BookCity Milano 2023 inaugurazione con Orhan Pamuk


di Andrea Zepponi

17 Nov 2023 - Letteratura, Libri, Varie

I sogni di Orhan Pamuk, premio Nobel turco, premiati all’inaugurazione di BookCity Milano 2023 al Teatro Dal Verme. Giovanna Zucconi rende omaggio ad Achille Mauri.

(Foto (C) Elena Di Vincenzo)

La Serata inaugurale di BookCity Milano 2023 si è tenuta alle ore 20.00 mercoledì 15 novembre, nelle sale del Teatro dal Verme. La serata, condotta dall’autrice Giovanna Zucconi, è stata anche l’occasione per rendere omaggio ad Achille Mauri, una delle anime di BookCity fin dal momento in cui è nata, scomparso all’inizio di quest’anno. Che dal 13 al 19 novembre 2023 nei luoghi più disparati di Milano torni e si tenga BookCity, festa metropolitana diffusa del libro e della lettura, è cosa certamente encomiabile, rivelatrice tuttavia che di lettori e letteratura in questo paese non ci sia una quantità tale che vada tanto oltre la sufficienza. Si sente infatti l’assoluto bisogno di indire queste maratone fatte di tantissimi appuntamenti con autori e autrici pubblicati dagli editori PDE nel corso della manifestazione, i quali ovviamente colgono la ghiotta occasione di pubblicizzare e vendere le loro opere nonché di farsi conoscere da un pubblico cospicuo e perlopiù competente.

Giovanna Zucconi

Un esempio: tra gli innumerevoli e inelencabili eventi più attesi di questa edizione c’è quello tra gli scaffali della Feltrinelli Duomo, il 17 novembre alle 18.30, che vede partecipe Fabienne Agliardi, in dialogo con Fabio Bacà e Silvia Rossi. L’autrice presenta il suo ultimo romanzo Appetricchio, pubblicato da Fazi Editore: un viaggio dal Nord al Sud dell’Italia verso un paese che non esiste, ma che diventa il paese di tutti.

E proprio questa tematica dell’onirico, del sogno a occhi aperti, era quella predominante nella inaugurazione che ha visto come ospite d’onore Orhan Pamuk, uno dei maggiori scrittori contemporanei, premio Nobel per la letteratura nel 2006, insignito del Sigillo della Città dal sindaco Giuseppe Sala. Le opere dello scrittore turco mettono in luce le diverse sfaccettature del rapporto tra Oriente e Occidente, tema oggi più che mai attuale, restituendo narrazioni complesse e personaggi dalla forte identità, con storie in bilico tra realtà e immaginazione.

Non che si voglia sindacare sulla libertà di scelta di ciò che si mette a tema in una serata di circa due ore, ma l’argomento denominato “Il tempo del sogno”, quale intervallo temporale inafferrabile che si vive nel profondo del sonno e trasforma la veglia, appariva un po’ smaccato e prolisso. “Sogno” è parola polisemica che rimanda a pensieri e desideri, utopie e distopie, euforie e disforie, evasioni e battaglie, incubi e paure; è la parola che abita ogni speranza: sogni di gioventù, sogni a occhi aperti, sogni proibiti, sogni di gloria, sogni di un futuro migliore; è la parola di Penelope e Giovanna d’Arco, di Freud e Pasolini, di Cenerentola e Hitchcock, di Luther King e Bergoglio. Chi non ricorda la frase slogan: “I have a dream”?

Un mondo di sogni, insomma, mentre invece quello in cui viviamo sarebbe invece avido, anzi assetato di realtà, anzi di verità. Al contrario, noi fruitori della informazione sia mediatica sia letteraria siamo preda di un relativismo fatto solo di narrazioni. Ebbene sì, lo confesso, non sono un lettore di romanzi, soprattutto di quelli moderni, non amo l’invenzione odierna di storie bensì amo la storia intesa vichianamente come factum che troppo spesso supera ogni fantasia, ma la mia impressione è che un intellettuale con la penna in mano, oggi come oggi, pretenda un po’ troppo trattando la materia onirica come un senso che “attraversi sia il discorso privato sia quello pubblico, che nutra la storia del sapere, delle scienze e delle arti creative, che formi l’inconscio e crei la conoscenza”.

Al sottoscritto, lettore selettivo, sembra piuttosto che uno scrittore debba scrivere oggi non tanto di sogni ma di verità: con questo lungi da me la convinzione che i sogni non ne possano rivelare le impronte, anzi è plausibile che essi evochino quanto di più profondo possa contenere la verità stessa. Possiamo evocare la simbologia freudiana, lo junghiano inconscio collettivo, la capacità della nostra mente di rivelarci nel sonno cose che non ammetteremmo mai durante la veglia; la nostra capacità onirica è immensa, ma sentir parlare per quaranta minuti di quanta fantasia i sogni (di che tipo poi? Da quale stato di coscienza sostanziati e provocati?) siano capaci di evocare per fare letteratura esula, secondo me, dalla funzione sociale e pubblica di uno scrittore.

