Roma: una “Lucia di Lammermoor” sotto la luna


Chiara Catalano

5 Mar 2003 - Commenti classica

E' bella la Lucia di Lammermoor che, sospesa nella sua veste bianca, cammina tra le lande colorate della Scozia ma sempre sotto la schiacciante pressione di un cupo cielo grigio: la scenografia è molto semplice, forse un po' spoglia, ed utilizza delle quinte semoventi che dividono il palco in due ambienti, esterno ed interno, la fontana di Lucia ed Edgardo è trasformata in un albero contorto e rinsecchito, mentre una grande luna campeggia a mo' di monito sulle teste dei protagonisti.
Questa luna affascinante dona un' atmosfera che sembra quella della poesia sepolcrale inglese ma è insieme anche il simbolo della femminilità , della fragilità e dello sconfinato amore di una giovane donna per un giovane uomo, che verrà perfidamente schiacciato.
Molto bravi Gazale nel ruolo di Enrico e D'Arcangelo nei panni di Raimondo, il precettore di Lucia.
Una menzione speciale anche per Fabio Sartori, alias Edgardo, che dopo un inizio poco convincente, dona il meglio di sè nella seconda metà dell' opera.
Quanto a Lucia, la Mei incanta più e più volte la platea con il suo virtuosismo e la sua voce sottile e algida: forse manca un po' in impeto, ma senz'altro adattissima al ruolo dell'innocente e candida protagonista.
Infine l'orchestra diretta da Oren è sempre precisa, non sfora mai oltre una certa sonorità per non prevaricare lo svolgimento dell'azione, giungendo a sottolineare con estrema delicatezza i sentimenti dei protagonisti e fondendosi in un raffinato dialogo con i cantanti.

(Chiara Catalano)


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