La “Traviata” degli specchi brilla ancora al MOF


di Alberto Pellegrino e Riccardo Tassi

16 Ago 2023 - Approfondimenti classica, Commenti classica

Inossidabile e sempre da sold out, la famosa “Traviata” degli specchi di Svoboda torna al Macerata Opera Festival in uno Sferisterio gremito. Vi presentiamo un approfondimento del soggetto a cura di Alberto Pellegrino e la recensione dell’ultima recita a cura di Riccardo Tassi.

(Foto di Marilena Imbrescia)

Note a margine della “Traviata” di Svoboda creata per lo Sferisterio di Macerata

di Alberto Pellegrino

È sorprendente come il rivedere, dopo tanti anni, la “magica” Traviata di Svoboda possa suscitare rinnovate emozioni e inviti a fare nuove riflessioni sul cammino compiuto dal personaggio di Violetta dalla metà del XIX secolo fino ai nostri giorni. Molte cortigiane sono diventate protagoniste di opere letterarie o artistiche, da quando Alessandro Dumas figlio si è ispirato a un personaggio reale, quella Marie Duplessis che è stata la cortigiana più famosa nella società parigina del primo Ottocento e che aveva cambiato il suo vero nome, si chiamava Alphonsine Plessis, per vivere la sua breve stagione per poi morire di tisi a soli 23 anni. Dopo avere per anni trionfato in letteratura, nei teatri e sugli schermi cinematografici, per poi scivolare lentamente nell’ombra, soltanto il mito e il mistero della Violetta verdiana continua ancora oggi ad affascinare i pubblici di tutto il mondo.

Chi era la “signora delle camelie”

Marie Duplessis era partita giovanissima dalle campagne della Normandia per fuggire lontano da un padre che l’aveva maltrattata e sfruttata sessualmente da quando era poco più di una bambina. Roman Vienne, figlio di un locandiere in un piccolo paese normanno che è stato il suo primo biografo, in La vérité sur la Dame aux camélias traccia un ritratto di una ragazza spiritosa e riservata, dimessa ma intelligente che una volta arrivata a Parigi ha saputo costruirsi una nuova vita.

I racconti successivi mostrano e mitizzano una giovane cortigiana all’apice del successo, ma non forniscono un’idea di quali ostacoli ha dovuto superare Marie Duplessis per forgiare il proprio destino: decide di vendere il proprio corpo per comprarsi l’indipendenza, la ricchezza e quei privilegi che appartenevano alle dame dell’aristocrazia. Autodidatta, appassionata di letteratura e di teatro, riesce a entrare negli ambienti culturali parigini per assaporare gli stessi piaceri riservati agli uomini. In poco tempo inventa dal nulla il suo personaggio, impara a vestirsi, a parlare, a muoversi come un’aristocratica. La giovane contadina, che sapeva appena leggere e scrivere, a venti anni è diventata una celebrità e ha aperto un salotto dove ricevere nobili, artisti, scrittori e poeti della Parigi del primo Ottocento, fra i quali si trova Alessandro Dumas figlio che s’innamora di questa affascinante cortigiana. Quando la giovane muore nel 1847, l’evento ha un’eccezionale rilevanza e viene ripreso da tutta la stampa parigina, tanto che persino Charles Dickens scrive con una certa ironia: “Da diversi giorni i quotidiani hanno lasciato perdere tutte le questioni politiche, artistiche ed economiche. Ogni cosa impallidisce al cospetto di un incidente assai più importante: la morte romantica di una gloria de, la bella a famosa Marie Duplessis”.

Il clima culturale nel quale nasce il romanzo di Dumas figlio

Quando Alessandro Dumas figlio decide di scrivere un romanzo con la storia della sua amante, sono state già apparse diverse opere su celebri cortigiane: già nel 1731 l’abate Antoine-François Prévost aveva pubblicato la sua Manon Lescaut, dove si raccontavano le avventure e tradimenti di una giovane cortigiana, libera, passionale e priva sensi di colpa, la quale decideva di seguire nel Nuovo Mondo l’ultimo amante, il Cavaliere des Gries, per poi morire fra le sue braccia.

