Terra matta


11 Ago 2013 - Libri

Nascere in una famiglia poverissima della profonda Sicilia di fineOttocento; fare i conti sin da bambino con la fame e con il lavoro dibracciante; sopravvivere al massacro nelle trincee della Grande Guerra,agli anni difficili del fascismo, alle insidie della Guerrad’Africa, all’immane tragedia della Seconda GuerraMondiale, alla condizione durissima di minatore in Germania. E ancora,negli anni della maturità, il boom economico, il sessantotto.Questo e molto altro ancora toccò in sorte a Vincenzo Rabito daChiaramonte Gulfi, classe 1899. Così Vincenzo Rabitoattraversò il Novecento, cercando di non frasi travolgere dallapropria difficile condizione e dagli eventi grazie a forza divolontà, tenacia, intelligenza, piccole e grandi astuzie, ruvidascaltrezza, opportunismo. Quasi al crepuscolo della sua esistenzasentì il bisogno di fissare nella parola scritta le propriericchissime memorie, senza farsi scoraggiare dal suo semianalfabetismo.Dal 1968 al 1975, tramite una vecchia Olivetti, Rabito ha ricostruitooltre sessant’anni della propria vita, sullo sfondo gli eventiche hanno segnato il secolo scorso, davvero vissuti sulla propria pellee filtrati attraverso la sua particolare sensibilità. Un fittomanoscritto di oltre mille pagine a interlinea zero, senza marginisuperiori e inferiori, dividendo ogni parola dall’altra con ilpunto e virgola, in un linguaggio “parlato”, un ibridospontaneo, naturale, freschissimo di siciliano e italiano. Un raccontodenso e incalzante, popolato da un incredibile campionario diumanità che agisce attraverso situazioni dal drammatico alcomico, dal tragico al grottesco. Da semplici lettori a caccia disuggestioni e non adusi agli strumenti della critica, ci piaceazzardare un paragone: pur dovendo inscrivere l’opera nellacategoria della scrittura popolare ed escludere l’uso consapevoledi artifici letterari l’oggettiva originalità dello stile,il furore narrativo a tratti incontenibile, la densità disituazioni e di personaggi, la ricchezza di esperienze in contestidiversi, uno sguardo spesso disilluso se non cinico sullarealtà, l’aleggiare continuo della povertà e dellamorte (specie nei primi capitoli del racconto) potrebbero far tornarealla memoria alcuni passaggi del Céline del Viaggio al termine della notte e di Morte a Credito.Il manoscritto, scoperto dal figlio Giovanni e da questi in parte“lavorato” per renderlo quanto più possibileleggibile cercando di conservarne però lo spirito e laprimitiva, grezza bellezza, viene presentato nel 1999all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano eproposto al premio Pieve-Banca Toscana. Premio che vince nel 2000,senza però trovare anche il riconoscimento di una pubblicazionefino a quando l’Einaudi, dopo un’ulteriore cura editoriale,che tra l’altro lo riduce a poco più di un terzo dellalunghezza originaria, non lo propone, a tutt’oggi con grandesuccesso, al mercato.Convinti lo consigliamo, specie ai più giovani – a costo dipeccare di banalità – per la straordinaria lezione di vita e diumanità che se ne può trarre.
(recensione di Giovanni Longo)


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