RENATO CASARO. L’ultimo cartellonista del Cinema. Treviso, Roma, Hollywood


a cura di Vincenzo Pasquali

26 Ott 2020 - Commenti cinema

Grande Mostra, in tre location diverse, “RENATO CASARO. L’ultimo cartellonista del Cinema. Treviso, Roma, Hollywood”, dal 5 dicembre 2020 al 30 settembre 2021. Da Sergio Leone ad Amadeus, all’Ultimo Imperatore Treviso celebra il cartellonista che “firmò” i manifesti per i capolavori del cinema, da Cinecittà a Hollywood.

A Treviso, con una grande mostra in tre diverse sedi cittadine (dal 5 dicembre 2020 al 30 settembre 2021 presso nuovo Museo Nazionale Collezione Salce, che per l’occasione apre nella ritrovata Chiesa di Santa Margherita, affiancando così l’altra sede del medesimo Museo; dal 6 novembre 2020 al 30 settembre 2021 al Complesso di San Gaetano; dal 6 novembre 2020 al 28 febbraio 2021 pressi i Musei Civici di Santa Caterina), il Mibact tramite la Direzione Regionale Musei Veneto, il Comune di Treviso, con la Regione del Veneto, rendono omaggio a Renato Casaro (Treviso, 1935). Ovvero a colui che è considerato come l’ultimo dei grandi cartellonisti. Di quegli artisti cioè che sapevano trasporre l’anima di un film in un manifesto. Non utilizzando l’immagine fotografica di un personaggio o di una scena ma disegnandola. Il tutto mentre il film era ancora in lavorazione, potendo contare solo su qualche fotografia di scena e su un formidabile intuito comunicativo.
A curare la mostra e il catalogo sono Roberto Festi e Eugenio Manzato, con Maurizio Baroni, vale a dire tre specialisti del settore, che hanno analizzato l’enorme archivio di Casaro (più di mille i manifesti e le locandine da lui realizzate per il cinema), selezionando testimonianze di un percorso artistico durato oltre 50 anni. Ricorrendo anche al mercato per acquisire e restaurare opere destinate, in mostra, a colmare delle lacune nella documentazione della sua straordinaria vicenda creativa.
Il sodalizio di Casaro con il cinema era iniziato quando, ancora ragazzo, creò le grandi sagome, pezzi unici dipinti a mano, che venivano collocate all’ingresso del Cinema Teatro Garibaldi e del Cinema Esperia di Treviso. A 19 anni, nel 1954, parte per Roma e trova lavoro nello studio di Augusto Favalli dove rimane per circa un anno e mezzo imparando le tecniche e i “trucchi del mestiere”. È del ‘55 il suo primo manifesto ufficiale per Criminali contro il mondo. Poi, sempre a Roma, nel 1957, apre uno studio a proprio nome.
Artigiano di genio, misurò la sua arte con quanto Cinecittà e il cinema internazionale andavano proponendo. Via via il suo stile conquistò grandi registi e Hollywood: Jean-Jacques Annaud, Dario Argento, Marco Bellocchio, Ingmar Bergman, Bernardo Bertolucci, Luc Besson, John Boorman, Tinto Brass, Liliana Cavani, Francis Ford Coppola, Milos Forman, Costa Gavras, Pietro Germi, Claude Lelouch, Ugo Liberatore, Sergio Leone, Sidney Lumet, Anthony Mann, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Alberto Sordi, John Sturges, Giuseppe Tornatore, Francois Truffaut, Carlo Vanzina, Carlo Verdone…
La mostra documenta 170 film, dei mille e più per i quali egli lavorò. E lo fa partendo dal “prodotto finito”, ovvero dai manifesti a due e quattro fogli, destinati alle sale cinematografiche o all’affissione. Sono oltre un centinaio i pezzi selezionati e restaurati per l’occasione. I rari e introvabili fogli del decennio 1955-1965, mai apparsi in una mostra, presentano un artista in rapida formazione che, grazie al fertile ambiente romano, dove Cinecittà è in quegli anni una delle industrie più prolifiche, riesce a dare il meglio di sé in ogni genere: storico, peplum, commedia, noir e il nascente e dirompente fenomeno del “Western all’italiana”. Ed è sorprendente vedere accostati, nella grande “terrazza” del Santa Margherita, Trinità e Rambo o gli indimenticabili manifesti di capolavori quali I magnifici setteC’era una volta in America, Amadeus, Il nome della rosa, Il tè nel deserto, L’ultimo imperatore.
Strutturata con una progressione cronologica, ma con una scansione anche tematica che segnala i generi più “frequentati” da Casaro, la mostra, sia nella sede di Santa Margherita che in quella di Santa Caterina, accosta ai grandi e multicolori affissi, una selezionata serie di bozzetti studio e gli “originali” (l’opera finita che serviva per stampare il manifesto), provenienti dall’archivio dell’artista e da importanti collezioni pubbliche e private.
Questo permette di comprendere al meglio la crescita professionale e la cifra stilistica dell’artista ma anche le innovazioni tecniche che Casaro adotta e sviluppa negli anni: dalla “istintiva” pennellata degli esordi, alle composizioni in parte fotografiche degli anni Settanta, sino alla raffinate maquettes ad aerografo che lo rendono celebre, in particolare nei ritratti degli attori protagonisti, tra gli anni Ottanta e Novanta, quando il manifesto disegnato giunge al tramonto. Una perizia che gli vale la collaborazione con le maggiori case di produzioni americane (Fox, United Artists, MGM, Columbia) e con i più grandi registi del secondo Novecento.
Nelle tre sedi della mostra è presente un inedito video che, per flash, mostra al pubblico trailer e spezzoni di film dei quali Casaro ha curato il corredo iconografico e alcune sue riflessioni su una carriera professionale di quasi cinquant’anni.
Nei Musei Civici di Santa Caterina si svilupperà la sezione Treviso, Roma, Hollywood.
Nella innovativa sede di Santa Margherita, dove si svilupperà il suo percorso della mostra dal titolo L’ultimo cartellonista, è stata ideata anche una sezione didattica dove i visitatori più giovani potranno, in totale autonomia, comporre e creare un loro manifesto di cinema. E ancora, una sezione dedicata agli ipovedenti con la riproduzione tridimensionale del celebre affisso Il tè nel deserto.
Una sezione particolare, dal titolo Dall’idea al manifesto, è allestita negli spazi di San Gaetano, prima sede del Museo Nazionale del Manifesto. Qui il pubblico può scoprire l’intero iter della creazione di un manifesto: dai contatti con le case di produzione o di distribuzione ai primi schizzi a matita; dal bozzetto di prova (spesso con molte varianti richieste, o imposte, dalla committenza) a quello esecutivo. Sino alla fase dell’inserimento del lettering (un tempo manuale, in seguito fotomeccanico) e alla stampa. Sei film simbolo di Casaro “raccontano”, con una forte valenza didattica, tutto il mondo tecnico e artistico che sta dietro la creazione di un manifesto. E in un video, prodotto per l’occasione da FilmWork e proiettato nell’attigua Chiesa di San Gaetano, Casaro rende conto della sua lunga esperienza nel mondo del cinema.
Gli oltre trecento pezzi presentati nelle tre esposizioni sono pubblicati nel volume realizzato per questa mostra da Grafiche Antiga (pp. 270 in edizione italiana e inglese) che riporta testi critici sull’artista, immagini d’epoca, fotografie di scena e un primo analitico repertorio delle sue opere per il cinema.

