“La guerra” un breve romanzo di Céline riemerso dal passato


di Alberto Pellegrino

10 Lug 2023 - Letteratura, Libri

Presentiamo il primo di due saggi di Alberto Pellegrino su Louis-Ferdinand Céline. Il presente analizza il libro “La guerra” il cui manoscritto è stato ritrovato nel 2021 ed è stato stampato quest’anno dall’editore Adelphi.

(Tutte le foto sono di pubblico dominio e utilizzate senza scopo di lucro)

Louis-Ferdinand Céline, scrittore e medico francese, è l’autore del libro La guerra, un manoscritto ritrovato nel 2021 e stampato in Italia da Adelphi nel 2023. Scritto nel 1926 e pubblicato nel 1933, tra Viaggio al termine della notte (1932) e Morte a credito (1936), questa opera assume una particolare importanza dal punto di vista narrativo, ma soprattutto perché ricolma un vuoto sul periodo trascorso da Céline durante la Grande Guerra, narrando vicende che completano quanto narrato nel romanzo Casse-pipe (1952) e nella prima parte di Viaggio al termine della notte. Per lo scrittore l’esperienza della Grande Guerra fatta nel primo anno del conflitto mondiale, quando entra a contatto con l’orrore della guerra in tutte le sue manifestazioni, compresa la terribile esperienza dei gas usati in battaglia dai Tedeschi a Yprès. Il suo entusiasmo di volontario interventista si spegne gradualmente di fronte ai disagi della trincea, ai mucchi di cadaveri smembrati, alla terra bagnata di sangue. Nel 1912 Céline si arruola volontario nel “12° Reggimento dei cacciatori” a Rambouillet e nel 1914 è inviato al fronte nel settore di Poelkapelle nelle Fiandre Occidentali, facendo esperienze che segneranno per sempre la sua vita a livello fisico e psicologico.

Il 27 ottobre 1914 si offre volontario per partecipare a una missione rischiosa, durante la quale tutto il reparto è annientato e Céline è ferito da un colpo di artiglieria, il quale gli frattura il braccio destro; gli provoca una lesione ai timpani dell’orecchio destro; un danno celebrale, per cui viene operato due volte con una trapanazione cranica che peggiorerà le sue condizioni cliniche. Viene decorato con la Croce di guerra e nel 1915 ottiene il congedo per invalidità e una modesta pensione. La guerra gli ha lasciato gravi danni fisici (invalidità del braccio destro, emicranie, vertigini, insonnia, udito diminuito, fischi nelle orecchie, allucinazioni uditive), ai quali si aggiungono disturbi mentali e neuropsichiatrici, un senso di angoscia nei confronti dell’esistenza che diventerà il fondamento del suo nichilismo e cinismo, del sua misantropia, di un nero sarcasmo e dell’antisemitismo, tutti sentimenti negativi temperati dal suo lavoro di medico e dalla sua compassione verso i sofferenti.

Louis-Ferdinand Céline

Il romanzo sulla guerra

La guerra è un’opera autobiografica che inizia con il giovane corazziere Ferdinand, dopo un bombardamento d’artiglieria, riprende i sensi e si rende conto di essere ferito al braccio destro e alla testa. È l’unico sopravvissuto della sua pattuglia e, con estrema fatica, attraversa il campo di battaglia coperto di cadaveri, riuscendo a raggiungere le retrovie nella piccola città di Peurdu-sur-la-Lys, dove è ricoverato nel “Virginal Secours”. L’ospedale diventa una galleria di casi umani, di feriti e malati alcuni gravi o moribondi, altri dei furbi che cercano di non ritornare in trincea, tutti affidati alle cure di un medico incapace.

Céline si rivela già uno straordinario “ritrattista”, un impareggiabile anatomista della natura umana e nel racconto le figure dominanti sono: i suoi genitori a cui è legato da un rapporto di amore-odio; l’infermiera L’Espinasse, sessualmente perversa, sadica, affetta da necrofilia, che prende il giovane a ben volere facilitandogli la permanenza in ospedale in cambio di qualche prestazione sessuale contrassegnata da un perverso sentimento amoroso; Bébert (che a metà racconto prende il nome di Cascade), un piccolo delinquente parigino che si è autoinflitto una ferita al piede e che vive alle spalle della moglie Angèle, una bella prostituta che esercita la professione a Parigi. Quando la giovane raggiunge il marito, continua la sua “professione” tra i militari alleati, rifornendo di denaro Cascade e Ferdinand che frequentano caffè malfamati con cameriere disponibili e si muovono liberamente in città, fino a quando Cascade viene arrestato e fucilato per diserzione. Allora Ferinand prende il suo posto nel letto e nella gestione degli “affari” di Angèle; quindi i due amanti decidono di abbandonare il teatro di guerra e trasferirsi a Londra al seguito di un ufficiale inglese.

