Un incanto musicale: “La Favorite” di Donizetti alla Fenice di Venezia


di Andrea Zepponi

27 Mag 2016 - Commenti classica, Musica classica

1. 3xiyx1462961562 MusiculturaonlineUn’opera bellissima, lussureggiante come l’Ile des Lions e gli esotici giardini dell’Alcazar rappresentati nel primo e second’atto con la compiuta bellezza del suo esteso e meraviglioso corpo musicale è La Favorite di Gaetano Donizetti cui ho avuto la fortuna e l’immenso piacere di assistere al Teatro La Fenice di Venezia lo scorso 15 maggio con interpreti eccezionali e di elevata civiltà musicale; l’esecuzione è stata indiscutibilmente splendida sotto ogni aspetto: direzione, suono orchestrale da cui emergevano non di rado magnifici assoli di singoli strumenti, interpretazioni solistiche e corali, e la stessa edizione francese, quella originale, di gran lunga più elegante e godibile di quella italiana che ha un diverso taglio e carattere. La Favorite è un’opera che può dirsi matura, per la sua complessa drammaturgia musicale e segna il momento più felice della produzione “seria” francese di Donizetti perché, escludendo l’incompiuto Le Duc d’Albe, di cui lo stesso autore non era soddisfatto, dei tre Grand-Opéra scritti dal compositore Les Martyrs, rielaborazione del Poliuto  censurato al Teatro San Carlo di Napoli che non fu comunque ben accolto e il Dom Sébastien, lavoro piuttosto rigido e formale nel suo aderire strettamente ai canoni del genere francese, proprio La Favorite è quello più originale e soddisfacente in cui l’autore è perfettamente calato nell’idiomatismo vocale francese. Scomparsa alla fine dell’Ottocento dalle scene francesi, l’opera continuò a circolare in Italia, nella versione adattata anche dal punto di vista musicale e la versione originale fu ripresa solo nel 1991, a Bergamo, in un allestimento storico sotto la direzione musicale proprio del M° Donato Renzetti. Oggi questo allestimento della Fenice, che segue l’edizione critica a cura di Rebecca Harris-Warrick, riporta a Venezia  il capolavoro donizettiano dopo tanti anni: l’ultima rappresentazione della versione italiana 2. 3jdjn1462961658 Musiculturaonlineavvenne nella stagione del 1988-89 con la Verret nel title role.
Rappresentato per la prima volta a Parigi, il 2 dicembre 1840, presso l’Académie Royale de Musique su libretto di Alphonse Royer e Gustave Vaëz, al quale contribuì anche Eugène Scribe, questo grand-opéra in quattro atti di Gaetano Donizetti, presenta un felice equilibrio tra bel canto melodico e risorse drammatiche dell’autore che ha creato una partitura cosparsa di delizie armoniche, contrappuntistiche e timbriche in cui perfino il recitativo si fa intimo e denso di caratterizzazioni strumentali nel suo volgersi in declamato drammatico. Possiamo definire La favorite donizettiana l’opera della rinuncia: i protagonisti perdono volontariamente la propria felicità in nome di un ideale più alto, l’onore o la fede intesa come ascesi. È quindi necessario per i cantanti esprimere costantemente intonazioni venate di malinconia e toccanti onde per evidenziare il costante senso di colpa e di perdita. Credo pertanto di aver assistito ad una delle più sontuose esecuzioni degli ultimi tempi nell’ascoltare 3.3chug1462364543 Musiculturaonlineinterpreti di assoluta grandezza e di totale aderenza allo spirito e alla lettera musicali dell’opera nella sua francese peculiarità idiomatica; interpreti di una classe superiore come il mezzo soprano Veronica Simeoni, la quale ha fatto del personaggio un’anima vibrante di intenso intimismo nei fraseggi elegantissimi e misurati come il suo portamento scenico: la voce è sonora in ogni registro e fa trasparire una femminilità seducente ma tenera, in tutto appropriata con il personaggio. Una tendresse vocale che è molto più apprezzabile in questo ruolo di certe altre voci mezzosopranili forse più ampie, ma che perdono in femminilità. Ben in linea con l’ascendenza belcantistica della parte di Léonor, la Simeoni ha esibito notevoli puntature acute in alcune cadenze finali con il tenore e belle variazioni nella ripresa della famosa cabaletta Venez tous dopo il grande momento melodico di O mon Fernand trasformando in immagini sonore un crescendo emotivo di grande impatto sul pubblico che le ha decretato un consenso e un successo pieni. Il tenore John Osborn è stato uno straordinario Fernand che rapisce lo spettatore con sua vocalità estesa, aperta e svettante, capace di scolpire i momenti di estasi melodica dell’aria Un ange, une femme inconnue nel prim’atto e con Ange si pur nell’ultimo, quasi in un ritorno ciclico di lirismo assoluto: ardite dinamiche fatte di mezze voci incantevoli e4. 