“Federico II” in prima a Jesi


Redazione

23 Set 2004 - News classica

La prima esecuzione assoluta dell’opera “Federico II’ di Marco Tutino,
compositore di punta del teatro musicale italiano, inaugura il 1 ottobre alle ore 21 (replica il 3 ottobre alle ore 16) la Stagione Lirica di
Tradizione del Teatro Giovan Battista Pergolesi di Jesi. L’opera – che viene rappresentata in occasione degli 810 anni dalla nascita a Jesi
dell’imperatore Svevo – aprirà l’edizione numero XXXVII del cartellone lirico firmato dal direttore artistico Angelo Cavallaro, promosso dal
Comune di Jesi, e sostenuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Regione Marche (sponsor principale: Banca delle Marche).
L’Orchestra Filarmonica Marchigiana, il Coro Lirico Marchigiano ‘Bellini’, diretti da Stewart Robertson, regia di Valter Malosti, video di Francesco Frongia, scene di Paolo Baroni, movimenti coreografici di Tommaso Massimo Rotella, costumi Patrizia Tirino, con i cantanti Randal Turner (Federico II), Michela Sburlati (Isabella), Laura Cherici (Violante), Keith Olsen (Pier Delle Vigne), Mark Milhofer (Enrico), Manrico Signorini (Omar e Michele Scoto), Filippo Bettoschi (Papa Innocenzo e Berardo di Castacca), Roberto Gattei (Dottore) sono i protagonisti dell’opera su libretto di Giuseppe di Leva, che racconta la storia del più celebre cittadino di Jesi,
nato nel 1194.
Ricordiamo che Federico II fu artefice di una vita culturale vivacissima: si circondò di matematici e astronomi, musici e poeti, medici, legislatori e
filosofi. Con lui sorsero la Scuola poetica siciliana e l’Università di Napoli (1224), centro della cultura europea; la Scuola medica salernitana divenne Accademia ed ebbe la prima cattedra di Anatomia. Accolse anche poeti e trovatori che fuggivano dalla Provenza perchè perseguitati come eretici dal Papa.
L’opera “Federico II” è frutto della riscrittura di una imponente produzione lirica realizzata 12 anni fa, e mai andata in scena. Fu un desiderio di Giancarlo Del Monaco, nel 1992 sovrintendente dell’Opera di Bonn, quello di realizzare un’opera che si ispirasse a quel personaggio. “In un primo momento sia io che il librettista Giuseppe Di Leva fummo perplessi circa la
possibilità di comporre un’Opera per così dire storica – racconta Marco Tutino – ci sembrava che i rischi di cadere nella retorica, o addirittura nel ridicolo, fossero alti. Man mano che si procedeva nel lavoro, trovammo quelle ragioni e quell’entusiasmo necessari per portare a termine un impegno così cospicuo”. “Da allora – aggiunge il compositore – molte cose sono cambiate, nel modo di ascoltare lirica, di produrla, ma anche nel mio modo di comporre”.
Ricchissima la trama musicale e teatrale rispetto al progetto originale: a Jesi l’opera interseca in più punti la prosa affidata al Teatro dei Pupi, fino al melologo sempre interpretato da un puparo. “Questo perchè la commissione originale esigeva una dimensione davvero improponibile oggi: si trattava di tre ore e mezza di spettacolo, con una compagine orchestrale e
corale smisurata e un numero altissimo di personaggi. Dunque anche l’orchestrazione ha subito modifiche sostanziali, e l’organico scelto oggi è molto ridotto e differente anche nelle scelte timbriche “.
Federico II – aggiunge Tutino – è certamente la più “moderna” delle Opere che ho scritto. Abbiamo evitato il racconto e scelto l’evocazione, il sogno,
la fascinazione di alcune situazioni tipo”.