Il romanzo, scritto di getto e senza nessuna preoccupazione per lo stile e la sintassi, è una lettura affascinante e una cruda testimonianza delle terribili conseguenze fisiche e morali che può causare la guerra sulla mente di un uomo. Céline racconta in modo libero, visionario, violento quelle giornate trascorse tra allucinazioni, attacchi di vomito, svenimenti, rumori assordanti che si agitano nella sua testa, abuso di alcol, pratiche sessuali vergognose e feroci. L’io narrante è l’alter ego di un giovane Céline che sente il bisogno di raccontare fatti ed episodi di una vita ignobile, cercando di sopravvivere senza impazzire. Viene persino decorato con una medaglia al valore per il coraggio mostrato durante la sua missione e lui sfrutta questa onorificenza per avere una maggiore libertà, godere di alcuni privilegi, ottenere più facilmente il congedo per invalidità.

L’importanza di Céline nel panorama letterario del Novecento

Louis-Ferdinand Céline (1894-1961) è considerato un esponente delle correnti letterarie del modernismo e dell’espressionismo, uno dei più influenti scrittori del XX secolo per aver creato uno stile che ha modernizzato la letteratura francese ed europea. La sua opera più famosa è Viaggio al termine della notte (1932), il cui titolo è tratto dalla Canzone delle Guardie svizzere di Thomas Legler (1793): “La nostra vita è un viaggio / in Inverno e nella Notte / noi cerchiamo il nostro passaggio / in un Cielo senza luce”.

Il romanzo è un affresco della razza umana, una riflessione d’intonazione nichilista e pessimista sulla guerra, l’industrializzazione, la decadenza coloniale, l’impoverimento e l’aridità delle coscienze; una cupa esplorazione delle sue miserie quotidiane con un linguaggio innovatore l’argot (un particolare gergo popolare) si amalgama con il linguaggio erudito. Come nella maggior parte delle sue opere, la storia ha un carattere autobiografico ed è narrata in prima persona da Ferdinand Bardamu, un medico che lotta invano contro il potere e il progresso. L’ironia e la morte sono le uniche medicine per curare la “malattia” della vita, per distinguersi dal resto del gregge, per fuggire dal grigiore quotidiano, per fare un “viaggio” attraverso l’esistenza fino alla destinazione finale: “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l‘immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi”.

L’antisemitismo e il filonazismo

Il romanzo Viaggio al termine della notte è subito accusato di essere antipatriottico e disfattista, nonostante il giovane Céline proclami apertamente il suo patriottismo e il suo amore per la nazione. Una svolta politica decisiva avviene nel 1936, quando Céline fa un viaggio nella Russia sovietica e riporta questa esperienza nel saggio Mea Culpa che è una pesante accusa contro il comunismo. Da quel momento egli manifesta sentimenti antisemiti e antidemocratici, quando nel 1937 pubblica Bagatelle per un massacro e nel 1938 La scuola dei cadaveri: i due pamphlet sono un duro attacco contro gli Ebrei giudicati pericolosi per la cultura e per la civiltà a causa della “influenza ebraica” esercitata sul mondo; sono una denuncia per salvare la Francia dalla rovina causata dagli ebrei, dai comunisti e dai capitalisti. Céline mostra ammirazione per la Germania hitleriana che rappresenta una difesa degli Stati ariani contro le democrazie occidentali minacciate dal giudaismo e dal bolscevismo e auspica una rigenerazione razziale di una Francia libera da influenze meticce e mediterranee. Nel 1941 pubblica La bella rogna, un pamphlet a favore della Germania nazista e del Governo collaborazionista francese, dove sono presenti, come nelle opere precedenti, i classici cliché del complotto giudaico, del potere degli ebrei ricchi e guerrafondai, ripresi dai Protocolli dei Savi di Sion o dal Mein Kampf di Hitler.

