Un prezioso documento. Il volume “World Press Photo 2022”


di Alberto Pellegrino

10 Giu 2022 - Arti Visive, Libri

Presentiamo il quinto volume del World Press Photo 2022, 25 storie di fotografi vincitori del più prestigioso premio internazionale del fotogiornalismo e della fotografia documentaristica.

Amber Bracken, Nord Centro America, La Scuola residenziale di Kamloops (Foto dell’anno)

La casa editrice Skira, dando seguito a una iniziativa iniziata nel 2018, ha pubblicato il quinto volume del World Press Photo 2022 che raccoglie le 24 storie dei fotografi vincitori del più prestigioso premio internazionale del fotogiornalismo e della fotografia documentaristica, opere che sono state selezionale e valutate da giurie regionali specializzate e da una giuria globale. Istituito nel 1955, il “World Press Photo” è un premio che riconosce i meriti dei migliori fotogiornalisti di tutto il mondo, autori di opere che affrontano temi e momenti dell’anno precedente e che aiutano quanti le guardano a interrogarsi sullo stato della società e del pianeta. Per questa 65° edizione, il “World Press Photo” ha valutato i lavori di 4.066 fotografi provenienti da 130 Paesi, per un totale di oltre 64 mila foto attraverso delle giurie regionali che hanno selezionato le opere migliori e una giuria globale che ha stabilito i 24 vincitori regionali e 4 vincitori finali.

I fotografi partecipanti sono stati suddivisi in sei aree continentali: Africa, Asia, Europa, Nord e Centro America, America Meridionale, Sud-Est Asiatico e Oceania. A loro volta le opere in competizione, scattate entro 2021, dovevano rientrare nelle seguenti quattro categorie: Foto singole; Reportage,con storie da tre a dieci fotografie a fotogramma singolo; Progetti a lungo termine,  basati su un unico tema con 24/30 fotografie scattate in tre anni diversi con almeno quattro foto realizzate nel 2021; Open format,con progetti  che hanno utilizzato una combinazione di vari format (polittici, immagini a esposizione multipla, collage fotografici, documenti interattivi, brevi video), riservando lo spazio maggiore alla fotografia. Argomenti da trattare in tutte le categorie dovevano documentare momenti di cronaca, eventi e loro conseguenze, questioni sociali, politiche e ambientali.

Il volume, che raccoglie le fotografie e i racconti fotografici selezionati e premiati nelle sei aree regionali, costituisce una preziosa documentazione di avvenimenti e situazioni in varie zone del pianeta e sono il risultato del complesso lavoro e dell’impegno dei fotogiornalisti, che mettono il lettore a diretto contatto con situazioni particolarmente drammatiche e violente, oppure con avvenimenti che riguardano la normale vita quotidiana.

Questo libro diventa pertanto un documento diretto a studiosi e appassionati di fotografia, ma può essere anche una fonte d’informazione, ispirazione e riflessione sul mondo contemporaneo per chiunque lo voglia guardare e leggere. L’opera si apre con un’antologica di foto di ampio formato, quindi seguono i vari reportage introdotti da una foto simbolo e da una breve presentazione critico-esplicativa seguita da tutte le immagine stampate in sequenza in modo di avere a disposizione il testo fotografico completo.

La vincitrice della fotografia dell’anno è Amber Bracken, una fotografa canadese che lavora per il New York Times. Per la prima volta una donna si aggiudica questo premio prestigioso con uno scatto che non ritrae delle persone, ma una fila di abiti rossi appesi a delle croci di legno con il titolo In ricordo dei bambini indigeni morti presso la Kamloops Indian Residential School per richiamare alla memoria e denunciare una storia poco conosciuta: quella dei piccoli scomparsi all’interno di una delle tante scuole canadesi nate per costringere all’integrazione gli indigeni più giovani. L’immagine si riferisce al ritrovamento di 215 tombe non contrassegnate, che potrebbero contenere i corpi di alcuni dei bambini che hanno frequentato quella scuola e sono svaniti nel nulla senza lasciare traccia.

