconto, dove s’intrecciano storie di donne viste come radice, fulcro, spinta, ragione di vita, dove sono presenti anche sentimenti personali che vanno dalla paura (“Adesso non avere paura alcuna/Chi l’avrebbe mai detto, stai amando qualcuno”), all’impegno sociale, culturale, politico. È nato così un piccolo manuale che invita alla speranza e a ricominciare da dove l’umanità ha iniziato il suo lungo cammino, che lancia un appello per condurre una battaglia capace di sovvertire un destino di sottomissione a culture imperialiste.

Chi conosce Mannarino sa che ha sempre avuto una naturale propensione a raccontare (si pensi ad alcuni brani narrativi come “l’Onorevole” o “Maddalena” di Supersantos, “Il Pagliaccio” del Bar della Rabbia), per cui non bisogna stupirsi se ritroviamo questa sua vena narrativa, per esempio, nella canzone  Lei, una storia che ha per protagonista una donna simbolo dell’intero genere femminile, che abbandona la sua concezione terrena per diventare una forza alle volte creatrice, alle volte distruttrice, una forza della ribellione in nome della libertà contro i poteri opprimenti, che lancia un appello alle generazioni future: “Lei lasciò solo una scritta sul muro, pagheranno caro pagheranno tutto, voi picchiate duro, aprite una breccia e vedrete il futuro”.

Si tratta quindi di un Mannarino diverso che, senza dimenticare le proprie radici, si allontana dal mondo degli stornellatori e cantastorie romani per entrare in un’altra dimensione, per raccontare emozioni, per dare coraggio, per mettere chi ascolta di fronte ai problemi e ai doveri dell’esistenza. Può sembrare a un primo impatto un disco “leggero”, mentre è una dura denuncia contro la brutalità degli uomini, un’opera da riascoltare più volte per scoprire sempre nuove sfumature di significato, quei tanti elementi che formano un insieme certamente complesso, ma emotivamente ed acusticamente sorprendente.


Le canzoni

Africa. Èl’inizio di un viaggio dentro l’umanità, dentro terre vergini, orizzonti misteriosi e spiriti magici; fatto di tappe nelle quali si parla della donna, della natura, dell’irrazionale profondo, di un continente dove hanno avuto origine gli esseri viventi. È anche l’inizio di un viaggio alla riscoperta della nostra memoria ancestrale per scoprire che “siano tutti indigeni” e che la donna deve essere la “nostra Dea”.

Congo. Inizia con un canto cristiano alla Vigilia di Natale, eseguito in chiesa da un coro di bambini per ricordare che “Vengono dal mare, vengono dal deserto, vengono come le cavallette, salvate il pane” ed è questo venire che spaventa la gente di un piccolo paese immaginario: “c’è un fiume rosso che sfonda le case, che affonda le chiese e arriva sempre una volta al mese”. La poesia diventa irriverente, pungente, romantica, parla del corpo, della passione, e dello spirito vitale degli esseri umani, della natura inarrestabile secondo una visione apocalittica e biblica che parte dai bassifondi, per arrivare fino a interrogare Dio.

Cantaré. La canzone parte da una condizione di solitudine per diventare un canto corale, e atavico che vuole celebrare la forza liberatoria di ogni voce umana, di ogni vita che grida da sola mentre canta in un coro. È uno dei più significati tra questi canti di rabbia, di rivolta, di resistenza, d’amore che vogliono essere lo strumento per superare l’idea di impossibilità, d’ingiustizia e delusione. Infatti, solo queste voci non più isolate possono diventare un grido di battaglia, una invocazione al cielo, un invito alla rivolta, al riscatto e alla speranza. 

Fiume nero. Ci si addentra nella giungla, nella carne viva di un corpo naturale: è un fiume nero che sale verso il cielo, al di fuori delle leggi dello spazio e del tempo, per diventare un luogo dove l’umano si fa Dio, dove l’acqua si mischia alla lava, il lampo si divide dal tuono per mettere l’uomo al centro di una cosmogonia allucinata, nella quale due corpi, due esistenze si uniscono fuori dal tempo e dallo spazio, dalle convenzioni e dallo scibile umano in un mondo dominato dalle leggi di una natura primordiale e selvaggia. Mentre noi umani siamo dei simulacri, degli attori che indossano gli abiti della cultura, veniamo presi per mano per entrare in una giungla mistica, dove trovare il coraggio di riscoprire quello che siamo.

Agua. “Gli occhi di Iracema sono d’acqua”, sono gli occhi della protagonista indigena del romanzo omonimo di José de Alencar. È una celebrazione-preghiera rivolta alla potenza vitale dell’acqua per seguire la corsa di un fiume che sfocia in una presa di coscienza. Come Iracema, tutti noi siamo degli indigeni sui quali un potere colonizzatore ha scambiato l’acqua del cielo con l’acqua del fuoco: “La croce poi la spada, poi la gabbia, e uno straccio per coprire questa macchia”. Con due versi l’autore descrive secoli di colonialismo e soprattutto vuole ricordarci che siamo tutti degli indigeni che, in qualche modo, siamo stati colonizzati.

