“Un intenso sentimento di stupore”, il libro sulla fotografa Giulia Niccolai
di Alberto Pellegrino
13 Mar 2024 - Arti Visive, Libri
Il volume Un intenso sentimento di stupore, a cura di Silvia Mazzucchelli, con una postfazione di Marco Belpoliti (Einaudi, 2023), ci fa riscoprire l’affascinante mondo fotografico di Giulia Niccolai.
(Copyright: tutte le fotografie provengono dall’archivio privato di Giulia Niccolai e, dove non diversamente specificato, sono inedite. Gentilmente a noi concesse dall’editore Einaudi per corredare l’articolo)
Giulia Niccolai (1934–2021), poetessa, scrittrice, traduttrice e fotografa, nasce da madre statunitense e padre italiano; a Milano frequenta giovanissima gli intellettuali del “Bar Jamaica” e successivamente si lega al Gruppo 63. È una delle personalità di maggiore rilievo della cultura italiana, anche se conduce una vita poco nota e appariscente, quasi ai margini del mondo letterario. Da Milano si trasferisce a Roma, dove lavora come segretaria di redazione per Quindici, la rivista della neoavanguardia con Balestrini, Eco, Manganelli. Sono gli anni caldi del “Sessantotto” e lei comincia a pubblicare i suoi lavori sulla rivista Tempo presente di Nicola Chiaromonte, poi nel 1972 si ritira a Mulino Bazzano, in una casa dell’Appennino parmense e crea una specie di “falansterio” nel quale si stampano libri e si riuniscono scrittori, poeti e artisti che continuano l’esperienza dell’arte sperimentale. L’atelier di Bazzano è la nostra Beat generation calata in un mondo diverso da quello del ribellismo americano di Kerouac e Ginsberg; è un movimento che apre nuove strade alla letteratura underground italiana degli anni Ottanta. La Niccolai si afferma come una delle voci femminili più originali e significative in un ambiente essenzialmente dominato da poeti e scrittori maschi, occupandosi di poesia concreta, visuale, sonora, lineare. Nel 1966 pubblica i romanzi Il grande angolo e Esoterico biliardo; raccoglie le sue poesie in diverse volumi fra cui Harry’s Bar e altre poesie 1969-1980 (1981, Frisbees. Poesie da lanciare (1994), Poemi & Oggetti, (2012), Foto & Frisbee (2016). Rimane a lungo legata sentimentalmente al poeta Adriano Spatola; insieme fondano la rivista di poesia Tam Tam (1972) e l’omonima collana di poesia sperimentale. Partecipano a numerose esposizioni di poesia visuale e nel 1979 entrano a far parte del gruppo di poesia sonora Dolce Stil Suono. Dopo qualche tempo la loro relazione s’interrompe e Francesco Guccini dedica ai due poeti la canzone Scirocco (1987):
Ricordi le strade erano piene di quel lucido scirocco che trasforma la realtà abusata e la rende irreale, sembravano alzarsi le torri in un largo gesto barocco e in via dei Giudei volavan velieri come in un porto canale. Tu dietro al vetro di un bar impersonale, seduto a un tavolo da poeta francese, con la tua solita faccia aperta ai dubbi pensai di entrare per stare assieme a bere… Ma lei arrivò affrettata danzando nella rosa di un abito di percalle che le fasciava i fianchi e cominciò a parlare ed ordinò qualcosa, mentre nel cielo rinnovato correvano le nubi a branchi e le lacrime si aggiunsero al latte di quel tè e le mani disegnavano sogni e certezze, ma io sapevo come ti sentivi schiacciato fra lei e quell' altra che non sapevi lasciare… Lei si alzò con un gesto finale, poi andò via senza voltarsi indietro mentre quel vento la riempiva di ricordi impossibili, di confusione e immagini. Lui restò come chi non sa proprio cosa fare cercando ancora chissà quale soluzione… Ora non so davvero dove lei sia finita, se ha partorito un figlio o come inventa le sere, lui abita da solo e divide la vita tra il lavoro, versi inutili e la routine d' un bicchiere…
Nel 1980 Giulia ha un ictus, ma esce con grande forza d’animo da questa dolorosa esperienza per riornare alla normalità e alla sua attività letteraria. Nel 1990, dopo essersi avvicinata alla religione buddista, prende i voti e diventa una monaca buddista non solo per ritrovare sé stessa e la propria pace interiore, ma per tornare ad essere fino in fondo un’artista capace di vivere in modo diverso il suo impegno artistico.