La seduta al teatro Dal Verme di Milano è consistita in un discorso dello scrittore turco tradotto a brevi tratti da un fine e accattivante interprete: le sue opere – ciò che trapelava dalla traduzione dal suo inglese – mettono in luce, come si accennava più sopra, le diverse sfaccettature del rapporto tra Oriente e Occidente, tema oggigiorno più che mai attuale, restituendo narrazioni complesse e personaggi dalla forte identità, con storie in bilico tra realtà e immaginazione. In realtà noi oggi abbiamo un immenso bisogno di verità e di fuoriuscire dalle menzogne che il main stream ci propina; se uno scrittore deve essere investito di una funzione sociale, questa dovrebbe essere proprio quella di esaltare e proclamare la verità, quella che fa gridare, pur nella fantasia di un racconto fiabesco o onirico, che alla fine il re è proprio nudo come appare. 

L’interpretazione del sogno non basta, se si pensa all’episodio del rifiuto da parte di Freud di comperare un gelato alla figlia, il che fu genesi di elaborazione onirica e di produzione letteraria da parte del celebre psicanalista, ma è, secondo Pamuk, la realizzazione del sogno “un liquido che ci frulla nel cervello di cui siamo raramente consapevoli”. Il sogno avrebbe quindi un contenuto da cui si emungerebbe un prodotto su cui Pamuk lavora cercando di decodificarlo per tradurlo non in verità ma in letteratura. Ciò sarebbe una dichiarazione esplicita della propria poetica, ma le frasi di questo premio Nobel non si discostano più di tanto da veri e propri precetti di marketing per la vendita libraria. Che il repertorio onirico sia un bacino inesauribile per soggetti letterari e romanzeschi, non ci piove e non ci sarebbe nulla da ridire, se l’asserto che parla della difficoltà di mettere in parole il ricordo di un sogno non andasse oltre la pura letterarietà e sforasse nella fenomenologia psicanalitica: Pamuk cita Henry James per suffragare la indicibilità surreale del sogno fatto narrazione: ecco perché lo scrittore americano, diceva, che ogni volta che si racconta il proprio sogno si perde un lettore. Insomma, la visione dello scrittore turco rimane surrealista e alogica, lontanissima da tentativi di una qualsiasi prospettiva aletica di uno scrittore la cui weltanschauung sembra tutta rivolta alla procedura creativa e produttiva di tipo cinematografico: il sogno non si basa sulle parole ma sul movimento di sequenze filmiche. Infine, il premiato non poteva esimersi dall’associare la sua attività onirica a una forma di realtà, perché la materia dei suoi sogni, quella dal contenuto veritiero, di cui egli avrebbe pudore, viene ricombinata – relata refero – con la sua realtà quotidiana in un collage di tipo dadaista e surreale.

Ebbene la parte finale della intervista a questo scrittore si è risolta in una confessione di piena aderenza delle sue scelte diegetico-letterarie al dadaismo (asistematico) e contemporaneo surrealismo (sistematico) di cui sposa in pieno le cause, gli effetti e gli scopi, a quanto risulta dalle parole del traduttore: la vita del quotidiano che sfocia nel dadaismo è un modo per continuare a sognare attraverso l’arte e la letteratura dadaista e la creatività surrealista sono elementi da rinnovare di cui Pamuk si sente erede e spera che il suo lavoro letterario sia permeato ancora della sua capacità di riuscire a sognare a occhi aperti. Questa professione di fede surrealista-dadaista, al di là della inevitabile incompletezza e approssimazione dell’interprete, ha lasciato il gusto di una certa sensibilità retro non disgiunto da un certo senso di delusione da dissipare, auspico, con la qualità letterario-diegetica delle sue opere; tuttavia il sospetto che tali premiati con il Nobel lo siano grazie alla loro tendenza a sviare dalla denuncia della verità, storica, sociale, scientifica e politica, permane e formula la vaga idea che la loro opera sia improntata al politicamente e globalmente corretto nonché al pensiero unico che non può narrare la verità mentre ha mano libera proprio grazie alla narrazione onirica e simbolica. Lo scrittore può avere successo solo se disimpegnato sul piano aletico cioè della verità.

Il racconto di una voragine mai sazia di diritti delle donne e di denunce di femminicidio a seguire e concludere la serata di presentazione ha sostanziato l’intervento della dottoressa Alessandra Kustermann, prima donna primario della Clinica Mangiagalli di Milano e fondatrice, nel 1996, del primo Centro antiviolenza e di Pronto Soccorso per le vittime di violenza sessuale e domestica.

L’elogio maggiore va, a mio giudizio, a tutto il contesto curatissimo della manifestazione per cui Milano si mobilita, sia nella fattispecie sia nel contesto generale, conferendo a tutta la città il valore di un colossale palinsesto di eventi, luoghi e temi.

Per gli altri appuntamenti consultare: https://www.musiculturaonline.it/bookcity-milano-2023/

Sito BookCity Milano 2023: www.bookcitymilano.it

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