C'era una volta la guerra…e chi la raccontava…


11 Ago 2013 - Libri

Titolo completo:
C’era una volta la guerra…e chi la raccontava. Da Iraq a Iraq: storia di un giornalismo difficile

Come è cambiato il giornalismo di guerra? Negli ultimi anni, afronte di una maggior visibilità del giornalista di guerra e diuna maggior comunicazione attorno al fenomeno guerra, che, da fatto delmondo, diventa subito evento mediatico, si può dire che sianoaumentati anche il peso del giornalismo di guerra in sé e ilgrado reale di informazione? Questo lavoro, che è la sintesi didue anni di ricerca, si basa su alcuni concetti. La prima idea èche la storia sia “storia degli uomini nel tempo”(1). Perquesto abbiamo tentato, tramite l’incontro con una categoria,quella dei giornalisti inviati italiani, di ricostruire le dinamiche diun mestiere, di una categoria, di una professione, nel tempo. Ma,muovendosi questa categoria in uno scenario affascinante, meravigliosoe complesso, come quello della guerra, abbiamo anche tentato di darequalche interpretazione ai fatti di cronaca che diventano subitostoria. Avendo ben chiaro in testa il fatto che la società senzail giornalista e lo storico, senza il giornalismo e la storia, sarebbemanchevole di qualcosa, sarebbe meno informata, capirebbe di meno e ingenerale sarebbe meno consapevole e democratica. Forse è proprioper questo che il potere militare e politico tentano, con metodi semprepiù raffinati e mascherati, di ingabbiare, per non direcensurare, limitare, ingaggiare, comprare, giornalisti e storici. Ilgiornalista, e quello di guerra in particolare, è un“curioso giramondo”(2) che “va là dove le coseaccadono davvero”(3) per “capire e per farcapire”(4). In altri termini il compito del giornalista èquello di registrare i fatti del mondo, di decidere quali sono notiziee quali no, di tentare di capire le cose che vede svolgersi sotto isuoi occhi, “mentre le cose avvengono”(5) e poi di scrivere(raccontare), magari “sul tamburo”(6), cioè subito,quei fatti che sono cronaca e che, spesso, nel caso delle guerre,diventano, nel giro di poco tempo, storia.Ma perché occuparsi proprio del giornalismo di guerra? Forseperché lo stato di guerra permanente attuale ci induce spesso apensare che ciò di cui abbiamo notizia, ciò che avviene(o che pensiamo avvenga) sia una novità. In realtàcensura e orrori, distruzione e morte sono sempre statiall’ordine del giorno nella storia dell’uomo. Forseperché, come afferma Cumings: “la guerra è loscenario per l’esposizione di tutte le nostre qualitàumane, troppo umane, e delle nostre politiche più elementari;perciò è un insieme che rifiuta opinioniparziali”(7). Viviamo in un periodo di guerra permanente. Tutti igiorni si leggono sui giornali notizie di guerra e di violenze.Nessuno, o pochi di noi, nel mondo occidentale, ha esperienza direttadella guerra. Tutte le nostre esperienze della guerra sono, percosì dire, esperienze mediate. Sono esperienze che i mass mediaraccontano. E tramite loro i giornalisti inviati, in particolare, manon solo (ci sono anche testimoni non professionisti, come i volontari,i missionari e, ultimamente addirittura ci sono i diari di guerra cheviaggiano on line: i weblog) raccontano ciò chevivono: la guerra vera, in maniera più diretta rispetto a tuttoil resto del mondo. “Il giornalista è il testimone, spessoinvolontario, in genere di una brutta storia”. E, non solo neè il testimone, ne è anche “il narratore senzafronzoli”(8). Eppure, almeno da dieci anni a questa parte, ognunodi noi è certo di vivere in un periodo di guerra permanente, unperiodo nel quale la violenza e il terrore sono temi ricorrenti nei Tgdella sera e non solo. Ognuno di noi ha in qualche modo esperienzadella guerra. Le guerre sono cambiate e con esse è cambiato ilmodo di raccontarle. L’inviato speciale è quel giornalistache, esperto di affari e di politica estera, va in territorio di guerrae vede, ascolta, percepisce ciò che accade. Questo non sempreè vero. Non sempre è semplice. Non sempre è ugualea se stesso. Il giornalista di guerra è un testimoneprofessionista che racconta di un mondo che appare lontano, ma chespesso lontano non è, come la guerra nei Balcani ha dimostratoin tutta la sua evidente violenza. “L’unica incontestabileverità della guerra è che uccide un sacco digente”(9) e probabilmente anche per questo la guerra nonpuò lasciare indifferenti.Questo sulla guerra, quanto al giornalismo mi interessa, probabilmente,perché è “un lavoro tanto meraviglioso, quantodifficile. E’ un lavoro che oggi è in piena mutazione finoal punto che può sembrare che si stia convertendo inun’altra cosa. Questo processo non è nuovo, ma si èaccelerato negli ultimi quindici anni, tanto che alcuni hanno parlatodi morte del giornalismo”(10). La storia del giornalismo“è la storia di una professione. E’ la storia diuomini e di donne che hanno dato vita a un nuovo mestiere, lo hannoreso autonomo da altre figure lavorative, lo hanno fatto crescere incomplessità e potere sociale”(11). Da sempre la storia delgiornalismo ha coinciso con la storia. La storia delle rivoluzioni,della conquista della libertà, dell’affermazione deidiritti e della costruzione dello stato sociale. Il tema èproprio il cambiamento: delle guerre, del giornalismo. In ultimaanalisi il cambiamento del giornalismo di guerra. Sono almeno due leidee che fondano questo lavoro: da un lato c’è lavolontà di capire chi è e cosa fa il corrispondente diguerra. Come il suo ruolo è cambiato e come il suo mestiere siè modificato nel corso del tempo in seguito (o parallelamente)al modificarsi dei conflitti, dei mezzi dei comunicazione di massa,della comunicazione, della società. Al centro di questo lavoroci sono le storie di uomini e di donne che hanno un ruolo non semplice:raccontare ciò che avviene mentre avviene. Tentare di capire edi interpretare, senza però perdere mail’obiettività, meglio, l’onestà. Tentare didare un senso a ciò che vivono sia anche solo “merda omorte”(12) come molti di loro raccontano. Il loro racconto nonè quello dei sopravvissuti, perché loro non vivono lestorie che