La fotografia di Giulia Niccolai
Una delle passioni di Giulia Niccolai è stata la fotografia che ha iniziato a praticare giovanissima negli anni Cinquanta prima come dilettante, poi come fotoreporter professionista, frequentando il gruppo di noti fotografi milanesi di quel periodo tra i quali spiccano i nomi di Ugo Mulas e Mario Dondero. Ha diciotto anni quando compie una specie di giro d’Italia in compagnia della sua Rolleicord, che si rivela una macchina preziosa per la nitidezza delle immagini scattate e per l’alta qualità del formato 6X6, una macchina progettata per i professionisti, robusta e affidabile perché monta le ottiche Zeiss che assicurano una definizione elevata e una particolare incisività.
La sua esperienza va avanti fino al 1965, quando decide di non fare più fotografie, poiché non vuole che le sue immagini siano manipolate. “Mi ero illusa stupidamente – scrive la Niccolai – che come fotografa e giornalista […] avrei potuto conoscere il “mondo” dietro le quinte, e che da quella vantaggiosa prospettiva l’avrei anche capito meglio. Niente di più falso” (Foto & Fribee, 2016), per cui mette da parte rullini e macchine, chiude la sua produzione fotografica in tre valige che lascia nell’abitazione di campagna un tempo condivisa con Adriano Spatola.
Per anni nessuno parla più di Giulia fotografa fino al 2019 quando, sotto le pressioni della giovane studiosa di fotografia Silvia Mazzucchelli, lei stessa decide di recuperare quelle valigie nella vecchia casa del parmense. Si materializzano tanti negativi e provini, un corpus fotografico dimenticato dall’autrice che rimane impressionata per la sua qualità. Non è la prima volta che vengono alla luce delle fotografie capaci di aggiungere valore all’opera di grandi fotografi: è accaduto a André Kertéz, quando si ritrova una valigia di negativi abbandonata a New York nel 1936; accade a Robert Capa e Gerda Taro, quando riappare una valigia d’immagini spedita all’estero per non farla cadere nella mani dei fascisti spagnoli; è il caso di Vivian Maier, quando in un magazzino si scoprono migliaia di fotografie che fanno di lei una grande artista.
La stessa cosa accade per Giulia Niccolai che, di fonte a quelle immagini, deve rivedere il suo giudizio negativo e rivalutare quel suo periodo di vita segnato dalla fotografia e vissuto tra 1950 e il 1965, tanto che è lei a scrivere un commento agli scatti selezionati e pubblicati nel bel volume Giulia Niccolai. Un intenso sentimento di stupore (Einaudi, 2023) a cura di Silvia Mazzucchelli con una postfazione di Marco Belpoliti. Certamente si rimane stupiti di fronte alla qualità di questi scatti fatti da una giovane fotografa capace di coniugare gli stilemi del neorealismo con un segno personale fatto di creatività e acuta sensibilità, caratterizzato da un raffinato gusto per la composizione, dalla ricerca della forma nella quale la tecnica si mette al servizio della bellezza.
