Grande prova della Finocchiaro in “Filo di mezzogiorno”


di Alberto Pellegrino

4 Mag 2022 - Commenti teatro

Al Teatro Lauro Rossi di Macerata, nel Filo di mezzogiorno, la scrittrice Goliarda Sapienza è magistralmente interpretata da Donatella Finocchiaro.

(Le fotografie di scena sono di Marco Spada)

Il 28 e 29 aprile 2022 è andato in scena nel Teatro Lauro Rossi di Macerata lo spettacolo Il filo di mezzogiorno che Ippolita di Majo ha adattato dall’omonimo romanzo di Goliarda Sapienza (1924–1996), una  straordinaria figura di donna che, dopo essere stata quasi dimenticata, è stata riportata all’attenzione del pubblico e della critica come autrice d’importanti opere letterarie.

Le esperienze di vita e il percorso artistico di Goliarda Sapienza

Goliarda nasce a Catania ed è la figlia dell’avvocato socialista Giuseppe Sapienza e della sindacalista Maria Giudice, la prima dirigente donna della Camera del Lavoro di Torino. I genitori, che sono entrambi vedovi e hanno tre figli lui e sette figli lei, crescono questa bambina in un clima di assoluta libertà, tanto che il padre ritiene opportuno non farle frequentare la scuola per evitare che la figlia sia soggetta a imposizioni e influenze fasciste. Goliarda si forma culturalmente come autodidatta e a sedici anni si trasferisce a Roma, dove studia e si diploma nell’ Accademia di Arte Drammatica diretta da Silvio D’Amico.

Negli anni Cinquanta e Sessanta è impegnata come attrice di prosa, interpretando soprattutto personaggi del teatro pirandelliano. Lavora anche nel cinema, partecipando a film di registi importanti come Un giorno nella vita, Fabiola e La morsa (episodio di Altri tempi) di Alessandro Blasetti, La voce del silenzio di Georg Wilhelm Pabst, Ulisse di Mario Camerini, Persiane chiuse di Luigi Comencini, Gli sbandati e Lettera aperta a un giornale della sera di Citto Maselli. Per la Rai interpreta La giara di Luigi Pirandello e Cavalleria rusticana di Giovanni Verga. Alla fine degli anni Sessanta Goliarda decide di abbandonare la professione di attrice per dedicarsi alla letteratura e nel 1967 fa il suo esordio il primo romanzo Lettera aperta, nel quale racconta l’infanzia catanese, continuando a scrivere per il resto della sua vita. Per diversi anni è la compagna del regista Citto Maselli, ma successivamente sposa l’attore e scrittore Angelo Maria Pellegrino, che dopo la sua morte sarà il curatore delle sue opere letterarie. Negli ultimi anni di vita è stata docente di recitazione presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.

Nel 1962 a causa di un grave esaurimento nervoso, compie tre tentativi di suicidio e viene ricoverata d’urgenza nel reparto psichiatrico del Policlinico di Roma, dove è sottoposta a diversi elettroshock che le fanno perdere la memoria. Uscita in parte da questa drammatica esperienza scrive il racconto autobiografico Il filo di mezzogiorno(1969) che è il resoconto della terapia psicanalitica con il medico messinese Ignazio Majore.

Nel 1980 Goliarda finisce in carcere per tre mesi dopo un furto di oggetti in casa di un’amica. A seguito di questa nuova a traumatica vicenda scrive nel 1983 L’università di Rebibbia, un libro in cui parla della esperienza vissuta nel carcere di Rebibbia e afferma che, durante quel periodo di reclusione, si sente più accettata dai suoi compagni che dagli ambienti intellettuali italiani: “Sono tornata a vivere in una piccola comunità dove le proprie azioni vengono seguite, e approvate quando giuste, insomma, riconosciute”.

Nel 1987 pubblica Le certezze del dubbio, mentre L’arte della gioia, il suo romanzo più famoso e apprezzato uscirà postumo nel 1998 seguito da altre opere: Io, Jean GabinDestino coatto, Appuntamento a Positano, Il vizio di parlare a me stessa. Taccuini 1989-1992, La mia parte di gioia, Elogio del bar, la raccolta di poesie Ancestrale e i testi per il teatro e il cinema Tre pièce e soggetti cinematografici.