Il Teatro di tradizione jesino proporrà di seguito tre titoli del grande repertorio. Il 15, 16 e 17 ottobre andrà in scena “Andrea Chènier” di Umberto Giordano, una coproduzione del Teatro Pergolesi di Jesi con lo Stadttheater di Berna e il Teatro dell’Aquila di Fermo. Mladen Tarbuck
dirige l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, Carlo Morganti dirige il Coro Lirico Marchigiano “Bellini”. La regia è di Anastasia Vareli secondo una produzione di Eike Gramss, le scene sono di Christoph Wagenknecht, i costumi di Rena Schitzer. Gli interpreti: Ignacio Encinas e Emil Ivanov (Andrea
Chènier), Genaro Sulvarà n e Marzio Giossi (Gèrard), Maria Pia Ionata e Mina Tasca (Maddalena di Coigny), Svetlana Trofanchouk, Eughenia Dundekova, Francesco Palmieri, Michele Maddaloni, Nicola Pamio, Roberto Gattei, Marcello Mosca, Franco di Girolamo.
Il 29, 30 e 31 ottobre sipario aperto su “L’Elisir d’Amore” di Gaetano Donizetti, nuova produzione del Teatro Pergolesi in coproduzione con il Teatro dell’Aquila di Fermo, regia di Michele Mirabella, ideazione scenica e disegno costumi Paolo Rovati. Mats Liljefors dirige l’OFM, Carlo Morganti il
Coro Lirico ‘Bellini’. Nel ruolo di Adina si alterneranno Cinzia Rizzone e Paola Cigna, in quello di Nemorino Francesco Piccolo e Danilo Formaggia;
completano il cast Massimiliano Valeggi (Belcore), Stefano Rinaldi Miliani (Dulcamara), Letizia del Magro (Giannetta).
Il 6 e 7 novembre il Pergolesi propone “La Traviata” di Verdi, coproduzione con il Teatro Marrucino di Chieti. Dirige Marzio Conti, Orchestra Filarmonica e Coro Lirico sono del “Marrucino” di Chieti, regia e costumi Lindsay Kemp, scene Giuliano Spinelli. Nel cast: Mara Lanfranchi e Paola Antonucci (Violetta), Alfredo Nigro (Alfredo), Marcello Lippi (Giorgio Germont), Damiana Pinti e Milena Storti (Flora), Simonetta Marcolongo e
Manuela Bisceglie (Annina), Cataldo Gallone, Luciano Miotto, Eugenio Leggiadri Gallani, Alessandro Pento, Marco Iezzi, Ladislao Riusz.
La stagione lirica chiuderà il 12, 13 e 14 novembre con la prima esecuzione
assoluta di “Fuzzy Time”, balletto su musiche originali di Bruno de Franceschi e coreografie di Rebecca Murgi, scene luci e costumi di Lucio Diana. Si tratta di una coproduzione tra Teatro Pergolesi e INTEATRO_Teatro Stabile di Innovazione / Ente nazionale di promozione della danza. L’Orchestra sarà la Filarmonica Marchigiana.

Appunti per Federico II di Marco Tutino

Federico II nacque dal desiderio di Giancarlo Del Monaco, allora sovrintendente dell’Opera di Bonn, di realizzare una produzione lirica che inaugurasse la sua gestione e che si ispirava a quel personaggio, che da sempre lo affascinava. In un primo momento, sia io che il librettista Giuseppe di Leva fummo perplessi circa la possibilità di comporre un’Opera per così dire storica , perchè ci sembrava che i rischi di cadere nella retorica, o addirittura nel ridicolo, fossero alti. Poi, man mano che si procedeva nel lavoro, trovammo quelle ragioni e quell’entusiasmo necessari per portare a termine un impegno così cospicuo. La principale difficoltà che subito ci trovammo a dover risolvere era quella di raccontare la storia di un uomo che apparentemente aveva fatto tutto: lo scienziato, il poeta, il guerriero, l’uomo politico e così via; e al quale era capitato di tutto. Correvamo quindi il rischio di non riuscire a trovare una chiave, una caratterizzazione appropriata, una direzione drammaturgica lineare. Per questo è stato necessario compiere delle scelte, eliminare anche molti lati della complessa figura di Federico II, e concentrarci su alcuni aspetti che ci sembravano prioritari. Anche per quanto concerne il procedere della narrazione, non abbiamo voluto dare il senso della conseguenza cronologica perfetta, e all’ascoltatore è richiesto lo sforzo di calarsi in determinate atmosfere e situazioni senza pretendere che vi siano delle reali ragioni drammaturgiche per giustificare gli accadimenti. In questo senso, Federico II è certamente la più moderna delle Opere che ho scritto. In altre parole, non ci sembrava possibile raccontare tradizionalmente la storia di Federico. Abbiamo evitato il racconto, e scelto l’evocazione, il sogno, la fascinazione di alcune situazioni tipo. Di Federico II colpisce il fatto che la sua vita sembra programmata per essere mitizzata. Compie solo gesta eccezionali, e se tutto ciò che di lui è stato tramandato risultasse vero, sarebbe il caso più macroscopico di fantasia realizzata; davvero la sua esistenza sembra un copione uscito da Hollywood. In realtà , Federico II fu un grande statista che per primo concepì quello che diventerà il fondamento dello stato moderno, e cioè la burocrazia. E anche per primo capisce che lo sviluppo e il contributo della cultura e dell’arte sono fondamentali per chi voglia detenere il potere in modo dinamico; esattamente ciò che faticano a comprendere le classi politiche del dopoguerra. Da questo punto di vista, il governare di Federico è moderno; probabilmente più moderno di quanto si sia ancora riusciti a realizzare in occidente. Dalla composizione di Federico II per l’Opera di Bonn sono passati dodici anni. Molte cose sono cambiate, nel modo di ascoltare lirica, di produrla, ma anche nel mio modo di comporre. L’edizione che vedremo e sentiremo a Jesi è una versione ridotta dell’Opera rispetto al progetto originale. Alcune scene sono state soppresse integralmente, e riassunte o sostituite da parti in prosa affidate al Teatro dei Pupi, o tramutate in melologo sempre interpretato da un puparo. Questo perchè la commissione originale esigeva una dimensione davvero improponibile oggi, che sarebbe assurdo conservare: si trattava di tre ore e mezza di spettacolo, con una compagine orchestrale e corale smisurata e un numero altissimo di personaggi. Dunque anche l’orchestrazione ha subito modifiche sostanziali, e l’organico scelto per questa edizione è molto ridotto e differente anche nelle scelte timbriche rispetto all’originale.