Circa un secolo dopo, Victor Hugo scriveMarion de Lorme (1828), un dramma in cinque atti che ha per protagonista una giovane donna arrivata a Parigi nel 1613 durante il regno di Luigi XIII e divenuta una cortigiana famosa per aver aperto un salotto frequentato da nobili e letterati. Due dei suoi amanti, fra loro rivali, sono arrestati e condannati a morte dal giudice Laffemas, perché coinvolti in una congiura contro il potente cardinale Richelieu. Marion, tramite le sue amicizie, ottiene dal re la grazia, che viene però revocata dal Cardinale. Marion è pronta a prostituirsi con il giudice pur di ottenere la libertà del giovane Didier, che non accetta questo patto. Nel carcere i due amanti si scambiano parole d’amore e di perdono; quindi, i condannati salgono sul patibolo e Marion, rimasta sola, vede con dolore allontanarsi la lettiga del cardinale che ha assistito all’esecuzione.

Nel 1879 Emile Zola scrive il romanzo Nanà, la storia di una ragazza figlia di un operaio alcolizzato che usa la sua bellezza e la sua astuzia per salire i gradini della scala sociale. Mediocre attrice di operette, amante crudele e smaliziata, la giovane persegue il successo mondano e la ricchezza, rovinando i suoi amanti e vendicando indirettamente la propria classe sociale. Grazie al suo potere di attrazione e corruzione, Nanà è un’autentica forza della natura che vive in mezzo a una folla di prostitute, bellimbusti, aristocratici odiosi e spesso pervertiti in una Parigi mondana e immorale che vive alla fine del secondo Impero.

Le stesse arti figurative partecipano a questo clima di anticonformismo e di sfida al perbenismo borghese con opere che suscitano grande scandalo. Nel1863Édouard Manet dipinge la Colazione sull’erba, dove sono raffigurati due uomini in abiti moderni che stanno conversando fra loro, mentre accanto siede una giovane completamente nuda, che guarda verso lo spettatore con un enigmatico sorriso; nello stesso anno sempre Manet presenta la sua  Olympia, un capolavoro oggetto di scandalo e di furiose polemiche, perché raffigura un nudo di donna ispirato alla Venere di UrbinodiTiziano, ma giudicato provocatorio e immorale, perché la giovane donna guarda verso l’osservatore senza mostrare alcun pudore con un atteggiamento ritenuto quello di una prostituta e paragonato dalla critica alle fotografie di nudi pornografici allora molto popolari a Parigi. Nel 1866 Gustave Courbet dipinge L’origine del mondo, un quadro che divenuta immediatamente celebre, perché per la prima volta si rappresenta un organo genitale femminile con un’audacia e un realismo che conferiscono all’opera un grande potere seduttivo.

La signora delle camelie 

Alexandre Dumas figlio decide di pubblicare nel 1848 La signora delle camelie, un romanzo sulla sua relazione con Marie Duplessis, ambientato nel “demi-monde” parigino e a metà strada tra il reportage e un racconto nel segno del romanticismo e del melodramma. Un narratore riferisce l’appassionata storia d’amore tra la cortigiana Margherita Gautier e il giovane Armando Duval, segnata da rifiuti, abbandoni e riavvicinamenti per finire tragicamente con la morte della giovane stroncata dalla tisi. Quando i due amanti decidono di ritirarsi in campagna, la salute della giovane sembra rifiorire, anche se lei ha dovuto vendere gran parte dei suoi beni per mantenere un alto tenore di vita. Con un colpo di fantasia l’autore inventa la scena del padre di Armand, personificazione del moralismo borghese, che chiede a Margherita di lasciare suo figlio per salvare la reputazione dell’altra figlia che sta per sposarsi. Margherita accetta di sacrificarsi e ritorna alla sua vita di cortigiana, perseguitata da un vendicativo Armando. Ormai il passaggio da prostituta a eroina e martire è però avvenuto e Margherita muore in povertà, suscitando la tardiva disperazione di Armando.

