A Fermo Antonio Ligabue e Giuseppe Pende


di Flavia Orsati

17 Gen 2024 - Arti Visive

Abbiamo visitato la doppia Mostra “Spiriti selvaggi. Antonio Ligabue e l’eterna caccia” a cura di Vittorio Sgarbi e Marzio Dall’Acqua e “Giuseppe Pende. Realtà, sogno e visione”, a cura di Vittorio Sgarbi. In totale 80 opere esposte, tra cui alcune inedite.

[…] la vita non conclude.
Non può concludere.
Se domani conclude, è finita.
Luigi Pirandello – Uno, nessuno, centomila

A Fermo, dal 6 dicembre 2023 fino al 5 maggio 2024, è allestita una doppia esposizione, nell’elegante scenario delle sale del centralissimo Palazzo dei Priori: “Spiriti selvaggi. Antonio Ligabue e l’eterna caccia”, a cura di Vittorio Sgarbi e Marzio Dall’Acqua, con due inediti (Volpino e Aratura con buoi) e l’iconica Vedova nera, e “Giuseppe Pende. Realtà, sogno e visione”, a cura di Vittorio Sgarbi, a quarant’anni dall’unica personale organizzata in vita dall’artista, con altrettante opere, per un totale di 80 dipinti tra i due percorsi espositivi.

Due artisti differenti Antonio Ligabue (1899-1965) e Giuseppe Pende (1914-2001), ma accomunati da una caratteristica: la visionarietà e la volontà, in un modo o nell’altro, di oltrepassare la vita, di rifuggire dalla realtà nuda e cruda, tramite un corpo a corpo con la materia pittorica e con la ferinità degli istinti umani ed animali, come avviene nel caso di Ligabue, oppure rifugiandosi in un onirismo che ha più le caratteristiche della visione e del sogno ad occhi aperti nel caso di Pende, il tutto filtrato dal dialogo costante con la natura e con i suoi eccessi nel primo, con i suoi equilibri nel secondo.

Cifra stilistica dell’arte di Ligabue è, infatti, un’intensa e inesausta violenza pittorica, inscindibile dalla sua personale esperienza vitale, un dolore esistenziale e una spiccata sensibilità che provocano tormento, instaurando un legame tra espressione pittorica e volontà di riscatto, senza riferimenti a padri o maestri, paragonabile soltanto all’esperienza artistica – e vitale – di un altro grande della pittura, Vincent Van Gogh. Pende, al contrario, professore di disegno dal vero per molti anni proprio a Fermo, si inserisce maggiormente nel solco della tradizione pittorica accademica, rifuggendo dal reale come mero dato scientifico tramite uno sforzo creativo e immaginifico. In Pende, tuttavia, la visione della natura è idilliaca e non violenta, ed unisce all’aderenza al dato reale particolari fantasiosi e lenticolari, invisibili ad occhio nudo come invisibile è l’anima dei luoghi, colorando il quotidiano di un tocco poetico, percepibile, però, soltanto da chi sa ascoltare – o guardare.

Universi diversi, dunque, che si incontrano dialetticamente, ponendo in rapporto una visione sofferente ed iraconda, dove l’azione e la lotta non sono che il momento culminante di una vita disperata e dissacratoria, che cammina a braccetto con la morte, fatta di predatori e prede, raffrontandola con una concezione dell’esistenza posata e colta, a tratti bucolica e onirica. La costante è, tuttavia, il rapporto con la natura: una natura teriomorfa, allucinata, tra animali domestici e belve della giungla costantemente in conflitto tra loro, come ulteriore tentativo di evasione della realtà, che lottano costantemente per la vita, in luoghi lontani, inquietanti e angosciosi, dove il dolore e il dramma sono sempre alle porte. Luoghi – reali e mentali – in cui la sopravvivenza non è data per assodata e, perciò, le fiere non possono che farsi emblemi di lotta e ribellione ed allegorie di pulsioni ed istinti umani, anche dei peggiori; nessun riscontro di simili istanze nella natura di Pende, più ordinata e cogitativa, un “posto delle fragole” di matrice esistenziale, dove si esprime una joie de vivre intellettuale, che richiede al fruitore uno sforzo immaginativo nell’atto della composizione.

Due visioni opposte che si completano, in un’alternanza tra forza e meditazione, tra palese rabbia e celato mistero: un élan vital creatore e distruttore nel caso dell’autodidatta Ligabue, nella cui esperienza ancestrale l’arte rappresenta un vero riscatto esistenziale, uno slancio spirituale e dialettico nel caso dell’accademico Pende, con continui intrecci tra microcosmo umano e natura, specchio del meraviglioso macrocosmo divino.

Didascalie opere di Ligabue

Fig. 1: Antonio Ligabue, Vedova nera, 1955, olio su faesite, 175x130 cm, OPERA IMMAGINE DEL MANIFESTO
Fig. 2: Antonio Ligabue, Autoritratto con torre, 1948, olio su faesite, 52x36 cm
Fig. 3: Antonio Ligabue, Lotta di galli, 1945, olio su tela, 42x56 cm
Fig. 4: Antonio Ligabue, Ritratto di donna, 1960, olio su tela, 91x71 cm
Fig. 5: Antonio Ligabue, Volpino, 1956-57, olio su tavola di faesite, 61,8x57 cm, OPERA INEDITA
Fig. 6: Antonio Ligabue, Aratura con buoi, 1959-61, olio su tela, 40x50 cm, OPERA INEDITA
Fig. 7: Antonio Ligabue, Gatto selvatico, 1960, olio su tela, 50x65 cm
Fig. 8: Antonio Ligabue, Semina con cavalli, 1956, olio su faesite, 50x70 cm

Didascalie opere di Pende

Fig. 1: Giuseppe Pende, Con le pietre parlavo (variante), 1992, olio e pastello su masonite, 68x44 cm, OPERA IMMAGINE DEL MANIFESTO
Fig. 2: Giuseppe Pende, Aia della casa abbandonata, 1957, olio e matita su formica, 59x39 cm
Fig. 3: Giuseppe Pende, Fantasticheria, 1996, olio e pastello su nobilitato, 39x18 cm
Fig. 4: Giuseppe Pende, Inno alla vita (Ma tu che c’entri?), 2000, olio e pastello su formica, 40x32 cm
Fig. 5: Giuseppe Pende, Fiori, colline e fiume, 1967-1983, olio e pastello su formica, 39x28 cm
Fig. 6: Giuseppe Pende, Preludio, 1996, velature d’olio e pastello su tamburato, 140x84 cm
Il manifesto delle mostre
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