Il mondo socio culturale di Giulia Niccolai
Questa artista opera a metà del “secolo breve” in un’Italia ancora contadina ma che si avvia a entrare nella contemporaneità. Gli italiani abbandonano la bicicletta per innamorarsi della Vespa e della Lambretta, della Cinquecento e della Seicento. Il Paese si sta trasformando da agricolo in industriale e Pasolini mette in guardia da queste rapide e spesso alienanti mutazioni sociologiche, antropologiche e culturali. Nel Sud il binomio Ernesto De Martino-Franco Pinna inaugura la stagione della fotografia antropologica; a San Remo Il blu dipinto di blu (1958) rivoluziona il mondo della canzone; John Kennedy (1961) instaura una breve stagione di speranze; il Concilio Vaticano II (1962) annuncia nuove aperture della Chiesa verso il mondo contemporaneo; il primo governo di centrosinistra (1963) vara grandi riforme sociali. Il cinema italiano vive una straordinaria stagione che si apre con Roma città aperta e Miracolo a Milano, passa per la Dolce vita e arriva fino a Rocco e suoi fratelli, mentre si sviluppa la grande fotografia nel segno del neorealismo e dello sperimentalismo.
Giulia Niccolai si ritrova immersa in questo climax culturale e decide di percorrere il nostro Paese dal Sud al Nord e con il suo Viaggio in Italia va alla scoperta di paesaggi urbani e naturali in Puglia, Basilicata e Calabria, si spinge fino a Lipari e in Sardegna, ritorna al nord nella pianura padana e in Valle d’Aosta. Rimane particolarmente colpita dalla città di Ascoli Piceno, dalle sue stradine e quartieri medioevali ed è proprio lì che scatta la splendida immagine del Vasaio.
Fotografa una Milano Calda (1950) che non è la scintillante metropoli di oggi, ma una città di provincia appena uscita dalla guerra, ma che mostra una straordinaria voglia di vivere: sono le estati vissute dalle classi popolari lungo i Navigli e sui prati, con file di biciclette e motorini, con gli adulti che giocano a carte o con le bocce nei bar e nelle trattorie, con i pranzi all’aperto sotto un tendone, con giovani baldanzosi in posa davanti all’obiettivo e le prime ragazze che vanno per strada indossando con disinvoltura i pantaloncini, con i volti dei bambini in partenza per le colonie alla Stazione Centrale. È la Milano proletaria e genuina delle prime canzoni di Gaber.
Ora Giulia possiede le Laica M2 e M3, una Rolleiflex e una Hasselblad che le consentono di fare ulteriori scelte stilistiche e quindi parte per gli Stati Uniti alla riscoperta delle sue origini americane. Nasce così la serie American way of life (1954) che per Giulia comporta la conoscenza della street photography praticata da un gruppo di grandi fotografi che riprendono le persone per la strada, cogliendo l’attimo senza farle mettere in posa. Su Life era apparso un “manifesto” della fotografia, nel quale si diceva di “vedere la vita, per vedere il mondo […] vedere e avere il piacere di vedere, vedere e stupirsi, vedere e istruirsi”; sulla rivista si sosteneva inoltre che ai migliori fotografi “interessavano soprattutto le emozioni e le esperienze altrui: era questo che intendevano documentare con limpida sincerità e capacità di osservazione”. Sembra di leggere un commento alla fotografia della Niccolai che, libera da steccati ideologici, scuole e correnti artistiche, guarda con curiosità il mondo che la circonda, sentendosi più vicina al linguaggio di Steichen che alla visione pessimistica e perturbante di Diana Arbus. Ha poi la possibilità di documentare l’inizio dell’era kennediana, quella entusiasmante campagna elettorale, il sorprendente trionfo di John Kennedy in quel Sogno americano (1960/1961) che si spegnerà quando il presidente sarà assassinato. Ritornata in Italia, Giulia conclude la sua breve carriera fotografica con una indagine fotogiornalistica intitolata La dolce vita (1965), dove non persegue problematiche sociali, scandali e denunce politiche. A lei non interessa nemmeno la scena mondana, ma la sua curiosità si concentra su quel mondo diviso tra Cinecittà e Via Veneto che lei riprende come un gioco ironicamente “serio”, facendo il ritratto a diversi scrittori (Moravia, Gadda, Arbasino) e attori colti all’aperto o nei caffè, ai quali si aggiungono coloro che in quel momento rappresentano il meglio del cinema italiano: Federico Fellini e Giulietta Masina.