raccontano, però è molto vicino a questaesperienza estrema. Non è un caso che nei reportageci sia spesso l’idea che si cammina affianco alla morte e allaviolenza e si è in qualche modo (a volte, ma non sempre) indennida esse. La seconda idea che ispira il lavoro, secondaria perchégrande spazio voglio dare alla storia del mestiere, di uomini e donneche mediano i fatti e che però ne sono, spesso pesantemente,parte, ma, non per questo, meno importante, è quella di“comprendere”(13) la storia degli ultimi anni. Annicostellati di guerre, eppure più pacifici degli anni che lihanno preceduti. Anni violenti e apparentemente irrazionali, eppuredecisamente più pacifici e tranquilli degli anni che precedonola caduta del Muro.In tutto questo, dal ‘91 in poi, c’è solo unapotenza mondiale (non più due) che decide che cosa fare. Decidechi attaccare e quando. E’ ovvio che il lavoro ha, e non vedoperché non dovrebbe avere, visto che ciò èconnesso alla “storia degli uomini nel tempo”(14) e a quelverbo magnifico e tremendo che è “comprendere”,anche uno scopo politico, o almeno, una tensione civile.Gran parte di questo lavoro nasce dal collegamento di tanti spunti, ma,soprattutto, dalle conversazioni che ho avuto sul giornalismo diguerra, sul rapporto fra mediae potere, sul tema dell’informazione, della censura e dellapropaganda, sul significato e il valore di questo mestiere esull’orrore della guerra con i giornalisti inviati speciali ingiro per l’Italia.Tutti i giornalisti incontrati, che ringrazio e a cui dedico questo miolavoro, mi hanno insegnato che fare giornalismo significaessenzialmente “capire e far capire”(15). E’ questo,in quanto mediatore culturale, il ruolo del giornalista. Tramitel’intervista, che è un modo molto particolare dicomunicazione (è una forma di comunicazione personale, nellaquale prevalgono su tutto la curiosità e l’artedell’ascolto), in particolare, ma non solo, ho tentato di capireun po’ meglio le dinamiche della storia recente e, inparticolare, il valore di un mestiere. Dopo una premessa metodologica, dove vengono esposti i metodi,gli strumenti e le finalità proprie della ricerca, si passa allatrattazione dei temi in oggetto di studio, che emergono, soprattutto,dal racconto degli inviati speciali e che è articolata in seicapitoli.Nel primo capitolo viene trattato l’argomento di chi siae che cosa faccia il giornalista di guerra. Di fronte al peso sempremaggiore dei sistemi mediatici “gigantisti”(16) sembra cheil valore contrattuale del singolo giornalista sia diminuito, eppureè ancora alla sua voce e ai suoi occhi che si affida il raccontodelle cose del mondo, soprattutto di quelle lontane. Il secondo capitolo si occupa degli aspetti piùmateriali del mestiere: il rapporto con la tecnologia, i costi e ladeclinazione del racconto delle ultime guerre in funzione dei diversi media e delle diverse risorse impiegate. Nel terzo capitolosi affronta invece il tema, centrale per la storia del giornalismo, delrapporto fra poteri: da un lato c’è quello mediatico e,dall’altro quello politico e militare. In mezzo ci sono i fattidel mondo, l’orrore, il sangue, le vittime delle guerre e letestimonianze dei giornalisti inviati. Nel quarto capitolo mi sono invece occupata degli aspettilegati alla retorica della guerra, alla nuova e alla vecchia narrazionee al rapporto che c’è fra il giornalista e lo storico. Idue mestieri sono sempre più affini e diversi, comparabili e inalcuni casi, addirittura, dove finisce l’uno inizial’altro. La tensione di entrambi è quella di comprendere.Il giornalista lo fa subito, con tempi frenetici, il giornale che staper chiudere e le agenzie che dicono altro, lo storico lo fa conmaggior calma, sempre più spesso avendo come fonti proprio ipezzi giornalistici. Dopo essermi soffermata sulla questione dellamorte del giornalista e sul tema della sicurezza del lavoro in aree dicrisi, nel quinto capitoloho analizzato altri elementi del nuovo giornalismo: i conflittidimenticati, l’abitudine e l’orrore, le donne giornaliste.Dopo aver tanto parlato del mestiere, nel sesto capitolo,infine, ho lasciato spazio ai racconti personali, la cui collezionedà uno spaccato della categoria in Italia.Parlare di guerra, informare sulla guerra, è utile per costruirela pace(17). Il diritto/dovere di informare e il diritto/dovere diessere informati di ogni singolo cittadino sono fondamentali(18).Dobbiamo tendere al meglio, e il meglio è rappresentato dallalibertà di stampa, dalla democrazia e dalla pace, non dallacensura, dalla prepotenza di una potenza su altri stati e dalla guerra.Ma questi principi e questi valori sono tutt’altro che assodati.Il giornalista e lo storico, ma anche il cittadino, hanno un ruoloimprescindibile. In particolare il corrispondente di guerra haindubbiamente un ruolo civico, etico, fondamentale nella societàdell’informazione attuale. Il giornalista e lo storico (ma ancheil cittadino) devono sempre dubitare, essere critici, porre problemi,questioni, per “capire” e per “far capire”. Perquesto credo che finché ci saranno fatti nel mondo, fatti dicronaca, così come crisi internazionali, fatti di guerra, siafondamentale avere qualcuno che possa testimoniare (cioè vederecoi propri occhi o raccogliere la testimonianza da qualcun altro che havissuto sulla sua pelle i fatti, perché, chiede qualcuno:“sapresti raccontarmi il palio di Siena da Milano?”(19)) equindi raccontare ciò che accade mentre accade. Sia esso unblogger interno alla guerra, un medico di Emergency, un missionariocattolico o, meglio, un giornalista capace, preparato, intelligente ecurioso. Il singolo racconto, per quanto puntuale e soggettivo (e forse proprio in virtù di questo) fa la differenza.Così, la voce dei corrispondenti di guerra, di quelli che cononestà e passione, professionalità e competenza,sensibilità e curiosità, fanno il loro mestieresarà forse un piccolo Davide contro un Golia potente(rappresentato dal potere politico e militare, dal sistema dellacensura e del controllo, dal sistema dei media), ma è una figuraimprenscindibile per una società realmente democratica.