RENATO CASARO. BIOGRAFIA (testo di R.F.)

Nel novero degli artisti che hanno dedicato la loro arte al manifesto cinematografico, Renato Casaro (Treviso, 1935) è indicato a ragione come l'”ultimo dei cartellonisti”. La sua intensa attività, iniziata alla metà degli anni Cinquanta, apprezzata e riconosciuta a livello internazionale, si affianca a quella dei maggiori protagonisti in ambito italiano di quest’arte singolare, ma riesce ancora ad avere per Casaro, al torno degli anni Novanta del secolo scorso, un prestigioso quanto determinante “colpo di coda”.

Casaro inizia a lavorare per le sale cinematografiche della sua città a diciassette anni realizzando grandi sagome, pezzi unici dipinti a mano, che venivano collocate all’ingresso del Cinema Teatro Garibaldi e del Cinema Esperia di Treviso. A 19 anni, nel 1954, parte per Roma e trova lavoro nello studio di Augusto Favalli dove rimane per circa un anno e mezzo imparando tecniche e “trucchi del mestiere”. Poi, sempre a Roma, nel 1957, apre uno studio a proprio nome.

Non è difficile comprendere cosa permetta a Casaro di affermarsi così perentoriamente. L’artista dimostra di avere una marcia in più. Intuisce – in modo istintivo e probabilmente senza neppure vedere la pellicola, ma solo con l’ausilio di qualche fotografia di scena – l’essenza intima del film, lavora di fantasia, stenografa mentalmente le sue sensazioni, le ricompone nell’impianto del manifesto e mette in campo una straordinaria abilità di ritrattista. In questi anni di intensa produzione, dove si alternano film storici – con il Peplum, sottogenere dei film storici in costume – biblici, drammatici, comici sino ai “musicarelli” a ai travolgenti “Western all’italiana”, Casaro accresce la sua attività collaborando con Case di produzione e distribuzione che vedono in lui l’interprete ideale per costruire l’immagine di un film.

Per tutti gli anni Settanta sperimenta dinamiche stilistiche innovative creando alcuni capolavori del cartellonismo cinematografico. Nel 1984 l’artista si trasferisce a Monaco di Baviera dove lavora a molte produzioni tedesche e internazionali o a film italiani distribuiti in tutto il mondo: in primis C’era una volta in America (1984) il capolavoro di Sergio Leone per il quale costruisce un’immagine minimalista di straordinaria sintesi. Poi quelli con la coppia Hill-Spencer e ancora quelli comico-sentimentali o a tema ecologista di Adriano Celentano e nel 1983 Octopussy [Operazione Piovra] e Never Say Never Again [Mai dire mai] con protagonista il celebre Agente segreto 007. Per molti di questi film lavora, in contatto con le maggiori Case di produzione, tra Londra, Parigi e Los Angeles confermando il suo profilo ormai internazionale.

