Il Giorno della Memoria 2023


Editoriale del Direttore Alberto Pellegrino

26 Gen 2023 - Arti Visive, Libri, Varie

Editoriale del nostro Direttore, in occasione del Giorno della Memoria 2023, che illustra, tra l’altro, diverse iniziative e pubblicazioni sul tema. Riferimento particolare quest’anno al Binario 21 della Stazione di Milano.

(Tutte le immagini sono © CC BY-SA 3.0 o libere da copyright)

Il reale binario 21 al Memoriale della Shoah di Milano

Nel Giorno della Memoria 2023 Claudio Magris, uno dei grandi intellettuali italiani, invita a non dimenticare un terribile evento storico “per impedire che il male – il male per eccellenza, la Shoah –  cerci di annientare un’altra volta ogni senso dell’umano, anche grazie al turbinio delle vicende politiche e sociale, che sembra rendere obsoleto tutto ciò che accade ogni giorno già mentre sta calando la sua sera […] Questa cancellazione della storia nella mente e nella visione del mondo delle generazioni che si susseguono sgretola il ricordo di tanti eventi, che contribuisce a formare il pensiero e i valori, tempi e anche eventi che hanno contribuito a fare di noi quello che siamo divenuti e in parte siamo” (La lettura, 22 gennaio 2023). Bene ha fatto la senatrice Liliana Segre a mettere in guardia per non trasformare questo giorno in un rito dovuto e celebrato come routine, facendolo precipitare nella noia e nel disinteresse.

Mostre e documentari

Si moltiplicano pertanto le iniziative per tenere viva la memoria e nel Museo della Shoah di Roma è stata allestita la mostra L’inferno nazista. I campi della morte di Belzen, Sebibor e Treblinka che ha scelto come perno del racconto l’Aktion Reinhartd, il nome in codice del programma nazista per il sistematico sterminio di milioni di ebrei e di altre persone ritenute appartenenti alla razza inferiore. Nella mostra sono esposti interviste, documenti, fotografie, filmati inediti che per la prima volta offrono una visione completa di quegli atroci campi. Particolarmente importante è la sezione dedicata alle rivolte avvenute nei campi di Sobibor e di Treblinka che smentiscono il falso storico sulla incapacità degli ebrei di ribellarsi ai nazisti: “C’è un nesso molto stretto – dice lo storico Marcello Pezzetti curatore della mostra – tra ciò che avviene in quei due luoghi di sterminio e la rivolta del ghetto di Varsavia. Nei due campi avviene qualcosa di unico in tutto il panorama dell’universo concentrazionario nazista. Gli ebrei internati si rivoltano: un racconto che fa crollare un certo mito storiografico sulla passività ebraica”.

Nelle Marche, nel Palazzo Bisaccioni di Jesi, è stata allestita una mostra dei disegni del pittore americano William Congdon, che durante la Seconda guerra mondiale ha prestato servizio come volontario alla guida della ambulanza dell’American Field Service. Questo gli ha permesso, tra l’aprile e il maggio 1945, di partecipare al recupero dei sopravvissuti del campo di concentramento di Berger-Belzen, per cui i suoi disegni rappresentano una testimonianza diretta dell’orrore che si è aperto dinanzi ai suoi occhi. Questi disegni riproducono figure, volti, situazioni, violenze, disperazioni e persino barlumi di vita in una visione priva di retorica, di sentimentalismi, di ambizioni letterarie, ma che vuole andare oltre la cronaca per essere invece una testimonianza diretta e drammatica vissuta in prima persona.

Da ultimo ricordiamo il documentario di Massimo Vincenzi Drawing the Holocaust. Disegni dall’olocausto,che andrà in onda il 27 gennaio alle ore 21.50 su History Channel (canale 411 Sky). Si tratta di un lavoro dedicato soprattutto ai disegni realizzati di nascosto e con mezzi improvvisati dagli ebrei nei ghetti e nei lager per testimoniare l’orrore che si andava compiendo sotto i loro occhi. Vi sono inoltre i quadri commissionati ai prigionieri dalle stesse SS e opere eseguite dai sopravvissuti dopo la fine della guerra.

La Resistenza ebraica

A confermare questa tesi storica è stato pubblicato il volume Figlie della Resistenza. La storia dimenticata delle combattenti nei ghetti nazisti di Judy Batalion (Mondadori, 2022), nel quale si documenta la partecipazione delle ebree polacche alla lotta di resistenza contro i nazisti negli anni 1942-1943 in situazioni spesso tragiche. Queste donne “avevano – scrive la Batalion – documenti falsi, storie false, intenti falsi, capelli falsi e nomi falsi. E, cosa altrettanto importante, avevano sorrisi falsi. Non si poteva andare in giro con occhi tristi o ci si sarebbe tradite all’istante. Le staffette erano addestrate a ridere, ridere forte, ridere tanto. Dovevano alzare gli occhi, guardare il mondo con interesse, fingere di non avere pensieri, né genitori e fratelli appena torturati e uccisi, né fame e nemmeno proiettili nascosti nel vasetto della marmellata. Dovevano perfino partecipare con fervore a una discussione antisemita con i compagni di viaggio”.

Per sottolineare la presenza femminile nei campi di sterminio sono stati pubblicati due volumi, nei quali vi sono le testimonianze di donne vissute nell’inferno del lager di Ravensbruck: Ravensbruck. Il lager delle donne (PGreco, 2013) e L’esile filo della memoria. Ravensbruck, 1945: un drammatico ritorno alla libertà (Einaudi, 2021). La prima testimonianza è di Selma van de Perre (1922): “Era terribile quando siamo arrivate, c’erano donne che urlavano, cani che abbaiavano, donne comandanti dei reparti […], ci hanno ordinato di camminate verso il campo. I dintorni erano bellissimi, un bel paesaggio, ma quando siamo entrate era terribile, tutto nero […] Il giorno dopo ci fecero fare la doccia fredda, ma non c’era più biancheria intima, non c’era cibo – non c’era niente – avevo un vestitino leggero, ma non avevo un cappotto”.

