Pesaro: Rossini Opera Festival 2002, le recensioni


Roberta Pedrotti - "Gli Amici della Musica"

23 Ago 2002 - Commenti classica

La Pietra del paragone
(9 agosto 2002)
Il ventiduesimo Rossini Opera Festival, per la prima volta interamente dedicato alla produzione buffa del Pesarese, si è aperto con l'attesissima ripresa della Pietra del Paragone, il capolavoro idolatrato da Standhal e che, nella Milano del 1812, consacrò Rossini come il nuovo Cimarosa. La struttura del libretto dell'esperto Luigi Romanelli si richiama, infatti, alla tradizione precedente, ma Rossini, pur adeguandosi al modello settecentesco, propone perle d'altissima scienza compositiva, ed un'inarrivabile freschezza d'ispirazione, nei concertati, che alternano sezioni a cappella di magnifica ispirazione ed inebrianti autoimprestiti (non un mero espediente, ma un seducente e sofisticato artificio retorico) come nelle arie, anticipazioni del Rossini futuro, ma anche perle uniche ed affascinanti come l'aria amorosa del Conte. Festeggiatissimo ai vent'anni dalla sua prima presenza al Rof, Pierluigi Pizzi ha ambientato la vicenda del Conte Asdrubale, circondato da parassiti, conteso da tre pretendenti e perennemente indeciso circa la sincerità femminile, al tempo della Dolce vita, in una moderna e lussuosa villa. Peccato che nella struttura fissa il gioco scenico, elegante e funzionale, non appaia particolarmente coinvolgente, anzi focalizzato piuttosto sui continui cambi d'abito dei protagonisti (sappiamo che Pizzi è un ottimo costumista, non è necessario ce lo ricordi di continuo) ed alla fine, fra trovate divertenti come la partita a tennis fra Macrobio e Giocondo ed altre molto meno convincenti (il duetto al telefono fra il Conte e Clarice), il personaggio più riuscito risulta essere proprio il giornalista Macrobio, pavido, corrotto e perfettamente credibile in abiti moderni. Merito anche di Pietro Spagnoli, fisicamente lontano dallo stereotipo del buffo, ma proprio per questo perfetto, divertente e personale grazie all'intelligenza dell'interprete ed alla vocalità duttile e timbrata: un'ulteriore prova di quanto la presenza del baritono romano sia indispensabile a Pesaro. Accanto a lui lodiamo Raul Gimenez, giustamente acclamato per la finezza del fraseggio, la morbidezza del legato e delle messe di voce con cui valorizza la bella parte del poeta Giocondo: una lezione di stile e sensibilità interpretativa. Bene anche Bruno de Simone, il poetastro Pacuvio, di ottimo spessore teatrale e musicale. Convince poco, purtroppo, la coppia protagonista: il Conte di un giovanissimo Marco Vinco ancora immaturo, che non ha mantenuto le promesse del debutto e fallisce clamorosamente proprio nella bellissima aria d'amore Ah! Se destarti in seno, e la Clarice di Carmen Oprisanu, scarso carisma e voce piccola, impari alle difficoltà di tessitura ed agilità che il ruolo impone(difetti evidenti nella grande scena del secondo atto). Fin troppo petulanti la baronessa Aspasia di Laura Brioli e la donna Fulvia di una Patrizia Biccirè in palese difficoltà nella sua aria del sorbetto. Dariusz Machej è Fabrizio, il coro, come d'abitudine, quello da Camera di Praga istruito da Lubomir Mà tl. Rimangono la direzione di Carlo Rizzi e l'orchestra del Comunale di Bologna, che hanno affossato le meraviglie della partitura, che, complici alcuni interpreti, potevamo solo immaginare. Tempi sconnessi, scollamento fra la buca e la scena, prime parti disastrose con stecche già dall'ouverture e una pericolosa propensione a trasformarsi in banda dei Giannizzeri. Un vero peccato, perchè una prima attesissima, e non priva di motivi d'interesse è stata pesantemente penalizzata, tanto che il pubblico è rimasto piuttosto freddo, salvo salutare con il giusto entusiasmo l'ottimo terzetto degli ospiti, Spagnoli, Gimenez e De Simone.