In quel periodo prende corpo un’innovazione tecnica che lo indirizza verso un iperrealismo che dimostra di padroneggiare con autorevolezza. Utilizza ancora i pennelli ma inserisce in modo più preponderante l’aerografo, strumento che gli permette di portare al massimo risultato il “verismo” dell’immagine avvicinandosi quasi alla resa fotografica. A ciò si aggiunge la fortuna di agganciare alcune produzioni di livello internazionale che grazie ai ricchi budget non lesinavano sulla comunicazione. Ecco dunque gli “anni d’oro” del cartellonista trevigiano con: Amadeus (1984), Il nome della rosa (1986), Opera, L’ultimo imperatore e Cronaca di una morte annunciata (1987) e poi ancora la trilogia di Rambo (1982-1985-1988) e – in quel 1990 che suggella una carriera esemplare – quasi in contemporanea Balla coi lupi, Nikita e Il tè nel deserto. Successi internazionali con i quali Casaro sancisce il suo mito di pittore cartellonista.

Sono innumerevoli i registi, italiani e stranieri, per i quali Renato Casaro ha illustrato film: Jean-Jacques Annaud, Dario Argento, Marco Bellocchio, Ingmar Bergman, Bernardo Bertolucci, Luc Besson, John Boorman, Tinto Brass, Liliana Cavani, Francis Ford Coppola, Milos Forman, Costa Gavras, Pietro Germi, Claude Lelouch, Ugo Liberatore, Sergio Leone, Sidney Lumet, Anthony Mann, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Alberto Sordi, John Sturges, Giuseppe Tornatore, Francois Truffaut, Carlo Vanzina, Carlo Verdone.

Nel 1999 Casaro sposta la sua residenza a Marbella (Andalusia/Spagna) dove si dedica alla realizzazione degli ultimi manifesti per il cinema. Nel 1999 e nel 2000 illustra il prestigioso “Calendario dell’Arma dei Carabinieri”. Nel 2014 rientra a Treviso dove tutt’ora risiede, nella casa di famiglia, con la moglie Gabriella, vigile e attenta conservatrice di uno sterminato archivio. Nel 2019 – quasi a suggellare la sua cinquantennale carriera – viene chiamato dal regista Quentin Tarantino per collaborare nel progetto dei “poster vintage” realizzati per il film C’era una volta a… Hollywood.

I CURATORI DELLA MOSTRA

Roberto Festi, architetto, dedica una parte della propria attività al settore culturale collaborando nell’ideazione e nella realizzazione di mostre con musei in Italia e all’estero. Approfondisce da anni temi legati alla cultura mitteleuropea e in particolare alle arti viennesi di inizio Novecento. Ha realizzato centottanta progetti espositivi. È autore di numerosi studi storico-artistici, molti dei quali – dedicati alla grafica, all’illustrazione e al fumetto – pubblicati come libri e cataloghi di mostre. Per il Leopold Museum di Vienna è stato il curatore delle mostre su Josef Maria Auchentaller (2009) e Rudolf Kalvach (2012). È membro dell’Accademia Roveretana degli Agiati di Scienze, Lettere a Arti.

Eugenio Manzato, storico dell’arte, è stato allievo di Rodolfo Pallucchini all’Università di Padova e assistente all’Università di Udine negli anni Settanta. Nel 1980 vince il concorso per professore associato di Storia dell’arte. Direttore dei Musei Civici di Treviso dal 1980 al 2001, organizza numerose mostre e pubblica libri e guide sia riguardanti i musei civici che la città di Treviso e realizza con assiduità mostre di manifesti tratte dalla Raccolta Salce, curandone spesso i cataloghi e approfondendo la storia della collezione attraverso la consultazione dell’archivio, di cui cura la catalogazione. Dopo l’uscita dai Musei Civici continua ad occuparsi di arte veneta e di cartellonismo.

Maurizio Baroni, studioso di cinema, inizia a collezionare manifesti cinematografici all’età di undici anni. Da allora ha conosciuto quasi tutti i personaggi più importanti del cinema italiano: attori, registi, produttori, musicisti e cartellonisti. Ha scritto libri, collaborato a cataloghi di mostre, partecipato a trasmissioni televisive, organizzato rassegne, esposizioni ed eventi. Ha raccolto negli anni un’imponente collezione con oltre 35.000 pezzi tra cimeli, manifesti, colonne sonore e documenti, ora affidata alla Cineteca di Bologna. Tra i suoi lavori più recenti i volumi Pittori di cinema (Lazy Dog, 2018) e Ennio Morricone (Lazy Dog, 2019) che raccoglie tutte le colonne sonore del maestro romano.

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