Al Teatro delle Muse di Ancona “Il Trovatore” apre la stagione
di Roberta Rocchetti
11 Ott 2025 - Commenti classica
La stagione lirica 2025 del Teatro delle Muse “F. Corelli” si è aperta con l’opera “Il Trovatore” di Verdi. Bene tutto il comparto musicale. La messa in scena non ha convinto del tutto. Ovazioni per Salome Jicia e Valentina Pernozzoli.
(Foto di Giorgio Pergolini)
Quale miglior modo per aprire la stagione lirica 2025 per il Teatro delle Muse F. Corelli di Ancona che celebrare il 212° compleanno di Giuseppe Verdi mettendo in scena Il Trovatore.
È questo titolo, infatti, il primo dei due scelti per l’anno corrente a cui farà seguito Il Barbiere di Siviglia del cigno pesarese il 5 e il 7 dicembre.
Un nuovo allestimento, un Trovatore cupo, sul quale la morte incombe da subito come presenza fisica, onnipresente, bianco vestita, stalker di vite senza speranza prede di un immutabile destino già scritto nel distratto e crudele algoritmo del fato.
Le scene e la regia di Giuseppe Dipasquale, il quale ha curato anche le luci, ci hanno lasciato qualche perplessità, le quattro porte da cui i protagonisti entrano ed escono volevano forse rappresentare delle sliding doors attraverso cui i protagonisti avevano la possibilità di determinare la propria ventura o sventura, ma lo stile da ufficio di commercialista spoetizzava abbastanza l’intento; le proiezioni sul fondale di Francesco Lopergolo, ispirate inizialmente ad Escher, con le sue scale impazzite sono via via sfumate in un surrealismo digitale piuttosto astruso tanto da ricordarci il nonsense di alcuni video pop degli anni ’80 e si è persa un po’ l’omogeneità e la capacità di mutuare ciò che accadeva sul palcoscenico.
La regia vera e propria poco pervenuta si è limitata a spostare diligentemente le masse e i protagonisti senza tuttavia riuscire a creare un pathos di partecipazione e identificazione degli interpreti con il personaggio, con le arie declamate fisse al proscenio e la prossemica ottocentesca la tempesta dei cor, per citare il Conte di Luna, si è vista pochino.

I costumi di Stefania Cempini, bellissimi nelle scelte cromatiche e con qualche tocco di originalità si sono ben inseriti nella narrazione rimanendo nel contesto temporale e geografico senza tuttavia esserne schiavi.
Sul fronte vocale volgiamo subito i riflettori sul debutto nel ruolo di Leonora di Salome Jicia, il soprano Georgiano ha dato della protagonista una interpretazione inedita che non ci è affatto dispiaciuta, il sacrificio parziale di alcune auliche e virginee soavità, di sognanti e trillanti agilità sospese nel mondo dell’amor cortese è stato compensato da un timbro caldo, pastoso e sensuale, di una drammaticità interpretativa nutrita soprattutto dal registro più grave che, a dispetto della staticità registica, hanno dato un senso ed una plausibilità alla passione di Manrico e del Conte, per la prima volta nell’assistere ad un Trovatore abbiamo pensato che ogni Leonora può nascondere una Carmen e sotto i colpi bassi della vita diventare un’Azucena.
A proposito di Azucena una nota di merito anche alla zingara interpretata da Valentina Pernozzoli, giovane mezzosoprano partenopeo dal piglio drammatico già ben radicato, la forza e potenza vocale unita al dono naturale di un timbro oscuro e carezzevole senza volgari asprezze punteggiato di echi profondissimi provenienti dall’ade del pentagramma hanno reso efficacemente questo personaggio complesso, sicuramente il più complesso tra quelli presenti, in cui l’amore per quello che ormai è diventato il proprio figlio e il desiderio di vendetta per una madre amata si mescolano fino a diventare qualcosa di indefinibile dove la soglia tra bene e male non è più riconoscibile, dove anche la nostra illusione di poterle distinguere si annulla creando l’inquietante certezza di essere in balìa di forze che non possiamo dominare.
Più neutro il comparto vocale maschile pur risultando funzionale allo scopo, il Conte di Luna di Serban Vasile si è speso bene e ha sfruttato l’opportunità di offrire al pubblico un balen del suo sorriso intenso e partecipato, purtroppo anche la fissità della regia non lo ha aiutato ad essere un po’ più incisivo nelle scene collettive.
Ugualmente il Manrico di Amadi Lagha ha soddisfatto il pubblico nei punti chiave del ruolo come la perfida e perigliosa aria della Pira, compito espletato in maniera soddisfacente, vocalmente corretto, è latitata forse anche un po’ qui l’occasione per assorbire il personaggio, il farlo proprio a livello drammaturgico.
Buono il resto del cast, la Ines di Antonella Granata, il Ruiz di Alessandro Fiocchetti, il vecchio zingaro di Davide Filipponi e il messo di Alessandro Pucci, chiude la carrellata l’ottimo Ferrando di Yongheng Dong.
L’Orchestra Sinfonica G. Rossini è stata guidata dalla bacchetta di Andriy Yurkevych, direzione giustamente equilibrata tra esigenze drammaturgiche e rispetto delle peculiarità vocali degli interpreti, tra ritmo narrativo ed emotivo, Yurkevich ha la capacità, oltre che di rendere un suono pulito, di sottolineare con un evidenziatore ritmico ed armonico lo struggimento per ciò che si è perduto, questo ci è sembrato.
Francesco Calzolaro ha guidato il Coro Lirico Marchigiano V. Bellini elemento di grande importanza, stavolta più che mai, nella buona resa della messa in scena.
Alla chiusura di sipario applausi per tutti con ovazioni per Jicia e Pernozzoli.
Si replica domenica 12 ottobre.






Molto bene, mi fa piacere con così bel risultato. Salome Jicia è una buona cantante, molto versatile. Fuori dalla zona belcantistica che le è di pertinenza, qualche anno fa, a Firenze, si produsse in una brillantissima Suzel dell’Amico Fritz. Sono lieto di questo debutto. Valentina Pernozzoli, poi, è una vera promessa. Bellissima voce di autentico mezzo, musicalità, una gran presenza scenica. Bella recensione vissuta.
Grazie mille.