Il romanzo conquista una grande popolarità e un successo maggiore di pubblico ottiene la versione teatrale in cinque atti, scritta di getto nel 1849 e andata in scena, dopo divieti e censure, nel 1852. Tra gli spettatori siede un certo Giuseppe Verdi, che era rimasto già colpito dalla lettura del romanzo. Nasce così in lui l’idea di un melodramma da comporre su libretto di Francesco Maria Piave e muove così i primi passi quella Traviata, quel capolavoro assoluto che rivestirà di una musica sublime il tema della redenzione di una prostituta attraverso l’amore, oscurando così la fama sia del romanzo sia del dramma di Dumas. A questo proposito Marcel Proust ha scritto: “È un’opera che va diritta al mio cuore, Verdi ha dato alla Signora delle camelie lo stile che le mancava. Non lo dico perché il dramma di Alexandro Dumas figlio sia privo di meriti, ma perché se un’opera drammatica vuole toccare il sentire popolare, l’aggiunta della musica è essenziale”. Infatti, mentre Marie Duplessis è stata una donna pratica, avida di ricchezze, manipolatrice, soprattutto libera e indipendente, la Violetta di Verdi diventa una leggendaria eroina dell’amore e del sacrificio che rimane ancora oggi uno dei grandi personaggi del teatro per la sua statura tragica a dimostrazione di come dal fango possa nascere un fiore.

Mario Apollonio, che per primo ha introdotto e rivalutato il melodramma nella storia del teatro, ha visto nella Traviata verdiana la scoperta di una “manzoniana” pietà per il peccato, perché Violetta incarna il mito romantico della peccatrice redenta dall’amore ed “è assolta da un peccato che contravviene al costume, al buon gusto, alla decenza”, destinata a vivere un momento d’impossibile redenzione grazie all’amore di Alfredo che vuole trasformarla in una creatura eterea. “Violetta cerca affannosamente una siepe divisoria fra l’amore e la ragion pratica: e quando appare, in quella replica borghese del giardino magico di Armida che è il soggiorno campestre degli amanti, il paterfamilias, ella non trova via di scampo: infatti contro la convenzione economica del denaro la cortigiana che si concede una vacanza può combattere di frode e di forza, ma contro la moralità familiare è disarmata”. La giovane deve cedere alla “sentenza di un mondo inflessibilmente egoista” e persino Alfredo dimostra il proprio egoismo di fronte al denaro, ora “finalmente Violetta è sola e può morire: la pietà d’amore non può che ripetere il gioco squallido di un’illusione impossibile: dal mondo, dalla giovinezza, dalla gioia, ella si è già congedata: confortarla con l’illusione di ripetere una disgraziata stagione di vacanze e misericordia frettolosa, o addirittura rito funebre”.


Commento dell’ultima replica di “Traviata” allo Sferisterio (13 agosto 2023). La conferma, affezionata, di un successo che ha reso celebre lo Sferisterio nel mondo

di Riccardo Tassi

Se nelle Marche l’estate non può dirsi compiuta senza un passaggio allo Sferisterio e se, perlomeno dalle statistiche, La Traviata è l’Opera Lirica più apprezzata dal grande pubblico, riproporre La Traviata “degli Specchi” nel luogo del suo primo allestimento era già di per sé auspicio di successo.

Il 13 agosto, all’ultima rappresentazione stagionale della celebre opera di Verdi, è giunta la conferma definitiva: La Traviata “degli Specchi”, soprattutto allo Sferisterio, piace e appassiona.

Mentre chi assiste per la prima volta viene sicuramente colpito dall’indiscusso impatto scenico, per i cultori, l’allestimento di Svodoba, con la regia di Brockhaus, rimane uno tra i migliori mai apparso nel panorama operistico.

Con le sue dieci riproposizioni all’arena maceratese, dal 1992, e i suoi 40 (più o meno) riallestimenti in giro per il mondo, quest’opera contribuisce, anno, per anno, ad aumentare il prestigio del MOF, avvicinando alla lirica tanti nuovi appassionati.

Pur giocando in casa, dove il rischio del “ripetitivo” e del “già visto” è sempre dietro l’angolo, anche il 2023 non tradisce le aspettative, con quelle piccole varianti sul tema, quei piccoli cambiamenti, che garantiscono giovinezza e freschezza. Fra questi va citata, perché efficace, la scena d’inizio dove, in maniera del tutto asincrona, ballo e coro suggeriscono il seguito della vicenda, il funerale di Violetta, proiettando sull’arena un velo luttuoso che predispone lo spettatore al dramma che si compirà di lì a poco.

La Traviata è un’opera versatile, adattabile ai tempi, ma il rischio di lasciarsi andare in virtuosismi ed eccessi, sospinti dalla voglia di stupire, è alto. Orchestra, cantanti, regia e scenografia sono chiamati a seguire una trama che si focalizza di volta in volta sulla complessa e mutevole trama psicologica dei singoli protagonisti e la celebrità di alcune aree troppo spesso ha indotto a performance strappa-applausi.

