Grande “Norma” al Delle Muse


Alberto Pellegrino

15 Gen 2005 - Commenti classica

Ancona – La Norma di Vincenzo Bellini è una grande opera che affonda le sue radici nella rievocazione del grande mito greco e nella cultura celtica, entrambi riscoperti e rivisitati agli inizi dell'Ottocento dalla sensibilità romantica: da un lato ritroviamo le tematiche classiche della Medea di Euripide e di Seneca, dall'altro i riti celtici descritti da Chateaubriand ne Les Martyrs nei quali viene ricordato l'antico mito della sacerdotessa druidica che tradisce i propri voti per vivere un amore sacrilego con un condottiero romano di religione cristiana. Naturalmente il mondo del melodramma s'impadronisce di questi miti che fanno la loro apparizione nella Medea (1797) di Cherubini dove è presente il tema della madre accecata dall'ira e dalla gelosia che uccide i propri figli, nella Vestale (1807) di Spontini che invece privilegia il lieto fine. Lo stesso Felice Romani, che scriverà il libretto per Bellini, aveva già affrontato questo tema in due precedenti libretti: la Medea in Corinto (1813) di Mayr e La sacerdotessa d'Irminsul (1817) di Pacini.
Nel 1831 debutta al Thèatre Royal de l'Odeon di Parigi la tragedia in cinque atti Norma ou L'infanticide di Alexandre Soumet che ottiene un notevole successo di pubblico e diviene la fonte d'ispirazione del libretto di Romani, che scrive un testo di rilevante valore teatrale distaccandosi dai precedenti modelli e incentrando l'intera vicenda sulla figura appassionata e per certi versi inquietante della sacerdotessa druidica, che tuttavia non si macchia di matricidio riacquistando spessore morale come madre, come donna e come sacerdotessa a prezzo della propria vita.
Da parte sua Bellini compone un'opera assolutamente innovativa, in cui si valorizzano al massimo il valore dei sentimenti più intimi e personali attraverso delle melodie fra le più nobili ed intense nella storia del melodramma, caratterizzate anche da una straordinaria eleganza e da una sorprendente essenzialità . Il compositore fa ruotare tutto intorno alla protagonista: “Norma è un simbolo multiplo, complesso, sottratto al divenire cronologico, di cui l'aspetto della donna, tradita e vendicata, ma sempre accesa del suo amore, non è che una componente. La configurazione del personaggio ne fa un archetipo ideale, un simbolo ampio e onnicomprensivo come il grembo della madre, anzi il simbolo materno per eccellenza, inteso nel senso primitivo e profondamente legato alle scaturigini dell'inconscio” (Paolo Isotta). Il dominio della protagonista è tuttavia temperato dalla presenza di altri personaggi e del coro, mentre i concertati, attraverso un intreccio di voci soliste e del coro, scandiscono il succedersi degli avvenimenti e il materializzarsi dei sentimenti. Inoltre lo scontro delle passioni individuali entra in rapporto diretto con lo scontro fra due popoli e due culture, per cui quei momenti che esprimono il manifestarsi dei sentimenti sono spesso messi a confronto con forti tensioni guerresche. Il disegno melodico innovativo si manifesta fin dalla eccezionale bellezza della sinfonia che anticipa sia la carica emotiva dell'intera opera, sia le violente tensioni determinate dall'odio fra i popoli e dalla guerra. La novità si rinnova nell'intensità dell'intermezzo, nella forza dei ritmi guerrieri, nelle arie di assoluta bellezza affidate al personaggio di Norma a cominciare dalla celebre e straordinaria “Casta Diva” per finire con l'ampio respiro del brano finale “Qual cor tradisti”. Infine Bellini sconvolge i riti della tradizione melodrammatica concludendo il primo tempo con un terzetto che contribuì all'insuccesso iniziale dell'opera, ma che oggi apprezziamo per sua bellezza ed efficacia.
L'edizione di Norma, andata in scena al Teatro delle Muse d'Ancona il 1 -4-7 dicembre 2004, ha confermato tutta la grandezza dell'opera diretta dal M Fabrizio Maria Carianti con sicura energia e la necessaria esaltazione delle componenti melodiche con l'apporto certamente positivo dell'Orchestra Filarmonica Marchigiane e del Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”. Di grande levatura e qualità il cast degli interpreti a cominciare da una Fiorenza Cedolins straordinaria per forza vocale e intensità drammatica, con al fianco un Vincenzo Scola che ha ben interpretato il ruolo di Pollione conferendogli quella giusta aura romantica che il personaggio richiede. Una piacevole sorpresa ci è stata riservata da Adalgisa per tradizione affidata ad un mezzosoprano, mentre alle Muse il ruolo è stato ricoperto dal soprano Carmela Remigio che ha fornito una prova eccezionale per qualità della voce, per intensità sentimentale, per il peso e l'eleganza della presenza scenica, riuscendo a restituire spessore e importanza ad un personaggio solitamente considerato come marginale.
Un particolare valore all'intero spettacolo è stato conferito dalla presenza di Hugo De Ana, regista, scenografo e costumista che ha ormai raggiunto la piena maturità sul piano creativo ed espressivo. De Ana ha fatto una prima scelta interpretativa trasferendo tutta l'azione da un ambiente esterno (i boschi della Gallia) ad un ambiente interno di pura intonazione neoclassica che, attraverso cronometrici movimenti di scena, assumeva via via l'aspetto e le dimensioni di un tempio, di un interno domestico, di uno spazio assembleare. Gli stessi costumi avevano tutti una cifra decisamente neoclassica, dagli abiti femminili stile impero e dai delicati colori pastello, agli abiti dei Galli che ricordavano le divise del periodo napoleonico. Particolarmente intensi e suggestivi risultavano alcuni passaggi come “Casta Diva” cantata in un interno collegato all'ambiente esterno attraverso una pioggia di foglie autunnali che scende dall'alto mentre il coro assume la configurazione di un bassorilievo neoclassico, l'incontro fra Pollione e Adalgisa, fra la giovane e Norma, il drammatico momento in cui Norma è presa dalla tentazione di uccidere i figli, il terzetto fra le due donne e Pollione, quando una lunghissima sciarpa avvolge Norma e finisce per coinvolgere anche gli altri due personaggi a sottolineare l'unione di questo triangolo tenuto insieme dall'amore, dall'odio, dalla paura e dal rimorso. Ancora molto suggestivo è risultato il coro “Guerra, guerra” preceduto da un festoso sventolio di bandiere, ma cantato dalle donne dei Galli chiuse in luttuosi abiti neri ed ancora la morte di Norma e Pollione di nuovo uniti in un saldo legame d'amore, morte che De Ana fa avvenire in scena, rinunciando al rogo e facendo morire i due amanti trafitti dalle lance galliche abbracciati al tripode consacrato al dio Irminsul. Ancora da sottolineare la sapiente e cronometrica utilizzazione del coro la cui presenza non è mai gratuita ed estranea all'azione, i continui riferimenti alla pittura e alla scultura neoclassica, la particolare attenzione ai particolari come nel duetto fra Adalgisa e Norma (“Mira, o Norma, ai tuoi ginocchi), quando i due piccoli si rifugiano sotto il mantello della sacerdotessa che assume la dimensione di una laica e primordiale Madonna del Soccorso, il disegno delle luci che scandiscono l'azione con poetica efficacia sempre in sintonia con la musica e l'azione scenica.

(Alberto Pellegrino)


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