Stefano Massini: “Manhattan Project” e “Mein Kampf. Da Aldolf Hitler”


a cura di Albero Pellegrino

23 Mag 2024 - Libri

Presentiamo due testi teatrali di Stefano Massini che invitano a riflettere sul pericolo atomico, su Hitler e il nazismo.

Stefano Massini con Manhattan Project (Einaudi, 2023) ha raccontato la storia di coloro che hanno progettato, costruito e sperimentato la prima bomba atomica, il più devastante e potente ordigno bellico che sia stato mai realizzato da scienziati che sono stati poi tormentati e sconvolti dal tragico impiego di questa loro invenzione. Con rigore storico e con uno stile tra narrazione e monologo teatrale, l’autore inizia il racconto da quel 6 agosto 1945, quando alle ore 8.15 un aereo americano sgancia su Hiroshima la bomba atomica Little Boy e, tre giorni dopo, viene sganciata su Nagasaki l’altra gemella Fat Man. Si tratta di un’azione militare decisa dagli Stati Uniti nella consapevolezza che questo attacco avrebbe causato centinaia di migliaia i morti e provocato danni permanenti in un incalcolabile numero di esseri umani. L’eredità lasciata da questi due ordigni nucleari avrebbe condannato il mondo futuro a vivere nell’equilibrio del terrore, cioè sotto la paura che quel terribile episodio potesse ripetersi con effetti ancora più disastrosi, perché nel frattempo diversi Paesi si sarebbero dotati di un arsenale atomico con bombe sempre più potenti e sofisticate.

Bisogna giustamente ricordare che anche la Germania di Hitler è stata vicina a costruire una sua bomba atomica ed è meglio non chiedersi che cosa sarebbe accaduto se i nazisti fossero riusciti a realizzarla in tempo in modo da provocare una carneficina a livello mondiale. Fortunatamente non è stato così e Stefano Massini riavvolge il filo della storia per creare questa lunga ballata che assume l’aspetto di una Bibbia laica suddivisa in quattro parti (Libro dei Patriarchi, Libro dei Re, Libro dei Profeti e Libro dei Sacerdoti), nella quale si racconta la storia di alcuni scienziati ebrei che hanno lasciato l’Europa e si sono rifugiati oltreoceano per sfuggire alle persecuzioni naziste. Sono in particolare dei fisici che, dopo aver fondato il “Clan degli Ungheresi”, intuiscono le potenzialità e rischi di un uso militare della reazione a catena e ottengono l’appoggio del potente finanziere Alexander Sachs, un ebreo lituano che a Wall Street promuove una imponente raccolta fondi per rendere possibile questo connubio fra la scienza e armi nucleari, mentre in Europa imperversano ancora la guerra e lo sterminio degli ebrei. Leó Szilárd, Paul Erdős, Ed Teller sono gli scienziati che diventano i protagonisti di una vicenda che provocherà emozioni, incertezze e paure, quando scopriranno che le loro ricerche stanno per produrre un terribile meccanismo di morte. Alla loro guida è stato posto Robert Oppenheimer, uno scienziato problematico, tormentato da dubbi e da profondi dilemmi morali anche personali, il quale dovrà assumersi la responsabilità di portare a termine il progetto per la costruzione della prima atomica, cercando di anticipare i nazisti in una imponente lotta contro il tempo, impiegando centinaia di persone per arrivare alla scissione dell’atomo e poter costruire la più distruttiva arma di massa immaginata dall’uomo.

I bellissimi monologhi di Manhattan Project sono stati scritti da uno dei massimi esponenti del teatro italiano, il quale ha creato un moderno poema omerico i cui protagonisti sono degli eroi borghesi che vorrebbero ritrovare il dono della pace interiore e vivere un’esistenza senza complicazioni. Massini ha il merito di aver fatto rivivere queste persone con i loro dubbi e tormenti, facendole dialogare con il nostro presente e con le nostre paure. Ognuno di loro è una specie di Prometeo capace di donare il fuoco agli uomini, ma senza avere la possibilità di controllare l’uso che gli uomini potrebbero fare di questo dono, proprio perché sanno di avere inventato un’energia che può essere usata per il progresso dell’umanità oppure per la distruzione di massa. Non si tratta della prima opera teatrale che affronta il tema del rapporto tra la scienza e il potere, basti pensare a I Fisici di Friedrich Dürrenmatt o al Galileo di Bertolt Brecht, però Massini fa un ulteriore passo avanti, perché mette in risalto la responsabilità morale di una scienza che per la prima volta scopre di poter incidere in modo radicale sul destino dell’umanità, suscitando una paura che, a distanza di decenni, torna ad avere una tragica attualità. Per questo il drammaturgo non vuole solo esorcizzare le nostre paure, ma vuole ricordare che in fondo dipende da tutti noi quali scelte sarà possibile fare nel presente e nel futuro.

