Ultime composizioni


11 Ago 2013 - Dischi

Uno fra i grandi pianisti d'oggi, Vladimir Ashkenazy, è ritornato in sala d'incisione per registrare le ultime composizioni di Chopin. Le ha registrate al Kuopio Music Centre, in Finlandia, nel 1999 – dunque a 62 anni. Si tratta di capolavori come la Quarta Ballata, la Berceuse, la Polonaise-fantaisie op. 61, i due Notturni op. 62, i tre Valses op. 64, le tre Mazurkas op. 59, la Barcarolle op. 60. Ashkenazy, nella sua vasta discografia (123 titoli in commercio – includendo anche la sua attività come direttore d'orchestra), ha anche inciso in passato l'integrale di Chopin. I pezzi inclusi in questo CD li aveva però incisi solo una volta, un quarto di secolo fa, nel 1976 – a 39 anni. Trentanove anni è anche l'età nella quale Chopin scomparve, nel 1849, per tubercolosi. Fra 1842 e 1847 scrive le composizioni qui presentate. Un periodo non facile, per Chopin, in cui perde un carissimo amico, mentre crescono le tensioni nel suo rapporto con la scrittrice George Sand, e la salute declina. Nel suo ultimo concerto a Parigi, 16 febbraio 1848, presenta la Barcarolle e la Polonaise-fantaisie, che non vengono molto capite dai contemporanei. Chopin è il più grande di tutti noi. Perchè attraverso il pianoforte ha scoperto ogni cosa : così scriverà dopo cinquant'anni il grande compositore francese Claude Debussy. La maturità di Ashkenazy gli consente, oggi, un'incredibile sintonia con questi pezzi: basti ascoltare le prime quattro battute della Ballata – fraseggio, dinamiche, timbro – per capire a che livello di comprensione – e restituzione – del testo musicale ci troviamo. O come Ashkenazy ci restituisce il finale al
calor bianco – le ultime due pagine e mezzo della Ballata: quante volte lo abbiamo ascoltato dai pianisti semplicemente in termini di superamento-di-un-passaggio-terribilmente-difficile, ovvero di guarda-adesso-come-ti-strabilio-esibendo-il-mio-virtuosismo. Con Ashkenazy capiamo invece il senso vero, musicale, di queste due pagine. Si è parlato per decenni, in senso negativo, di culto dell'interprete : bandiamo le esagerazioni, ma nella musica – a differenza che nelle arti visive o nella letteratura – l'interprete è essenziale. Deve ricreare la necessità con la quale la musica diviene. Se ascolto il Valse op. 64 n.2 suonato da un altro, lo posso archiviare come una piacevole musica senza molto spessore – appunto un valzer come ne sono stati scritti moltissimi. Quando invece ascolto come inizia Ashkenazy – di nuovo, il fraseggio, il respirare , farci ricordare come qui ogni nota conti, e potrei continuare con la tecnica – mi viene immediatamente fatta balenare la profondità che l'autore mi comunica.

(a cura di Angelo Curtolo – fonte: ClassicTime)


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