Note:
1. M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, PiccolaBiblioteca Einaudi, Torino 1975 [Apologie pour l’histoire oumetier d’historien , Paris 1949].
2. Gian Miccalesin, Intervista dell’Autore
3. Roberto Fabiani, Intervista dell’Autore
4. Marco Guidi, Intervista dell’Autore
5. Ettore Mo, Intervista dell’Autore
6. Ibidem
7. B. Cumings, Guerra e televisione, Baskerville, Bologna, 1993 [War and television, London-New York, 1992], pag. 11
8. Mimmo Candito, Intervista dell’Autore
9. B. Cumings, Guerra e televisione, cit., pag. 13.
10. M. Riviere, El segundo poder, El Pais Aguilar, Madrid 1998, pag. 9. Traduzione dell’Autore
11. G. Gozzini, Storia del giornalismo, Bruno Mondatori, Milano 2000, pag. IX
12. Igor Man, Intervista dell’Autore
13. Questo per Bloch è il motto che ispira il lavoro dello storico. In M. Bloch, Apologia della storia, cit.
14. Ibidem
15. Marco Guidi, Intervista dell’Autore
16. Giorgio Bocca usa l’espressione “gigantista” perdefinire il giornalismo degli anni ‘80 e ‘90 in Italia, inG. Bocca, Il padrone in redazione, Sperling&Kupfer Editori,Milano1989.
17. Questo è il messaggio del motto scritto nelle pagine web di Warnews (www.warnews.org) e di altri siti che fanno informazione sulle guerre.
18. Nel “Rapporto della Commissione Internazionale per lo Studiodei Problemi della Comunicazione” promosso dall’Unesco,meglio noto come “Rapporto MacBride” si parla chiaramentedel diritto a comunicare e del diritto/dovere all’informazione
19. Gian Miccalesin, Intervista dell’Autore


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