La trasposizione teatrale del “Filo di mezzogiorno”

Il testo scritto da Ippolita di Majo è stato prodotto dal Teatro Nazionale di Napoli, i Teatri Stabili di Catania e Torino, il Teatro Nazionale di Roma ed è portato sulla scena dal regista Mario Martone che si è avvalso delle scene di Carmine Guarino, le Luci di Cesare Accetta e i costumi di Ortensia De Francesco. Donatella Finocchiaro ha interpretato con la solita bravura e con grande intensità drammatica il personaggio di Goliarda Sapienza, mentre Roberto De Francesco ha ricoperto il ruolo dello psicanalista Ignazio Majore.

Grazie all’impegno di Citto Maselli e di questo terapeuta contrario alla pratica dell’elettroshock, Goliarda compie un percorso di analisi nel tentativo di recuperare la sua memoria devastata dalle cure psichiatriche e lentamente riaffiorano i suoi frammentati ricordi come fantasmi del passato. Avvenimenti, sentimenti e sensazioni che si ricompongono nella sua mente e che riguardano il tempo dell’infanzia e della prima adolescenza, i tanti volti di un quartiere di Catania dove Goliarda è cresciuta, gli affetti provati per la sua amica Nica, per i suoi genitori, i suoi fratelli e fratellastri.

A questi piani temporali confusi, a queste immagini distorte e inquietanti si aggiunge un rapporto complesso tra la paziente e il suo terapeuta, un sentimento amoroso che sfocia in un confronto selvaggio e brutale che finisce per devastare lo stesso psicanalista, il quale nel 1964 decide improvvisamente di abbandonare la paziente e di ritirarsi dalla professione. Goliarda Sapienza rimane ancora una volta sconvolta da questo amore ingiustamente soffocato: abbandonata da Maselli e dai suoi amici, eppure ancora piena di vita decide di chiudersi nella sua solitudine per rimettere insieme il groviglio delle sue emozioni, per rivendicare la sua libertà e dignità di donna, cercando rifugio e salvezza nella letteratura e nella poesia. Goliarda vuole avere la libertà di riconquistare il diritto di vivere, per ritrovare se stessa come ha scritto nel Filo di mezzogiorno: “Ogni individuo ha il suo segreto … non violate questo segreto, non lo sezionate, non lo catalogate per vostra tranquillità, per paura di percepire il profumo del vostro segreto sconosciuto e insondabile a voi stessi, che portate chiuso in voi fin dalla nascita sconosciuto e insondabile a voi stessi”.

Per portare sulla scena i continui transfertdella protagonistae il doloroso confronto con il suo analista che la guida nel recuperare la propria identità, Ippolita di Majo ha immaginato che l’azione si svolga in due diversi spazi del palcoscenico come luoghi deputati destinati a rappresentare le due “zone” del mondo interiore di Goliarda:

“La zona 1 è uno spazio vuoto, buio, onirico, una zona separata e solitaria, sprofondata nei meandri dell’inconscio. La zona 2 è invece il luogo della realtà, della relazione, è la sua casa, il luogo dove i fantasmi prendono corpo, ma sono arginati dall’incontro con il dato reale, è il posto dove ogni giorno viene a farle visita l’analista che l’ha presa in cura”. Martone ha concepito questa stanza della memoria e del confronto come due spazi mobili che avanzano e arretrano, si spengono e s’illuminano a seconda dei ritmi narrativi della pièce durante la quale si svolgono venti sedute terapeutiche. Si compie cosi un viaggio nella psiche di Goliarda che lentamente e dolorosamente ritrova la consapevolezza di se stessa. Nello stesso tempo emerge tra la paziente e lo psichiatra una passione amorosa che diventa conflittuale, che suscita incertezze e paure fino a trasformare il terapeuta in un paziente costretto a mettere a nudo i propri conflitti interiori e che è costretto a fuggire da un rapporto destinato a precipitare nella nevrosi. Goliarda uscirà da questa disperato confronto ancora una volta ferita nei sui sentimenti di donna, ma anche padrona di una nuova vitalità che si trasformerà in una salvifica scrittura.

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