I vincitori degli altri premi a livello mondiale per le tre restanti categorie sono: il brasiliano Lalo de Almeida per la sezioneLong-Term Project Award  con il servizio Amazonian Dystopia, una denuncia circa lo stato disastroso della foresta pluviale amazzonica; la ecuadoriana Isadora Romero per la sezione Open Format Award per il video Blood is a Seed (La Sangre Es Una Semilla), un reportage che riguarda la scomparsa dei semi dovuta alla migrazione forzata come conseguenza di una colonizzazione che ha provocato la perdita di conoscenze ancestrali da parte delle popolazioni native; per il reportage dell’anno è stato premiato Matthew Abbott per il servizio Salvare le foreste con il fuoco, nel quale si documenta la pratica secolare dei nativi australiani che bruciano strategicamente la terra in modo che le fiamme si spostino lentamente, bruciando il sottobosco per evitare che vengano alimentati incendi più estesi. La giuria globale era presieduta da Rena Effendi (Azerbaijan) e dai sei presidenti delle aree regionali Simona Ghizzoni (Europa), N’Goné Fall (Africa), Clare Vander Meersch (Nord e Centro America), Jessica Lim (Sud-Est asiatico e Oceania), Ernesto Benavides (America meridionale), Tanzim Wahab (Asia).

È stato un anno difficile e pericoloso per molti fotoreporter che spesso hanno rischiato la vita per assicurare il diritto all’informazione e la libertà di stampa. Le fotografie documentarie nascono da un’esperienza complessa, perché registrano per mezzo di una macchina fotografica una scena, un momento, un evento dal punto di vista del fotografo, per essere poi analizzati e rivissuti dall’osservatore. Tuttavia tutte queste immagini pubblicate sui quotidiani o sui social media sono destinate a durare un tempo molto breve per essere poi sostituite da altre. Il libro World Press Photo 2022 riserva a queste fotografie una diversa destinazione, perché è destinato a essere sfogliato e guardato, letto e analizzato con attenzione per poi essere conservato nel ripiano di una libreria ed essere ripreso per dare uno sguardo approfondito a quanto di più significativo è stato realizzato dal fotogiornalismo e dalla fotografia documentaria. Le varie giurie regionali hanno selezionato e premiato fotografie importanti sotto il profilo umano, sociale e politico con una significativa presenza di autrici professioniste. In Africa, al di là del caos, delle guerre e del dolore, si sono privilegiati racconti di quanti chiedono di vivere in una società caratterizzata dalla giustizia sociale e dal rispetto dei diritti civili e sono stati premiati quattro giovani fotografi fra cui l’egiziana Rehab Eldalil. In Asia si è cercato di documentare la crescente polarizzazione sociale e politica di un continente segnato da conflitti, migrazioni forzate, violenze etniche e di genere, movimenti di lavoratori e contadini, precarietà alimentare e problemi di sanità pubblica. Sono stati premiati quattro giovani autori fra cui la palestinese Fatima Shbair. Le immagini della stessa Europa hanno documentato un periodo di crisi, di disordini, di venti di guerra, una fase d’isolamento sociale a causa del Covid 19 con pesanti conseguenze psicologiche, sociali ed economiche; sono stati premiate le opere di un greco, un francese, un norvegese e della russa Nanna Heitmann. Per il Nord e Centro America la giuria ha privilegiato storie delle donne e delle comunità LGBTQI, la parità dei diritti, la condizione dei disabili e sono stati premiati un canadese, un messicano, uno statunitense e la canadese Amber Bracken. Per l’America meridionale si sono privilegiati i temi riguardanti l’ambiente, in particolare la devastazione dell’Amazzonia, la minaccia ai diritti umani e l’instabilità politica, la perdita delle loro terre e della loro identità culturale delle comunità dei nativi; i premi sono stati assegnati a due autori del Brasile e della Colombia più l’argentina Irina Werning e l’ecuadoriana Isadora Romero. Nel Sud-Est Asiatico e Oceania i fotografi in gara hanno documentato le lotte e le violenze per i diritti civili, il tormentato rapporto tra l’uomo e l’ambiente e anche in questo caso è stata premiata la fotografa tailandese Charinthorn Rachurutchata.

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