Successo per la “Lucia di Lammermoor” al Macerata Opera Festival


di Roberta Rocchetti

16 Ago 2023 - Commenti classica

Successo, alla prima dell’opera di Donizetti, allo Sferisterio di Macerata gremito di spettatori. Da sottolineare le ottime voci del cast.

(Foto di Marilena Imbrescia)

Macerata 12 agosto 2023 (la prima della “Lucia di Lammermoor”) – La Bean Sidhe o Banshee è un essere fatato della tradizione celtica, una creatura femminile che frequenta corsi d’acqua nei pressi di dimore nobiliari, in quanto il suo ingrato compito è quello di apparire nelle notti nebbiose e gelide, piangere e lavare nel guado il futuro sudario del membro della nobile famiglia proprietaria della suddetta dimora destinato in breve tempo alla morte, i familiari sentendo in lontananza il grido piangente della Banshee vengono avvertiti della tragedia imminente.

Nella mitologia celtica, del resto, le fate e i morti vivono nella stessa dimensione e quando Lucia di Lammermoor tra le brume scozzesi ad inizio opera racconta alla sua dama di compagnia di aver veduto e sentito presso una fonte sorgiva gemere una figura spettrale che ritiene una sua ava uccisa anni prima per gelosia, il sospetto che l’antenata abbia assunto il ruolo di Banshee è forte. E purtroppo la vicenda lo confermerà.

Salvadore Cammarano, geniale librettista napoletano estremamente caro a Gaetano Donizetti ma tra gli altri anche a Verdi prende in prestito il soggetto del romanzo di Walter Scott The bride of Lammermoor pare basato in parte su vicende reali (del resto ogni cultura ha i suoi Romeo e Giulietta) e lo passa al compositore bergamasco che ne farà una delle opere più belle e meritatamente celebri di tutti i tempi.

Un successo che dalla prima, tenutasi al San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835 non si è più fermato.

Walter Scott, tra l’altro, curò la prefazione nel 1815 di The Secret Commonwealth un particolarissimo saggio di un pastore presbiteriano scozzese nato nel 1644, Robert Kirk, uomo dal destino piuttosto fiabesco, che descrisse la vita quotidiana degli esseri sovrannaturali solo in Scozia presenti e solo dagli scozzesi avvistabili.

In questo volume si legge: “Senza dubbio tutti gli altri popoli non hanno la giusta chiave per il loro tesoro e non conoscono il metodo adatto per comunicare con loro fuorché i furbi ed abili Scozzesi molti dei quali l’hanno conservato per lungo tempo ed in improvvisi accessi predicono spesso ciò che viene realmente mostrato loro”.

Quindi la figura di Lucia, con le sue spaventose apparizioni presso la fonte è profondamente radicata nella cultura scozzese e per questo abbiamo ritenuto apprezzabile da parte del regista Jean Luis Grinda il non spostare le vicende in altra sede né in epoche meno intrise di mistero, affinché la narrazione potesse mantenere intatto tutto il proprio potenziale fatto di radici secolari e peculiari, nonostante i costumi di Jorge Jara facessero riferimento più al secolo di Donizetti che a quello della vicenda narrata, ma tutto sommato un crossover temporale armonico.

Una regia che abbiamo trovato tuttavia un po’ statica e a volte scollata dai tumulti emotivi dei protagonisti, soprattutto la scena della torre in cui Enrico ed Edgardo si fronteggiano girandosi intorno a vicenda con i fucili puntati fissi per non pochi minuti ci ha fatto pensare che forse un po’ più di realismo, dinamismo ed empatia nei gesti, nelle emozioni e nelle reazioni non ci sarebbe dispiaciuto.

Il videomapping è stato soprattutto mare in tempesta a coadiuvare i cambi scena, se escludiamo un decoro parietale a rappresentare gli appartamenti Ravenswood e la fonte infestata che si tinge di rosso sangue quando Lucia racconta ad Alisa delle sue visioni.

Ottime le voci a partire dalla Lucia di Ruth Iniesta, il soprano spagnolo di squisita identità belcantista ha ottenuto un brillante successo personale dopo una scena della pazzia interpretata con buon sfoggio di agilità soavi pur possedendo una voce corposa e piena lanciata senza risparmio tra le file del pubblico. Scena della pazzia peraltro eseguita con l’accompagnamento della rara glassarmonica così come voluto da Donizetti, ma ai nostri giorni spesso sostituita dal flauto in quanto pochi musicisti sono in grado di approcciarsi a questo strumento evocativo ed inquietante che ha reso l’atmosfera ancora più straniante ed onirica grazie alla maestria di Sascha Reckert.

Ci ha colpito molto la prestazione di Dmitri Korchak nel ruolo di Edgardo, voce potente, sonora, squillante, piena di armonici e carica di sfumature interpretative, per noi è un 10 pieno.

Validissima prestazione anche per Davide Luciano nel ruolo di Enrico Ashton, apprezzabile sia sul piano vocale che attoriale, anche per lui ovazioni a fine recita. Notevole anche l’Arturo di Paolo Antonietti.

Un cast con ottime voci, dunque, a cui si aggiungono il Raimondo di Mirco Palazzi, la Alisa di Natalia Gavrilan e il Normanno di Gianluca Sorrentino.

L’Orchestra Filarmonica Marchigiana con il supporto della Banda Salvadei è stata guidata da Jordi Bernàcer il quale sapendo di poter contare su voci di peso ha potuto calibrare dei tempi morbidi e suoni puliti, soprattutto nell’aria finale del tenore Tombe degli avi miei ha cesellato un piccolo capolavoro di bulino. Il Coro Lirico Marchigiano V. Bellini è stato guidato da Martino Faggiani.

Il pubblico numerosissimo ha decretato un successo pieno a fine recita.

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