L’Ebreo non ha molta capacità – afferma Céline – ma quella di orientamento per quanto egli può afferrare, per rientrare nel suo paniere, nel suo sacco dei malefizi. Il resto, tutto quello che non può assorbire, pervertire, inghiottire, sporcare, standardizzare, deve scomparire. È il sistema più semplice. Egli lo decreta. Le banche lo eseguiscono. Per il mondo robot che ci preparano, basteranno pochi prodotti, riproduzioni all’infinito, simulacri inoffensivi, romanzi, professori, generali, vedette, il tutto standard, con molti tamtam, con molta impostura e molto snobismo… L’Ebreo tiene in mano le leve di comando, aziona tutte le macchine per standardizzare, possiede tutti i fili, tutte le correnti… e domani tutti i Robots. (…) La Francia appartiene agli ebrei, beni, corpo e anima. (…) Radio, Cinema, Stampa, Logge, brogli elettorali, marxisti, socialisti…tutto ciò che può piacervi ma in sostanza: congiura giudaica, satrapia giudaica, tirannide corrompente giudaica. Differenze, paraventi, trucchi puzzolenti, picchetti, staffette d’invasione delle truppe giudee, penetrazioni, trionfi, esultanze dei Giudei sulla nostra pelle, sulle nostre ossa, lacerazioni, ruzzoloni su guerrieri carnefici, rivoluzionari. Combattimento di specie, implacabile”.

Céline sostiene di avere operato nell’interesse della Francia, di aver scritto “degli ebrei” e non “contro gli ebrei”, di essere un “anarco-nazionalista”, la vittima di una “persecuzione” perpetrata dai comunisti per le sue posizioni antisovietiche. In uno scritto del dopoguerra, dice: “Ci si accanisce a volermi considerare un massacratore di ebrei. Io sono un preservatore accanito di francesi e ariani, e contemporaneamente, del resto, di ebrei. Non ho voluto Auschwitz, Buchenwald. (…) Ho peccato credendo al pacifismo degli hitleriani, ma lì finisce il mio crimine”.Carlo Bo precisa: “Negli anni trenta, Céline vantava un bel curriculum di antisemita, ma dopo il ’40 andò oltre imboccando un razzismo scientifico, quale a suo avviso neppure i nazisti osavano sperare… Non si può non continuare a chiederci come mai uno scrittore di quella forza e di quella novità si sia lasciato trascinare da uno spirito più che polemico, predicatore di morte e di rovine”.

Come valutare le sue opere

Le apocalittiche devastazioni belliche e il crollo dell’impero nazista inducono Céline ha rifugiarsi nel marzo 1945 in Danimarca, dove viene arrestato con l’accusa di antisemitismo e collaborazionismo con i nazisti. Nel 1947 ottiene la libertà provvisoria e nel 1950 è condannato in contumacia a un anno di carcere dal Tribunale di Parigi. Nel 1951 usufruisce dell’amnistia e può ritornare in Francia, dove è praticamente ignorato dagli ambienti della sinistra; solo Albert Camus prende le sue difese, perché lo considera un grande scrittore nonostante le sue idee. Céline si ritira a Meudon, un piccolo centro a circa 10 km da Parigi, dove resta fino alla morte in una condizione di emarginazione sociale e culturale.

L’antisemitismo e le sue simpatie per il nazismo (“Hitler è un buon educatore di popoli, è dalla nostra parte della Vita, si preoccupa della vita dei popoli, e della nostra. È un ariano”) derivano da una profonda disistima nei confronti dell’umanità e del progresso. Il suo drammatico nichilismo nasconde uno spaesamento e un malessere di fondo uniti al piacere di castigare la crudeltà esibita nelle sue opere. Lo stesso antisemitismo nasce da una paura irrazionale e immotivata, in parte nobilitata dalle sue doti di scrittore e da quel lirismo della parola che rende affascinante la sua prosa. Bisogna anche riconoscere che Céline ha avuto delle premonizioni, quando ha scagliato le sue invettive contro la meccanizzazione, lo sfruttamento, la guerra, la famiglia borghese; ha però travisato le cause di questi fenomeni con la convinzione che la Francia sarebbe stata dominata dagli ebrei ideatori del complotto giudaico, che gli ebrei avrebbero coinvolto la Francia in una nuova guerra per fame di potere.

Nel panorama letterario del Novecento Céline rimane una figura umanamente e politicamente discutibile ma importante. Può un lettore democratico e progressista leggere i suoi romanzi? Certamente sì, purché ci si accosti ad essi muniti di un adeguato apparato critico e storico. Una lettura priva di un’accurata storicizzazione, come di solito viene praticata dall’estrema destra, porterebbe a snaturare e sminuire il valore di opere che nascono da quella libertà che deve essere assicurata a ogni artista indipendentemente dalle sue idee negative e persino repellenti.

