“Gran Teatro Italia” di Alberto Mattioli


a cura di Alberto Pellegrino

10 Lug 2023 - Approfondimenti classica, Letteratura, Libri

È Un viaggio sentimentale nel Paese del melodramma quello di Alberto Mattioli col suo ultimo libro “Gran Teatro Italia” edito da Garzanti.

Uno grande esperto di teatro musicale, Alberto Mattioli, ha scritto Gran Teatro Italia (Garzanti, 2023), un libro interessante per quanti amano il melodramma, un affascinante viaggio che attraversa un’Italia segnata dai suoi prestigiosi teatri d’opera che per secoli sono stati e ancora sono il centro cittadino della vita musicale, sociale e civile, al pari della piazza, della cattedrale, del museo, della biblioteca e dei caffè:  “Fra la città e il suo teatro d’opera – dice Mattioli – c’è una simbiosi, un’attrazione, una corrispondenza d’amorosi sensi che hanno forgiato l’identità di entrambi”. In un Paese policentrico, fatto di dialetti, culture, gastronomie, costumi diversi, il teatro d’opera è presente nelle metropoli come nelle cittadine di provincia. È una caratteristica nazionale che accomuna il Paese e rende possibile raccontare la sua storia partendo proprio dai teatri, luoghi dove si può andare per divertirsi, per lavorare o per esercitare la più nobile delle attività, quella di pensare.

Nasce e s’afferma il melodramma

Il melodramma nasce ufficialmente a Firenze, dove s’inventa il “recitar cantando” e dove il 6 ottobre 1600 va in scena l’opera Euridice, libretto di Ottavio Rinuccini, musica di Jacopo Peri e Giulio Caccini (ma il 26 dicembre 1598 era già stata rappresentata la Dafne di Rinuccini-Peri). Nel 1607 nella corte di Mantova va in scena l’Orfeo di Claudio Monteverdi e nel 1637 l’Andromeda di Francesco Manelli inaugura il Teatro San Cassiano, il primo edificio pubblico dedicato al mondo allo spettacolo, per cui il teatro esce dalle corti principesche per aprirsi al popolo. In pochi anni il melodramma diventa famoso nel mondo occidentale e l’Italia esporta in Europa compositori, musicisti, librettisti, scenografi, coreografi, danzatori, castrati, soprani e tenori che trionfano sui palcoscenici europei, per cui la lingua italiana diventa celebre non tanto per merito nei nostri maggiori letterati, ma di librettisti come Metastasio, Felice Romani, Francesco Maria Piave, Arrigo Boito, Illica e Giacosa. 

Il teatro greco è un semicerchio degradante verso il palcoscenico per assicurare la massina visibilità e democrazia senza distinzioni di classe, è un’agorà popolare in cui si celebra il rito della tragedia e della commedia. I teatri all’italiana sono stati invece progettati per non solo per vedere uno spettacolo, ma per passare una serata. I palchi sono una vetrina per mettersi in mostra, un salotto privato dove si può chiacchierare, giocare a carte, mangiare, perfino fare l’amore. In platea si sta di solito in piedi, il passeggio tra palchi e platea è continuo, le luci sono accese. Nella cattolica Italia le stagioni teatrali iniziano il 26 dicembre e si concludono nel “martedì grasso” del Carnevale; si fa eccezione per le feste del patrono e le grandi fiere che richiamano una grande affluenza di commercianti e compratori. Una caratteristica dei teatri all’italiana è la divisione per classi sociali: l’aristocrazia nei palchi, la borghesia in platea, il popolo in loggione. Persino gli ingressi erano separati: quello principale per i palchi e la platea, quello laterale per il loggione; la stessa definizione del melodramma come arte nazionalpopolare è un po’ esagerata, perché è riservato a una popolazione urbana e benestante.

Eppure l’opera lirica diventa un’arte per tutti; le bande musicali cittadine e i musicisti di strada diffondono popolarità e partecipazione, per cui si cantano le arie più celebri nei salotti e nelle osterie: “Un teatro così difficile, elitario, basato sull’assurda convenzione di gente che discorre cantando in un italiano letterario che non esiste se non sulla carta, che nessuno parlava e che molti non capivano, in forme musicali spesso complesse, diventa però patrimonio e passione e coscienza comuni per colti e ignoranti, ricchi e poveri, patrizi e plebei (A. Mattioli). Nel Novecento l’opera s’intellettualizza, le sale sono al buio, è vietato chiedere il bis, le signore non devono indossare il cappello, non si può entrare a spettacolo iniziato.

Il viaggio teatrale lungo la penisola

Teatro alla Scala di Milano

La prima tappa è il Teatro alla Scala, luogo che s’identifica con Milano che a sua volta s’identifica con questo teatro, dove l’opera lirica è una specialità milanese come la Madonnina, il panettone, il risotto con l’osso buco, la cotoletta; un tempo luogo privilegiato dell’aristocrazia e oggi dell’alta borghesia cittadina, meta obbligata per gli stranieri attratti dal “tempio” del melodramma. L’architettura di Giuseppe Piermarini rende tutto magnifico e solenne con il suo arioso neoclassico. Non è il teatro più antico, perché aperto nel 1778, ma affiancato per importanza solo al napoletano San Carlo e alla veneziana Fenice. Il suo primato si consolida dopo 1861 con la città che aspira a diventare una metropoli europea con la sua economia, le case editrici, le grandi case musicali. È stato il regno di Donizetti e di Verdi, la sede di memorabili allestimenti e di fiaschi sonori. Ha un “mitico” loggione, competente, turbolento, rissoso, ironico, divertente, capriccioso, un club per appassionati che si frequentano e si riconoscono. Qui si materializza la teoria di Gramsci su popolo e opera lirica: “Siccome il popolo non è letterato e di letteratura conosce solo il libretto d’opera ottocentesco, avviene che gli uomini del popolo melodrammatizzino”. 