3wsdp1462961892 Musiculturaonline di fiati interminabili, un magistero sovrano di ingenti mezzi vocali e una sapienza belcantista superiore lo rendono il cantante lirico più interessante degli ultimi anni. Suoni sul fiato e ben galleggianti nella sala del teatro veneziano nei momenti melodici e in quelli drammatici erano comuni a tutti gli interpreti vocali: anche il baritono Vito Priante in Alphonse era eccellente nell’emissione vocale morbida, flessibile e piena nel delineare un ruolo sensuale e imperioso da lui giocato intelligentemente su eleganza di fraseggio e chiarezza di dinamiche con un timbro omogeneo in ogni registro: a suo bel merito è andato l’applauso del pubblico per la sognante ed estatica interpretazione di Léonor! Viens, j’abandonne. La serie delle eccellenze vocali continua con il basso Simon Lim che interpretava un Balthazar giovanile ma non meno autorevole nel colore vocale e nel timbro pieno ed eloquente che faceva apprezzare le distanze timbriche delle varie voci anche nel concertato del finale del second’atto. Diciamo che un’opera come La Favorite ha bisogno di questi interpreti di indiscutibile smalto vocale per essere pienamente apprezzata ( sebbene Toscanini affermasse: “ La Favorita è tutta bella !”) e, anche d’un comprimariato di tutto valore e rispetto, da rilevare e valorizzare come in ogni 5. 3pmrj1462961920 Musiculturaonlinegrande allestimento: il soprano leggero e squillante Pauline Rouillard ha dato vita ad una Inès coinvolta emotivamente nella vicenda di Léonor e il tenore Ivan Ayon Rivas in Don Gaspar, con la sua emergente personalità vocale e scenica e l’inappuntabile Signore di Salvatore De Benedetto anch’egli di spiccata taglia tenorile. Il Donato Renzetti, alla testa della valorosa Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia, ha saputo restituire la sapiente eleganza dell’orchestrazione, concertando brillantemente la bellezza dei gruppi timbrici enunciati nella partitura di Donizetti, che, non dimentichiamolo, in alcuni passaggi orchestrali preannuncia la densità di Verdi, se non quella sinfonica di Wagner. I tempi staccati erano coerenti e adeguati allo spirito di transizione tra classicismo e romanticismo in cui il rubato, la distensione delle agogiche, il respiro dell’orchestra con quello dei cantanti e la relatività temporale in funzione incisiva e accentuativa sono dei valori e non difetti: chi ha voluto trovarne in Renzetti sembra misconoscere che la tempistica e l’agogica nell’opera italiana e specialmente nel belcanto ottocentesco sono relative e subordinate alla funzione espressiva del canto e anche del testo. Ciò può avvenire a maggior ragione e merito quando, come in questa esecuzione, le voci, per loro ampiezza e volume, non temono di essere coperte dalla densità orchestrale diretta con gesto tanto duttile e intelligente. A ciò si aggiunge l’ottima prestanza (esempio il suo brillante e spiritoso Dejà dans la chapelle) del Coro del Teatro La Fenice di Venezia, preparato dal M° Claudio Marino Moretti. Per venire alla “ scenoregia ” di Rosetta Cucchi secondo le scene di Massimo Checchetto, in cui le donne sono succubi di un casta di monaci – scienziati (Balthazar è il loro leader) che controlla le sorti di un’umanità che ha perso i contatti con la natura. A questo contesto si contrappone Léonor che si solleva da un universo femminile asservito per generare eroi guerrieri e incapace di reagire. Solo lei si ribella alle artificiose imposizioni maschili e riafferma la propria libertà d’amare, combattuta da sensi di colpa e rimpianti, pagando alla fine amaramente la sua trasgressione. Al di là di questo miscuglio di fantasy e fantascienza, bisogna dire che la regia non ha imposto ai cantanti pose innaturali e neppure ha inciso sull’effetto dell’esecuzione, irritando lo spettatore, come spesso6. 3qpwv1462961934 Musiculturaonline accade, con trovate eccessive ed aberranti che contrastano la musica ed il canto. In linea con le scelte registiche erano gli ibridi ed ambivalenti costumi ideati da Claudia Pernigotti, le luci trasognate di Fabio Barettin e le proiezioni discrete e non invasive di Sergio Metalli. Ridotto alle movenze, che erano tra l’etnico e l’esotico, di sole due danzatrici, Luisa Baldinetti e Sau-Ching Wongin,  era il balletto del second’atto su coreografia di Luisa Baldinetti.
Penso che non ci siano dubbi sul bel successo dell’esecuzione di quest’opera, dovuto principalmente alla grandezza dei cantanti e alla meravigliosa partitura opportunamente restituita ad un grande teatro come la Fenice di Venezia.

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