Successo di “Chi ha paura di Virginia Woolf?” per la regia di Antonio Latella


di Alberto Pellegrino

17 Gen 2023 - Commenti teatro

La commedia Chi ha paura di Virginia Woolf?, un classico del teatro contemporaneo, è andata in scena al Teatro delle Muse di Ancona dal 12 al 15 gennaio 2023 con grande affluenza di pubblico che ha apprezzato l‘interpretazione di Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Ludovico Fededegni e Paola Giannini.

(Foto di Brunella Giolivo)

Il drammaturgo statunitense Edward Albee si rifà alla grande tradizione teatrale americana che ha il suo vertice in Eugene O’Neill, il quale ha spesso affrontato sulla scena i temi dell’odio, della crudeltà mentale della frustrazione e dell’alienazione, dell’incomprensione di sé e degli altri, un grande drammaturgo che ha riservando una particolare attenzione alla condizione psicologica, affettiva, sociale, storica e ideologica dell’uomo contemporaneo. O’Neill ha dato nuovo slancio al dramma americano del Novecento e sulla sua scia si sono formati diversi autori come Arthur Miller, William Saroyan, Tenesse Williams e appunto Edward Albee (1928) autore di numerose opere riguardanti il fallimento del sogno americano messo in crisi dalla incomunicabilità e dell’alienazione della società contemporanea.

In questo quadro si colloca la sua opera di maggiore successo Chi ha paura di Virginia Woolf?, un dramma della crudeltà scritto nel 1962, nel quale vengono rappresentate quattro vite con le loro debolezze interiori, i fallimenti e le frustrazioni, ma anche con una lontana speranza di riscattarsi dalla viltà e dal conformismo della società contemporanea. In Italia l’opera è stata rappresentata per la prima volta nel 1963 con la magistrale interpretazione di Enrico Maria Salerno e Sarah Ferrati, la regia di Franco Zeffirelli; altre notevoli messe in scena vi sono state nel 1985 con la regia di Mario Missiroli e due grandi interpreti come Anna Proclemer e Gabriele Ferzetti; ancora nel 2005 con Mariangela Melato e Gabriele Lavia che ha curato una regia secondo una chiave di lettura decisamente grottesca. Infine, nel 2021-2022 Antonio Latella ha firmato un nuovo allestimento dello spettacolo con il Teatro Stabile dell’Umbria.

La trama

Martha e George formano una coppia di mezza età: lui insegna storia nella locale università; lei è la figlia del rettore sulla quale incombe l’ombra del complesso di Elettra che ha nei confronti del padre, il quale sovrasta la donna come un dio lontano ma capace di coinvolgere anche George (che definisce il suocero il grande Topo Bianco). Martha gli rinfaccia di essere un fallito portato professionalmente in alto da suo padre, mentre lui accusa la moglie di essere una bambina viziata, buona a nulla, incapace di dare un senso alla propria vita. Alle due di notte, dopo un party tra docenti nella casa del rettore, Martha e George invitano a casa Nick (un giovane collega di George) e sua moglieHoney. Quell’innocente incontro fra quattro “improvvisati” amici si trasforma subito in un gioco al massacro, perché la coppia dei padroni di casa comincia a vomitarsi addosso, con inaudita violenza verbale e intellettuale, le accuse di tutta una vita: una demolizione psicologica e morale del proprio coniuge visto come un nemico. Tra un bicchiere e l’altro, complici l’ora tarda e i fumi dell’alcool, i quattro si addentrano in una specie di “gioco della verità” con il quale, soprattutto i padroni di casa, si cerca di mettere a nudo tutto quello che giace dentro di loro. Entrambi approfittano dell’ingenuità dei due giovani ospiti per prendersi gioco di loro e dei loro problemi di coppia, per “invidiare” la loro leggerezza, per lanciarsi contro accuse e rinfacciarsi tradimenti. Lasciati soli dai loro ospiti, che sono fuggiti di fronte a questo cupo crescendo di odio, Martha e George si ritrovano a fare l’ultimo terribile “gioco” rievocando la vita e la morte di un figlio immaginario che ha segnato la loro esistenza senza essere mai esistito. Dopo un breve momento di ritrovata umanità, tutto lascia supporre che solo nella conflittualità la coppia troverà ancora una ragione per esistere.