Il Teatro Regio di Torino è un riflesso della serietà, moderazione, razionalità torinese. Sorto nel 1740 in Piazza Castello è un monumento alla dinastia dei Savoia con una sala decoratissima e 2.550 posti con 5 ordine di palchi. Qui debutta Puccini con la Villi, Manon Lescaut, Bohème, Zandonai con Francesca da Rimini.

Teatro Regio di Torino

L’Emilia Romagna è terra di grandi interpreti e di teatri grandi e piccoli, tutti luoghi di culto a cominciare dal Teatro Regio di Parma che si è accaparrato il titolo di teatro verdiano, il Municipale di Piacenza, il Valli di Reggio Emilia, il Pavarotti-Freni di Modena, l’Abbado di Ferrara, l’Alighieri di Ravenna. In tutti domina la passione per il melodramma che trova il suo vertice nel glorioso Teatro Comunale di Bologna, costruito da Antonio Galli Bibbiena e aperto nel 1763.

Teatro Comunale di Bologna
Teatro La Fenice di Venezia

Venezia dal primo Settecento è la città dei teatri pubblici, aperti e chiusi, distrutti e ricostruiti. La città è la capitale del piacere con i suoi teatri, casinò, carnevali, case di appuntamento, popolata di gente che prende la vita come viene, orgogliosa perché la civiltà finisce a Marghera. Due teatri svettano su tutti: il Malibran e La Fenice, il più importante teatro d’opera dopo La Scala e il San Carlo; l’edificio brucia nel 1846 e viene ricostruito nel 1854; brucia di nuovo nel 1996 per rinascere nel 2010 in tutto il suo splendore.

A Firenze, città delle cultura e dell’arte, vi sono due teatri storici, il piccolo Goldoni (1817) restaurato e dedicato soprattutto alla prosa e Il Teatro della Pergola costruito nel 1657, poi ricostruito e sede dell’opera lirica, del Maggio Musicale Fiorentino (1933), secondo festival musicale europeo dopo Salisburgo.

Teatro dell’Aquila di Fermo

Le Marche non a caso è l’unica regione che ha un nome al plurale, divisa su tutto ma unita da una tradizione culturale che ha visto fiorire cattedrali, santuari, castelli, centinaia di monumenti, con la piccola Urbino che è stata una delle capitali del Rinascimento. Un caso straordinario è costituito dal grande numero di teatri storici: 160 agli inizi dell’Ottocento; 113 censiti nel 1861; 70 quelli rimasti, tutti restaurati e funzionanti. Piccole sale (come il meraviglioso Flora di Penna San Giovanni), grandi edifici come il Teatro dell’Aquila di Fermo, il Ventidio Basso di Ascoli, il Pergolesi di Jesi, il Rossini di Pesaro; di medie dimensioni come il Lauro Rossi di Macerata, il Feronia di San Severino, il Marchetti di Camerino, il Teatro della Fortuna di Fano, il Raffaello Sanzio di Urbino, un patrimonio unico realizzato da grandi architetti.

Il Teatro dell’Opera di Roma nel dopoguerra ha vissuto anni piuttosto tumultuosi, per poi diventare, alle soglie del Duemila, una delle istituzioni più importanti del teatro musicale italiano con rappresentazioni di alto livello.

Teatro San Carlo di Napoli

A parte i teatri rinascimentali come l’Olimpico di Vicenza, il Farnese di Parma o il gioiello del Teatro Scientifico di Mantova del Bibbiena, il Teatro San Carlo di Napoli è il più bello dei grandi teatri italiani. Costruito nel 1737 per volontà di Carlo III di Borbone per esaltare il decoro regio già espresso in splendide ville e palazzi. Bruciato nel 1816, viene ricostruito per volontà di re Ferdinando con straordinaria rapidità nel 1817 dall’architetto Antonio Niccolini. Come scrive Paolo Fabbri: “Forse nessun altro edificio teatrale come quello napoletano di San Carlo esprime con tanta eloquenza peso e funzioni del teatro per una musica nella vita di società del Settecento”. Per secoli Napoli è stata una capitale europea della musica e i suoi conservatori hanno formato generazioni di grandi operisti fino al primo Ottocento con la straordinaria stagione nel segno di Rossini, sostituito da Donizetti che nel 1835, con la sua Lucia, inaugura l’eccezionale stagione dell’opera romantica italiana.

Teatro Massimo di Palermo

Palermo ha il suo tempio della musica nel Teatro Massimo, orgoglio della città per la sua stupefacente bellezza e per il primato di terzo teatro d’opera più grande d’Europa dopo Parigi e Vienna (7730 metri quadrati di superfice). Progettato nel 1868 da Giovanni Battista Filippo Basile è stato finalmente inaugurato nel 1897; è stato chiuso per restauri dal 1974 al 1997, è ritornato ad essere il centro della vita palermitana, in una città divisa tra mondanità e modernità, jet internazionale e tradizione, tempio della borghesia colta palermitana formata da gente informata e competente. Il teatro fa parte di una bellezza cittadina spesso ferita e oltraggiata: “La bellezza, purtroppo, non salva il mondo – scrive Mattioli – è semmai il mondo che dovrebbe salvare la bellezza per salvarsi, e salvarci”.

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