La seconda testimonianza è dell’ungherese Susan Gerofi (1916-1993), trasferitasi da bambina con la famiglia a Bratislava, dove frequenta la facoltà di medicina da dove viene espulsa. Una volta internata si propone come infermiera nell’ospedale, ma gli ebrei non possono ricoprire questo ruolo, per cui gli è assegnato il compito di trasportare i malati con le barelle ed assiste a situazioni terribili fino a quando viene liberata sai sovietici il 30 aprile 1945: “Fummo messe in baracche dove c’erano già tante donne. La prima notte tutte abbiamo ricevuto due patate, che poi non ci sono più state date”. Dopo averle sbucciate le altre donne le chiedono se possono mangiare le bucce: “In quel momento ho capito come doveva essere considerato il cibo. Bisognava mangiare tutto quello che si aveva […] Altrimenti saremmo morte di fame”. Un momento di tortura era l’appello al freddo “con i vestiti leggeri e pieni di pidocchi”, dovendo subire le umiliazione non solo dei nazisti, ma anche dei prigionieri tedeschi.

Mosaico di nomi dedicato a 1.500.000 bambini deportati nel periodo della Shoah creato da Yad Vashem

Quest’anno ricordiamo il Binario 21 della Stazione di Milano

Come redazione vogliamo ricordare il Binario 21, tristemente famoso perché da qui sono partiti i carri bestiame sia gli ebrei italiani inviati nei campi di sterminio, sia i prigionieri politici italiani considerati nemici del fascismo. Tra queste persone c’era Liliana Segre, una bambina di 13 anni, che così ricorda quei terribili momenti: “Arrivavamo spinti con ferocia, con violenza, con prepotenza inaudita a quel binario, senza capire perché proprio a noi capitasse tutto ciò. Era buio, era un buio forate dalle luci fortissime dei fari; era un rumore assillante, c’erano fischi, latrati, comandi e si sentiva lontano, era sopra di noi, il rumore dei treni, quelli normali […] Ed erano i nazisti che picchiavano, che ci spingevano nei vagoni, ma aiutati dai loro servi repubblichini; perché io me li ricordo i fascisti in camicia nera che assistevano e aiutavano i violenti con altrettanta violenza, erano quelli che parlavano la nostra lingua, erano stati i nostri vicini di casa, erano quelli che avevamo incontrato per strada nella nostra vita precedente, di italiani colpevoli di essere nati ebrei, questo è il binario 21” (M. Ovadia- F. Cappa, Binario 21, Rai, 2000).

Per ricordare la tragedia e l’orrore sofferto da tanti italiani ed europei, riportiamo alcuni brani del primo canto tratto dal poema Il canto del popolo ebraico massacrato di Yitzhak Katzenelson (Karelicy 1886 – Auschwitz 1944) – 3/4 ottobre 1943:

Canta! Prendi la tua arpa curva e leggera
e sulle sue corde sottili getta le tue dita,
pesanti come cuori dolenti. Canta l’ultimo canto,
l’ultimo canto degli ultimi ebrei in terra d’Europa.

Canta, canta! Alza la tua voce tormentata e rotta,
e cercaLo, cercaLo in alto, se ancora esiste.
E canta per Lui…CantaGli l’ultimo canto dell’ultimo ebreo,
che visse, mori, insepolto, e non è più.

Canta, canta per l’ultima volta su questa terra,
getta indietro la testa, fissa i tuoi occhi su di Lui
e cantaGli per l’ultima volta, suona per lui la tua arta:
non ci sono più ebrei! Li hanno sterminati tutti.

Canta, canta! Alza lo sguardo verso il cielo
Come se ci fosse un Dio lassù…e faGli un cenno,
come se lassù una grande gioia ci aspettasse.
Siedi fra le rovine del tuo popolo massacrato e canta!

Gridate da ogni lembo della terra, sotto ogni pietra,
guidate dalla polvere, dalle fiamme, dal fumo –
è il vostro sangue, la vostra linfa, il midollo delle vostre ossa,
è la vostra carne, la vostra vita! Gridate, gridate forte!

Non invocare il cielo, non ti sente. Né ti sente la terra, questo mucchio di letame.
Non invocare il sole: non si supplica una lampada…Oh se potessi
Spengerlo come una lampada in questa tana di assassini!
Popolo mio, tu del sole sei stato per me ben più radiosa luce!

Sorgi, popolo mio. Tendi le braccia
Da quelle fosse così profonde dove strato dopo strato
Fosti coperto di calce e bruciato.
Sorgi dall’ultimo, più profondo strato.

Venite tutti, da Treblinka, da Sobibor, da Auschwitz,
venite da Belzec, da Ponary e dagli altri campi,
con gli occhi spalancati e mute grida di terrore.
Venite dalle paludi, affogati nel fango, imputriditi nel muschio… 

Venite, voi disseccati, voi stritolati, voi frantumati,
disponetevi in cerchio intorno a me fino a formare un grande anello:
nonni, nonne, padri, madri con i bambini al collo.
Venite, ossa di ebrei ridotte polvere e cenere.

Alzatevi, mostratevi. Venite tutti, venite,
voglio vedervi. Voglio guardarvi, voglio
contemplare in silenzio il mio popolo massacrato.
E canterò…sì…datemi un’arpa…Ecco, io suono!
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