Stupor Teatri di Giuseppe di Leva

Federico di Hohenstaufen (di Svevia, chez nous) era nato in Italia (e proprio a Jesi). In lui convivevano quindi due culture. Sentì presto il fascino dell’Oriente (cresciuto nelle strade dei quartieri arabi di Palermo, di consiglieri arabi si circondò in seguito): un grande meticcio. Dodici anni fa Giancarlo Del Monaco, sovrintendente di Bonn, commissionò a Marco Tutino un’opera su Federico. Tutino propose a me di scrivere il libretto. L’opera doveva andare in scena per l’800 anniversario della nascita dell’imperatore, ma per ragioni interne al Teatro di Bonn, non ci andò. Lo dice Tutino nei suoi Appunti’: cercare di scrivere un melodramma storico ci sembrava anacronistico, volevamo creare situazioni e atmosfere. Ma la figura di Federico II è imponente e imponente è comunque la forma operistica: unite, queste imponenze potevano schiacciare le nostre intenzioni. Occorreva una chiave di straniamento strutturale. Ci sembrò di trovarla nel gioco tra macro e micro , in particolare nel gioco del Teatro dei Pupi (pare esistesse già ai tempi di Federico ). Del resto, questa chiave corrispondeva all’idea che ci eravamo fatti di lui: il mondo gli sembrò un teatro.
Sovrano guerriero perchè i tempi lo imponevano, Federico II credeva poco nelle armi, credeva invece nella politica e nella mediazione e sapeva comprendere le ragioni del nemico. Non riconosceva però valore al cardine dell’etica cristiana, il perdono (d’altra parte, non lo praticavano nemmeno i Pontefici). Negava il perdono soprattutto ai traditori, e così fece accecare il suo gran commis, e amico, il poeta Pier delle Vigne, colpevole sembra di malversazioni (e Piero si uccise in un modo tra i più spaventosi). Federico riteneva il perdono una debolezza colpevole: perchè rinviare a Dio un giudizio che gli uomini sono in grado di pronunciare autonomamente? Se credeva in Dio, Federico credeva nel Dio vendicativo dell’Antico Testamento forse fu questa la ragione per cui venne chiamato l’Anticristo . Quando venne raggiunto dalla scomunica papale, l’imperatore disse: Per troppo tempo sono stato incudine, ora sarò martello . Abbandonò la flessibilità e la mediazione (i lutti che accompagnavano ormai la sua vita contribuirono all’inasprimento). Tutino ed io non abbiamo scritto un melodramma storico, ma questo è comunque il punto di svolta nel personaggio che abbiamo creato. Ho riletto questo libretto per l’adattamento dell’opera al Teatro Pergolesi e l’ho riletto come fosse stato scritto da un’altra persona. Bello o brutto, credo abbia una coerenza. Per quanto possa sembrare strano, la coerenza trova il suo collante nelle citazioni di autori molto diversi. Qualche esempio. Primo. Anche dodici anni fa c’erano guerre. Mi capitò in quel periodo di leggere le poesie di Joseph Roth. Alcune parlano della morte nei campi di guerra: a queste è ispirata un’ aria di Federico ( umida nebbia / di un’alba bianca ). Secondo. La scena del Frate che vende indulgenze, tetro Dulcamara, è mutuata da un’analoga scena del Lutero di John Osborne.
Terzo. Sembra che Federico abbia visto una sua statua abbattuta. Con opportuni aggiustamenti metrici, gli abbiamo attribuito un’immagine di Victor Hugo: Se ci chiediamo a cosa serve un re, / un dio potrà dire: / a farvi una statua / e ospitarvi una rondine .
Quarto, e più generale. Abbiamo cercato di far convivere un linguaggio che per comodità definisco alto con uno quotidiano, atmosfere drammatiche e atmosfere intime. Per queste ultime ci siamo rifatti al lavoro di cantautori e parolieri degli anni Settanta. Prima di allora i testi delle canzoni potevano dire in un viale ingiallito d’autunno / tristemente m’hai detto è finita’. Nei Settanta, in un giorno di malinconia, proviamoci anche con Dio, / non si sa mai . Si cominciava a cantare come può capitare di parlare, si individuavano versi nel parlato quotidiano. Esempio nell’esempio, Pier Delle Vigne aveva amato la figlia di Federico, ma si innamorò di Isabella d’Inghilterra (sinceramente non ricordo se questo accadde nella realtà o se solo nelle nostre fantasie): Piero dice alla figlia di Federico perdona, se puoi le parole che, credo, chiudono una canzone di Battisti e Mogol. Anche se cantate su note diverse, richiamano una koinè che precede l’avvento dell’era della spazzatura. Facendo questi esempi, non abbiamo inteso scandalizzare, ossia far inciampare, nessuno. Semplicemente, questo mi è sembrato di leggere in un testo scritto dodici anni fa. Alte atmosfere sono costruite con testi poetici dell’epoca di Federico e musicati da Marco Tutino.

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Simona Marini (328.9225986)