La bomba atomica nasce dunque per scongiurare la minaccia di Hitler e del nazismo prima di trasformarsi in un incubo universale, è quindi ancora il binomio Hitler-nazismo il trait d’union con il nuovo monologo di Stefano Massini Mein Kampf. Da Aldolf Hitler(Einaudi, 2024), nel quale si analizzano e si condensano i contenuti di un libro che ha inciso profondamente sul destino del popolo germanico con l’affermarsi di un sanguinario potere dittatoriale che ha causato lo sterminio di sei milioni di ebrei e che ha provocato sofferenze, fame, distruzioni e morte per milioni di esseri umani. 

Il protagonista del monologo è un trentacinquenne Adolf  Hitler che, nella cella di un  carcere, detta nel 1924 il Mein Kampf  (La mia battaglia) al suo compagno di cella Rudolf Hess, un “manifesto politico” che consentirà a quest’uomo sconosciuto di diventare un potente leader politico, che gli farà scoprire come affascinare le masse popolari attraverso una progressiva opera di seduzione basata sull’uso di parole semplici riunite in slogan nei quali non c’è nulla di profondo da comprendere, slogan che, ripetuti ossessivamente, si possono trasformare in uno strumento di fascinazione collettiva che annulla ogni senso critico e ogni capacità di giudizio.

Proibito in Germania fino al 2016, questo libro “maledetto”, che nel frattempo è diventato un simbolo del Male assoluto, è stato riammesso nella librerie con un accurato commento critico, per togliergli di dosso quell’alone di diabolica magia di cui ha goduto finora, per far conoscere i suoi deliranti contenuti di rabbia, violenza, razzismo, antisemitismo, esaltazione della razza ariana, disprezzo per le masse, volontà di eliminazione dei diversi, dei più deboli e degli ebrei, accusati di ordire una pericolosa congiura per imporre la propria supremazia sul mondo.

Stefano Massini, dopo avere analizzato e studiato parola per parola il testo originario, unitamente a centinaia di discorsi e dichiarazioni del futuro dittatore tedesco, è riuscito a far parlare in prima persona un giovane Hitler che si prepara a conquistare il potere e che enuncia i principi di quella feroce religione nazista intrisa di odio e fondata sul culto dell’io. Hitler non vuole diventare un povero impiegato, non vuole cadere nell’irrilevanza e nell’anonimato della vita borghese; vuole, al contrario, cambiare la Storia, fare dell’Europa un’unica grande Germania. Decide di accantonare le ambizioni artistiche di mediocre pittore per rivolgersi a coloro che considera degli schiavi rassegnati del sistema capitalista e finanziario; vuole annientare “la farsa spregevole di una borghesia falsissima”.

Nel 1912 si trasferisce a Monaco di Baviera e comincia a fare politica per attirare quelle masse informi e trasformarle in una luminosa razza ariana, per restaurare uno Stato che sta andando in cancrena. Nel 1914 è chiamato sotto le armi, conosce il fango e il sangue delle trincee, riporta una grave ferita e, dopo la degenza in ospedale, ritorna a Monaco, deciso a non arrendersi di fronte a una bruciante sconfitta della nazione, scegliendo piuttosto “la catastrofe, lo sterminio, l’apocalisse di tutto ciò che sulla terra ha un nome ivi compreso anche il nostro”.  Fonda il Partito dei Lavoratori Tedeschi e si rivolge a tutta quella gente umiliata con la forza di un dio per convincerla a condividere le sue idee, convinto che non servano teorie e argomenti profondi, ma sia sufficiente parlare allo stomaco e alle viscere, dove “l’istinto regna incontrastato fra rabbia, orgoglio e paura”. Per raggiungere i suoi scopi “servono poche pochissime essenziali parole che scavino come gocce sempre uguali sempre identiche…prive vuote prosciugate di qualunque minimo spessore che non sia il loro ripetersi ossessivo semplicissimo elementare; tale e quale al processo del tutto irrazionale che fa innamorare gli esseri umani e nell’amore li rende capaci di ogni cosa proprio perché ciechi alla ragione impermeabili al senso critico sciolti dal controllo del giudizio, finalmente liberi di darsi del tutto completamente come un animale che pur di sopravvivere scalcia lotta attacca morde se necessario”.  Nel Prologo di quest’opera si ricorda che Emil Eric Kastner, il più grande scrittore tedesco per l’infanzia, il 10 maggio 1933 è trascinato nella Opernplatz di Berlino, dove i nazisti bruciano 25 mila libri considerati corrotti e immorali, un rito che si ripeterà in seguito con oltre cento milioni di libri messi al rogo. Nel dopoguerra, a proposito di questa dramma infernale, Kastner dirà: “I nazisti erano un libro. Niente sarebbe stato com’è stato, milioni di morti sarebbero vivi e milioni di libri non sarebbero cenere se un ragazzo di nome Adolf chiuso in una cella a Landsberg non avesse scritto quel libro. Si crede che le parole siano solo inchiostro? Nossignore, sono fatti. Le parole sono sempre fatti. E non c’è cosa fra gli esseri umani che non prenda forma dalle parole”.

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