A Trapani una “Bohème” sotto la cupola


di Alma Torretta

23 Ago 2023 - Commenti classica

Per il Luglio Musicale Trapanese (giugno/settembre), alla produzione della “Bohème”, nel Teatro all’aperto Giuseppe Di Stefano, hanno partecipato maestranze tunisine nell’ambito del progetto “Médithéâtres”. Successo per la palermitana Desirée Rancatore, Mario Rojas e gli altri protagonisti.

(Le foto sono di Giuseppe Di Salvo)

Sarà una serra? Ma sembra anche un po’ un igloo… Arrivando al Teatro all’aperto Giuseppe Di Stefano si è innanzitutto incuriositi dalla mezza cupola sfaccettata che si intravede sul palcoscenico. È la soluzione scenica firmata dal giovane Danilo Coppola per delimitare i diversi ambienti della nuova produzione della Bohème, regia di Renato Bonajuto, andata in scena a Trapani come ultima opera lirica prevista per quest’anno dal cartellone del Luglio Musicale Trapanese, rassegna che oramai va da giugno a settembre.

Ma se la mezza cupoletta è il suo segno visivo caratterizzante, non convince del tutto come soluzione. Se non si può non apprezzare la ricerca di un’idea di base nuova per realizzare una nuova produzione del celeberrimo capolavoro di Puccini, peccato che ci sia poco o nulla che ci ricordi che siamo a Parigi, non basta qualche divisa e fare sventolare qualche bandierina francese, non c’è proprio l’atmosfera della soffitta o dei café parigini.

Ma il successo di pubblico alla fine non è mancato, trainato anche dalla presenza come protagonista del soprano Desirée Rancatore, palermitana molto amata dal pubblico locale, e dalla freschezza e evidente talento di molti degli altri giovani professionisti protagonisti, molti dei quali pure siciliani.

Pure i costumi, sempre firmati dall’assai promettente Coppola, sono belli e molto ben realizzati, ma sono troppo lindi, hanno quella patina di perfezione e di pulizia che è elegante a vedersi ma non si addice a dei giovani senza soldi che dovrebbero invece avere un aspetto un po’ più trasandato. Si perde un po’ in verismo, si acquista un po’ in atmosfera da favola e, in particolare, nel terzo quadro, si ha proprio l’impressione, comunque piacevole, della bolla di neve animata.

All’inizio di ogni quadro, lo spicchio di sfera viene girato e svela i diversi ambienti racchiusi. Dopo un inizio un po’ impacciato, l’arrivo di Mimì e il duetto con Rodolfo fanno provare le prime emozioni: la bionda Rancatore indossa una parrucca bruna e tratteggia una Mimì assai sicura di sé, dolce ma di carattere, che sfoggerà in più momenti tutta la sua maestria tecnica e di interprete, anche se questo forse, per il suo carattere, non è uno dei ruoli che gli si addice di più. Al suo fianco c’è il giovane tenore messicano Mario Rojas che si rivela invece un assai piacevole giovane Rodolfo, sviluppa bene gli acuti e i legati, buona la dizione italiana che alla fine dell’opera sarà confermata dalle grida disperate ben declamate, per lui sono i primi applausi calorosi dopo la sua “Che gelida manina”.

Ma già dal primo quadro si nota che le voci si possono apprezzare veramente solo quando cantano fuori quella sorta di cloche che è la scenografia. Bene ha fatto quindi il regista Renato Bonajuto nel secondo quadro a fare cantare fuori dalla mezza cupola, lungo la passerella che circonda l’orchestra, l’altro soprano, l’interprete di Musetta, Francesca Benitez che della Rancatore è allieva, la cui voce è in tal modo potuta giungere più squillante. Tra gli altri giovani interpreti, si fa notare il baritono Andrea Vincenzo Bonsignore nei panni del pittore Marcello, sicuro e carismatico, e bene fa anche l’altro baritono, Paolo Ingrasciotta, come il musicista Schaunard. Strappa un applauso il basso Ugo Guagliardo che interpreta il filosofo Colline quando canta “Vecchia zimarra” nel quarto quadro. Meritano di essere citati anche il basso Mariano Orozco che interpreta sia il padrone di casa Benoit che il ricco Alcindoro, e il tenore Flavio D’Ambra, il venditore ambulante Parpignol, che si fa notare anche per l’estroso costume.

Il ricorso alla passerella vivacizza il secondo e terzo quadro, ma il regista abusa delle uscite verso la sala e le scene di massa risentono degli spazi ristretti e poco caratterizzati, inevitabile un po’ di confusione, anche se è apprezzabile il tentativo di rispettare la proposizione scenica di tutti gli elementi presenti nel libretto. La serata prevede un intervallo ad ogni quadro, con applausi e presenza su scena dei due maestri dei cori alla fine del secondo quadro. Bravi i bambini del Coro di Voci Bianche del Luglio Musicale Trapanese diretto da Anna Lisa Braschi e ben istruiti dal maestro Fabio Modica anche gli adulti, ma tra i due gruppi è mancata un po’ di amalgama. Gli intervalli appaiono lunghi, non giustificati da complesse scenografie da cambiare, e contribuiscono all’impressione di spezzettamento e di lentezza generale dello spettacolo. Oltretutto il direttore Carlo Goldstein è molto attento ad accompagnare le voci aspettandole a volte un po’ troppo, ma buona complessivamente la resa dell’orchestra, con colonna sonora aggiuntiva costate di suoni ambientali inevitabili in una villa cittadina. Un plauso, infine, alle luci di Giuseppe Saccaro, bello il suo chiaro di luna nel primo quadro ed efficace l’illuminazione dello spoglio albero sotto la neve nel terzo.

Alla produzione di questa Bohème hanno partecipato anche maestranze tunisine nell’ambito di “Médithéâtres – Grande musique dans les anciens théâtres méditerranéens”, direzione artistica del progetto di Fabio Modica, il maestro del coro del Luglio Trapanese. Si tratta di un virtuoso esempio di cooperazione transfrontaliera, promosso dall’Ente Luglio Musicale Trapanese e finanziato tramite il Bando ENI Italia-Tunisia 2014-2020, che ha consentito ad artigiani e artisti tunisini di collaborare alla creazione delle scenografie e alle prove dei costumi per l’opera, un attivo contributo per fare sviluppare anche in Africa la fruizione e produzione di teatro musicale.

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