Anselm Kiefer a Palazzo Ducale di Venezia, una mostra maestosa


di Giorgio Tassi

14 Dic 2022 - Arti Visive

Abbiamo visitato la Mostra-evento su Anselm Keifer nella Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale a Venezia, chiamata dalle curatrici Gabriella Belli e Janne Sirén “Ciclo di Venezia” e ve la raccontiamo. La mostra stessa è stata prorogata fino al 5 gennaio 2023.

(Foto di Giorgio Tassi)

QUESTI SCRITTI, QUANDO VERRANNO BRUCIATI, DARANNO FINALMENTE UN PO’ DI LUCE (Andrea Emo).

Con questa epigrafe si apre la maestosa mostra-evento che, per la prima volta, vede il Palazzo Ducale di Venezia, aprirsi all’arte contemporanea. Grazie alla committenza pubblica della Fondazione Musei Civici, il luogo simbolo della Repubblica Serenissima è tornato ad essere un luogo di

cultura viva, e non solo di memoria.

Una committente coraggiosa, che ha scelto un artista come Anselm Keifer (Donaueschingen, 1945), per realizzare un ciclo pittorico site-specific.

Allestito nella Sala dello Scrutinio, è stato curato da Gabriella Belli e Janne Sirén, che non hanno esitato a chiamarlo CICLO DI VENEZIA.

Ciclo… come la vita, che si ripete dalle rovine della storia,

Ciclo… come l’arte che si ri/origina dall’esistenza.

L’essenza stessa del pensiero (e conseguentemente dell’opera di Kiefer), dove vita ed arte, vivono una nuova nascita dalle rovine, dai resti di ciò che è stato.

Un ciclo monumentale che si offre agli occhi del visitatore con una convergenza di motivi, idee, luoghi, filosofie, storie; una giostra infinita, senza un punto di inizio, né una fine, ma un continuo vortice, dove ogni visitatore vivrà la sua esperienza tra essere e tempo.

Se furono le fiamme nel 1577, a devastare (a rendere rovina) la Sala dello Scrutinio, furono artisti del calibro di Palma il Giovane, Vicentino, Tintoretto

a ridare luce e potenza alla grandezza di Venezia.

Un nuovo ciclo. Oggi è Anselm Keifer con le sue maxi-tele a stendere un velo di oscurità su quella potenza, in un corpo a corpo inaudito, offrendo una ri-generazione del luogo, partendo dalle parole di Emo, un figlio del veneto – per sua scelta oscuratosi in vita -, il cui pensiero continua ad illuminare la contemporaneità.

Ma domani, anche le tele di Keifer, quando si allontaneranno da Venezia, saranno destinate ad oscurarsi, a morire, lasciando che il ciclo possa continuare.

Un’irrisolvibile tragicità, una “coincidentia oppositorum” mancata ancora una volta, così a fondo cercata dagli alchimisti, tra i quali Robert Fludd, molto amato da Kiefer.

Veniamo alle opere.

Nella prima sala, l’opera è semicircolare, divisa in due parti dalla frase di Andrea Emo: nella parte superiore un cielo apocalittico sembra illuminare la parte inferiore, dove sono distribuiti una serie di sterpi con un effetto prospettico potente. Distribuiti a caso dei libri bruciati, sigillo alle parole del filosofo veneziano. La sensazione che mi ha colto è stata quella di percepire questi libri bruciati attaccati al muro, come delle acquasantiere dove appoggiare le dita, tirar su del nero fumo, segnarsi il viso prima di entrare nello spazio sacro.

Entrando nella Sala degli Scrutini, sulla destra una tela luminosa, divisa in due da una scala dorata, quale simbolo biblico della scala di Giacobbe, a simboleggiare la nascita e la crescita, da un semplice villaggio di pescatori all’apogeo della sua grandezza.

Proseguendo verso sinistra, un paesaggio con il mare. Elemento che segna Venezia fina dalle sue origini: da luogo di rifugio dalle invasioni, nel tardo Impero Romano, ad una delle più grandi e ricche città europee, uno dei più grandi imperi marittimi del XIII secolo. Un mare che dà e toglie: rotte fiorenti, inondazioni terribili.

L’emanazione che si affaccia dagli strati di vernice racconta di una presenza che va oltre il tangibile, un intervento spirituale, improvviso e misterioso.

La tela successiva rappresenta un vigneto, i cui rami spogli d’inverno si protendono a formare un arco veneziano naturale. Al centro una bara di zinco vuota in cui si scorge la scritta San Marco, due girasoli in piombo e all’estremità un sacchetto di soldi; altri sacchetti sono caduti fuori dalla bara e rimasti impigliati ai rami alla base del dipinto.

Il tema della bara vuota allude alle reliquie di San Marco, patrono di Venezia, che andarono perdute durante la costruzione della Basilica (una tradizione tarda riporta che le reliquie stesse furono ritrovate qualche decennio dopo), ma anche ad un “vuoto “, ad una “perdita”, un nulla, un’assenza al centro della storia.

Il dipinto successivo, di dimensioni maggiori, vede nella parte superiore una sfilata di carrelli della spesa, di tricicli stracarichi di beni, a simboleggiare la ricchezza e l’opulenza di Venezia.

Ma i carrelli metallici con delle apposite targhette, sono anche la sfilata postuma dei Dogi, i capi dello Stato Veneziano, che ne segnarono i destini.

Sulla parete nord campeggia il dipinto che offre uno scorcio di astrazione dinamica con un cielo illuminato da fuochi di artificio di vernice e gommalacca.

Gli stessi fuochi che campeggiano sulla tela successiva, dove un enorme sottomarino è stato sezionato, ed offre la sua nudità come una gigantesca lisca.

L’oscurità sembra prevalere sulla luce, una rete trascina il mezzo navale verso il basso, insieme agli elmetti di soldati anche loro caduti nella laguna paludosa.

A seguire la tela di 9 metri, che unisce vari elementi; dallo stendardo di Venezia, al profilo del Palazzo Ducale consumato da fiamme e fumo; a destra e sinistra dello stesso, frotte di umani, una distesa sconfinata che pare alludere alle masse di turisti.

Nella parte inferiore, il regno dell’Ade, un tributo a quanti sono morti nel corso della storia.

In questo pannello, si fa avanti la visione nichilista che Kiefer ha della storia, dove i tratti distruttivi dell’umanità finiranno per segnare la caduta delle civiltà.

Il Ciclo di Venezia si conclude con l’ultimo pannello fatto di pura astrazione:

il nulla ed il tutto, l’essere ed il tempo senza essere e tempo.

Tre emanazioni ne richiamano altre in altre parti del Ciclo, l’auspicio ad una nuova nascita, ad una nuova laguna, ad un Big Bang Veneziano che sorgerà sulle rovine del precedente.

P.S. Terminata la visione del CICLO di VENEZIA, per uscire da Palazzo Ducale si procede in un percorso che si snoda tra bastioni, segrete, cunicoli. Poco dopo aver attraversato il Ponte dei Sospiri, dalle cui feritoie si intravede lo scorcio di Venezia, mi sono fermato in fila per andare alla toilette. Nell’attesa silenziosa, mi ha colpito il rumore dello sciabordio dell’acqua che si infilava da sotto una porta e pian piano saliva verso i gradini.

Acqua, l’origine.

Kýklos.

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