Ripetizioni e protagonismi eccessivi sono però motivi d’inciampo che non hanno avuto luogo in questa Traviata.

La direzione del Maestro Domenico Longo è stata efficace, ha mantenuto il punto – in alcuni momenti è sembrato trattenere l’orchestra -, garantendo attacchi morbidi e consentendo ai tanti elementi in gioco di esprimersi fluidamente, a partire dal coro e dal corpo di ballo.

Componenti essenziali nelle opere verdiane, nella Traviata assumono ruoli di assoluto protagonismo, dal brindisi del primo atto, molto atteso – e forse per questo meno sorprendente -, all’entrata delle zingarelle e dei mattadori del secondo atto, dove, esaltati dalla scenografia e dai costumi, hanno prodotto un effetto a tutto tondo in doppia prospettiva (il gioco creato dallo specchio, in questo caso, è a dir poco magnetico).

Sul fronte delle voci, nel trittico Soprano, Tenore e Baritono, troviamo due conferme e una novità.

L’interpretazione dall’affascinante Nino Machaidze è stata all’altezza della sua celebrità. Con voce precisa e ottima tecnica ci ha donato una Violetta difficile da racchiudere in stereotipi, né troppo sentimentale, né troppo soverchiante; insomma, alla Machaiidze, stilisticamente parlando, si addice perfettamente il “sempre libera”.

Come il Soprano, anche il Baritono, Roberto de Candia, è alla sua ennesima conferma. Voce profonda e presenza scenica gli hanno conferito un giusto protagonismo. Interpretare Giorgio Germont, dopo tutto, non è semplice e richiede un certo impegno psicologico per trasmettere le sfaccettature contradditorie di quel demi-monde di cui il personaggio è incarnazione.

Nel ruolo di Alfredo entra in scena, invece, un giovane tenore statunitense, Anthony Ciaramitano. Con buoni tratti recitativi, corre con piglio dietro alla fuggente Violetta (e non solo in termini letterari, il palco dello Sferisterio impone quasi lo sforzo fisico). L’impressione finale è che il ruolo, benché non proprio il più gratificante del panorama lirico, gli si addica. Di buona voce, lo si vede crescere nel corso della rappresentazione.

Bravi tutti, in fin dei conti, tra cui anche gli altri cantanti, ovviamente: precisi e dotati.

Se volessimo però cercare il pelo nell’uomo, come da usanza all’uscita del loggione, a fronte di una rodata efficacia scenografica e di un’orchestra e una direzione affidabili, a “stonare” un po’ è stata forse l’amalgama fra Soprano e Tenore. I due protagonisti sono stati entrambi talentuosi, ciò non di meno – percezione personale tutt’altro che indefettibile – sono sembrati anche emotivamente un po’ troppo distanti l’uno dall’altro. Sarà per questo che alla fine il pubblico applaude ma non tripudia?

Tra i momenti di massimo pathos, amplificati dall’enorme specchio e dai suggestivi tappeti-scenografia, vanno menzionati sicuramente: l’inizio funebre al primo atto – una novità efficace -, il brindisi – atteso certamente -, il dialogo fra Germont padre e Violetta – dove si compie il vero dramma umano dell’opera -, il coro delle zingarelle e dei mattadori – un turbinio a doppia prospettiva – e, infine, la morte di Violetta, con lo specchio che, sollevandosi sulla verticale, motu proprio riproduce l’arena e fa entrare lo spettatore all’interno del dramma.

Una Traviata bella come ce la si aspettava che merita sicuramente il risultato raggiunto (sold out e 9500 presenze nelle rappresentazioni 2023) e che conferma nuovamente la passione per questa Opera e per questo allestimento.

Ben auguranti, a questo punto, sono gli auspici per la prossima stagione del MOF, impegnato in una doppia ricorrenza: quella del 60° del festival e quella de centenario della morte di Giacomo Puccini.

Le anticipazioni sono state licenziate e le aspettative dei melomani non possono che essere giustamente molto alte.


Video girato da Alia Simoncini che racconta il rapporto tra l’allestimento ideato da Josef Svoboda nel 1992 e l’Arena Sferisterio attraverso le parole di chi lo ha visto nascere e lo ha portato in decine di teatri italiani, europei, e ancora in paesi come l’Oman e l’Australia.

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