Sonia Bergamasco

La regia di Antonio Latella

Antonio Latella, dopo la bella messa in scena di Un tram che si chiama desiderio di Tenesse William, torna a riprendere in mano un celebre testo della drammaturgia americana che diversi critici hanno definito un gioco ironico e intellettualistico della paura di vivere. Non a caso i due protagonisti ripetono quasi ossessivamente una canzoncina per bambini intitolata Who’s Afraid of the big bad Wolf? (Chi ha paura del lupo cattivo), quindi paura di quel lupo che fin da piccoli sta fuori dalla porta per sbranarci e punirci per aver trasgredito le regole imposte dalla società, parafrasandola con Chi ha paura di Virginia Woolf?. Questa scelta – secondo Latella – non può essere solo un gioco intellettualistico inventato da Albee se sostituisce la parola “lupo” con il nome di Virginia Woolf, una delle più importanti intellettuali del Novecento, una scrittrice visionaria impegnata a favore dell’emancipazione femminile, a insegnare alle donne come liberarsi delle madri che le volevano “angeli del focolare” ai margini della società. Del resto, la scrittrice inglese è sostanzialmente presente nel testo di Edward Albee che vuole essere lo specchio di un violentissimo e disperato amore attraverso un gioco al massacro con cui cercare di dare un senso a una di coppia sentimentalmente agonizzante: nel breve arco di una notte trovare il modo di reinventarsi per restare in vita, per trovare, in uno scontro quanto mai violento, la perversa ragione per continuare a vivere.

Latella ha dichiarato di essere rimasto affascinato da “un testo realistico, ma che diventa visionario per la potenza del linguaggio, per la maniacalità della punteggiatura e per la sua visionarietà, dovuta ai fumi dell’alcool e alle vertiginose risate che divorano e fagocitano i protagonisti. Albee, nel rifuggire ogni sentimentalismo, applica una sua personale lente di ingrandimento al linguaggio che sente parlare intorno a sé, ne svela i meccanismi di ripetizione, a volte surreali, che portano a uno svuotamento di significato, ma come spesso accade in questo testo, parallelamente mostra come il linguaggio sia un’arma efferata per attaccare e ridurre a brandelli l’involucro in cui ciascuno di noi nasconde la propria personalità e le proprie debolezze”.

La regia, a sottolineare la violenza verbale del testo, fa iniziare l’azione con la protagonista che suona un brano musicale sgraziato e ripetuto in modo ossessivo, pestando i tasti di un pianoforte che sarà il punto centrale di riferimento dell’intera rappresentazione. Martha, ubriaca e incerta sulle gambe, con quelle sgradevoli note iniziale offre la chiave di lettura di quanto accadrà sulla scena e vuole anticipare che lei non è lo stereotipo della mogliettina americana svampita e remissiva.

In circa tre ore di battaglia verbale, i due coniugi approfittano di un banale incontro tra amici per esternare una sofferenza interiore, la quale esplode per una sorta di compiacimento autodistruttivo che mira ad annientare tutto quello che questa coppia ha dentro e intorno a sé. Spettatori di questo “teatro” familiare sono Nick e Honey chiamati ad essere i testimoni delle accuse, dei risentimenti, dell’odio, dei tradimenti e dei fallimenti di una coppia impegnata a torturarsi a vicenda. Questo “gioco al massacro”, nelle sue varie sfaccettature, finirà per coinvolgere anche Nick e Honey nonostante la loro esistenza sia vissuta nel segno di una banale normalità e sanità mentale.

Vinicio Marchioni

Gli spettatori potrebbero chiedersi perché una coppia, segnata da un così alto livello di conflittualità, non abbia mai divorziato, ma George e Martha non hanno alcuna intenzione di separarsi, perché il loro rapporto malato è lo specchio e la metafora di tutte le storture della società americana degli anni Sessanta, anzi il loro incontro-scontro intellettuale, sentimentale e sessuale diventa l’occasione per far emergere e filtrare dal profondo tutto il rancore, l’insoddisfazione e la sofferenza di un rapporto nato sotto il segno dell’amore, ma inquinato da una continua dicotomia tra verità e illusione. Per portare sulla scena questo dramma, Latella ha preteso dai suoi attori una recitazione perfetta. Sonia Bergamasco ha interpretato il suo ruolo con una carica di nevrosi, ansia, odio, risentimento e cinismo veramente impressionanti, mostrando quanto sia pericolosamente labile il confine tra pazzia e lucidità mentale. Vinicio Marchioni ha ostentato un’apparente normalità e razionalità, muovendosi con una gestualità caricata e quasi meccanica, ma rivelando anche una interiore carica emotiva e sentimentale. Ottima anche la recitazione di Ludovico Fededegni e Paola Giannini, impegnati a mostrare la loro “normalità” per mettere in luce la “follia” dei due protagonisti.

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