La storia degli indigeni diventa così lo specchio della storia di tutta l’umanità e il rapporto tra un uomo e una donna appare come l’unica via di salvezza.

Amazonica. È la denuncia delle donne indigene per quanto accade in Amazzonia, dove le foreste bruciano, gli animali muoiono, le figlie e i figli piangono. È un canto calmo e doloroso, che sale dal centro della Terra e invita il mondo ad aprire gli occhi sulla Regione del Tapajos, colpita dalle politiche anti-indigene del governo Bolsonaro, vittima di un attacco alla vita degli indigeni e alle risorse naturali dell’Amazonia, che sta diventando un vero genocidio.

Banca de New York. È una canzone ironica e allucinata, dove il registro romanesco e radicale si fonde con il mondo sonoro del Mississippi e dei campi di cotone, fatto di drammi e felicità personali di un popolo sottomesso che attraverso il canto ci presenta la sua storia.

Vagabunda. Si parla della crisi di un uomo messo a confronto con l’immagine di donna rigogliosa e ipnotica, una femmina di giungla che diventa per l’uomo la ricerca di un rifugio per fuggire dal carcere della ragione attraverso una energia erotica e femminile che si traduce in una realtà carnosa e ipnotica attraverso la quale passa la salvezza, passando dalla sensualità di un corpo per approdare alla ribellione.

Babylonia. Nel suo viaggio attraverso il villaggio globale, Mannarino racconta la storia di una ragazza che abbandona la giungla attirata dalle luci della grande città. È il ritratto di una donna contemporanea e futura che, come Iracema, affronta il grande serpente e viene avvolta dalle sue spire in una danza frenetica, segnata dalla euforia dei neon che mascherano pericoli e inganni. La donna finisce in un altro tipo di giungla molto più pericoloso per cui un amore ritenuto sincero si trasforma nell’incubo di uno sfruttatore: Miss Lova Lova diventa Miss Loca Loca, una “garota” con tante lingue diverse nella testa che non dicono più niente, un insieme di suoni non più comprensibili e significanti che ricordano il suono lontano del tamburo della sua tribù.

Bandida. Ancora la storia di una donna, una “bandida” che diventa la fotografia della ribellione al sistema patriarcale, scritta in lingua spagnola, perché oggi è dall’America Latina che si alza il grido di battaglia delle donne. È una cumbia elettronica, un suono di favela, un coro di voci femminili che aspirano al comando, perché di questo hanno bisogno (“¿Educar a una chica? Desarmar a una mujer”. Educare una bambina? Disarmare una donna). Quando l’apparato statale e religioso diventa il vero stupratore, quando la legge discrimina le donne, quando la cultura dominante relega le donne al ruolo subalterno di una Maria Vergine o di una madre, allora la ribellione rimane l’unica vera salvezza. Bandida trasmette l’immagine di una donna forte e risoluta, di una donna indigena, ancestrale e futura, una guerriera per natura e una ribelle per cultura che parte dal mistero della giungla per arrivare al caos delle stelle, che si muove dal crollo dei monoteismi verso il mistero, l’animismo, la spinta vitale che ci porterà tutti verso un futuro guidato dalle donne.

Questa visione continua con Lei, dove c’è l’immagine di una donna che contiene tutte le donne, di una forza eterna, creatrice, distruttiva e creativa che ha fatto cadere l’uomo in una crisi storica e sociale.

Luna. È la penultima tappadi un percorso segnato da canti di rabbia, rivolta, resistenza e amore. Questa struggente ballata parla della separazione dal sogno e della solitudine che rappresenta un ritorno alla realtà, una presa di coscienza che costringe ad aprire gli occhi per vedere, agire e portare il sogno dentro la realtà: un uomo è solo davanti a una luna altrettanto sola che ci guarda vivere ogni notte dal suo cielo. L’uomo pensa a un amore perduto e rivolge uno sguardo nostalgico e malinconico verso quel pianeta che simboleggia l’antico percorso di ricerca dell’identità umana all’interno della femminilità quale epilogo e origine di tutto. La Luna è un mondo lontano dall’uomo, un oggetto da ammirare per arrivare alla fine del proprio percorso senza avere più paura.

Paura.  È il momento della conclusione del viaggio; siamo alla fine del nostos: gli occhi si aprono sulla realtà della vita; finiscono le ballate e il vortice di suoni per lasciare il posto alla sola voce del cantautore e alla sua chitarra che ci accompagna verso l’epilogo dell’album.

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