La popolarità di Cèline in Italia

Lo scrittore gode in Italia di una grande popolarità ed è oggetto di approfonditi studi da parte della critica e del mondo accademico, così come Céline è presente nei mass media. Basta ricordare il film Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino, dove viene letto un suo brano tratto dal Viaggio al termine della notte: “Poi succeda quel che vuole. Bell’affare. Il vantaggio d’eccitarsi, in fin dei conti, solo su delle reminiscenze. Puoi possederle, le reminiscenze. Puoi comperarne di belle, di splendide, una volta per tutte. La vita è più complicata, quella delle forme umane specialmente. Un’avventura paurosa, non c’è niente di più disperato. A confronto di questo vizio, delle forme perfette, la cocaina non è che un passatempo per capistazione. Ma torniamo alla nostra Sophie: facevamo come dei progressi in poesia, solo con l’ammirare il suo essere tanto bella e tanto più incosciente di noi. Il ritmo della sua vita scaturiva da altre sorgenti, che non le nostre, striscianti per sempre le nostre, invidiose. Questa forza allegra, precisa e dolce insieme, che l’animava dai capelli alle caviglie ci veniva a turbare. Ci inquietava in un modo incantevole, ma ci inquietava, è la parola”.  Ancora Sorrentino apre La grande bellezza citando una frase tratta dalla stessa opera: “Viaggiare è molto utile, fa lavorare l’immaginazione, il resto è solo delusioni e pene. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario: ecco la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose: è tutto inventato”.

Nel mondo della canzone d’autore, Giorgio Gaber e Sandro Luporini prendono ispirazione da alcuni testi di Céline per il loro teatro/canzone: i versi di C’è solo la strada, inclusa nello spettacolo Anche per oggi non si vola (1974) tratta il tema del viaggio caro allo scrittore francese “C’è solo la strada su cui puoi contare/la strada è l’unica salvezza/c’è solo la voglia e il bisogno di uscire/di esporsi nella strada, nella piazza/perché il giudizio universale/non passa per le case/in casa non si sentono le trombe/in casa ti allontani dalla vita/dalla lotta, dal dolore, dalle bombe”. In Polli d’allevamento (1978-79) i due autori fanno riferimento a Céline nel recitativo La paura, storia di un milanese uscito di casa nel cuore della notte con addosso la paura degli assassini, paura che diventa terrore quando vede avanzare contro di lui un individuo vestito di nero e dall’aria minacciosa. Sul punto di dire addio alla vita, l’uomo scopre che si tratta di un pastore anglicano: “Mi sono stati sempre sul cazzo i pastori anglicani! Presuntuosi, impotenti, spavaldi. Viva la Chiesa cattolica, viva il Papa!”. Nella canzone La festa viene ripreso quasi alla lettera un brano dal Viaggio al termine della notte: “Sono pieni di risorse, gli uomini/sono animali liberati/non riesci più a strapparli alle loro emozioni/ci sono incollati. /E poi c’è il salariato del piacere/che propina storie colorate grasse/un bel film con dentro tutti gli ingredienti/che piacciono alle masse. /Che stanno lì inchiodate/e si divorano tutto senza protestare/gli si potrebbe dare in premio/un bel barattolo di merda per duemila lire…/Son proprio deficienti, gli uomini/ormai son proprio devastati/non riesci più a strapparli dalla loro idiozia/ci sono incollati”. Il cantautore Vinicio Capossela s’ispira a Céline nella canzone Bardamù nell’album Canzoni a manovella (“Per quanto scura/la Notte è passata/e non lascia che schiuma/di birra slavata/e una spiaggia/e una linea di sabbia/è il fronte di un addio/gli altri si cambino l’anima/per meglio tradire/per meglio scordare”). Nell’album Marinai, profeti e balene, incentrato su Moby Dick e sull’Odissea, inserisce la canzone Pryntyl, storia di una vispa e maliziosa sirenetta ispirata da Scandalo negli abissi: “La foca barbuta, sempre piaciuta/Che è solitaria, le piace cantar, /Una sirena si sente coi baffi,/Una sirena del fondo del mar/E i pesci uccelli le batton le ali/E scrosciano applausi di pinne e di bolle/Nel fondale spettacolare/Dell’abisso musicale…Non ho perso la voce per un paio di gambe/Come la Sirenetta in pegno d’amore/Ma io la perdo fumando e bevendo/Nell’orgia dei sensi mi butto cantando/E mi ubriaco e stordisco ballando/Nell’ebrezza felice abbracciando/Sulla terra tutto si consuma/L’amore all’alba si trasforma in schiuma”.

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