L'equivoco stravagante
(13 agosto 2002)
à la prima opera buffa in due atti di Rossini e debuttò a Bologna nel 1811, protagonista Maria Marcolini, creatrice anche della Clarice della Pietra del Paragone, opera in cui si troveranno più pagine dell'Equivoco. Era quindi particolarmente interessante proporre l'ascolto ravvicinato delle due partiture in edizione critica e la Fondazione Rossini ha accettato e vinto la sfida di realizzare in tempi brevissimi la revisione, curata da Marco Beghelli e Stefano Piana. Un impegno notevole, considerando che dell'Equivoco non ci è pervenuto un autografo, e che l'opera fu oggetto di notevoli manomissioni, in primis ad opera della censura, che massacrò un testo fitto di allusioni sessuali non troppo velate. La vicenda della bella Ernestina, femme savante maniaca di lettere, di suo padre Gamberotto, contadino arricchito, e dei due pretendenti di lei, il ricco e volgare Buralicchio ed il romantico Ermanno, e l'espediente che vede vincitore quest'ultimo (una lettera fa credere la fanciulla in realtà un castrato e fa fuggire il promesso sposo) sono trattati da Rossini con la ben nota sensibilità teatrale. Purtroppo l'interpretazione scenica di Emilio Sagi non aveva nulla a che spartire con l'opera: l'ambientazione vagamente pop non fa che sottrarre interesse alla vicenda, tanto più che la recitazione è quanto di più banale e statico si possa immaginare e la scene di Francesco Calcagnini e, soprattutto, i costumi di Pepa Ojanguren, non brillano certo sul piano estetico. Se un velo di noia offuscava la brillante e scabrosa commedia rossiniana, almeno si sono potute ascoltare note molto positive, soprattutto dall'Ermanno di Antonino Siragusa, artista assolutamente indispensabile a Pesaro. Voce bella come poche, interprete personale e coinvolgente sulla scena come nel canto, dove al gusto per il legato ed il chiaroscuro (magnifica la cavatina D'un tenero ardore) si aggiunge una sempre maggiore disinvoltura nelle agilità , soprattutto nell'emozionante ed impegnativa Sento da mille furie. Bravo e molto convincente anche Lorenzo Regazzo, pure lui importante ospite del Rof, un Buralicchio nelle intenzioni registiche assai vicino a De Sica (Christian). Bruno Praticò è un Gamberotto perfetto, benchè penalizzato dall'allestimento. à tornata a Pesaro, dopo una Scala di Seta di dieci anni fa, Silvia Tro Santafè, Ernestina un po' sfuocata, con emissioni intubate, che la spingono a forzare, perdendo omogeneità e limpidezza. Completano il cast Natalia Gavrilan, Stefano Ferrari, i camerieri Rosalia e Frontino, e l'ottimo Coro da Camera di Praga preparato dal maestro Mà tl. La giovane Orchestra del Festival, ancora in via di maturazione, era guidata da un esperto Donato Renzetti, che sa seguire i cantanti e valorizzarli, rispettando stile e spirito rossiniano. Alla fine, giustamente, consensi convinti a Praticò e Regazzo, con punte di entusiasmo per Siragusa: come già nella Pietra è ancora, e non a caso, il tenore a meritare un trionfo.

Il Turco in Italia
(14 agosto 2002)
Quest'edizione del Rof, detta il “Festival del sorriso”, difficilmente è riuscita a divertire: nemmeno con Il Turco in Italia, nonostante la presenza di Guido de Monticelli, regista dal solido senso del teatro musicale, dell'affidabile Santuzza Calì per i costumi e di Paolo Bregni per le scene. Si è trattato in realtà di uno spettacolo fin troppo tradizionale, datato nelle caratterizzazioni (soprattutto di Selim) e poco originale. Peccati comunque veniali alla luce di ben più gravi carenze musicali. Per la prima milanese, infatti, Rossini affidò ad un collaboratore la cavatina di Geronio ed un'aria per Albazar, eliminate poi nella ripresa romana in favore di un'altra aria per Geronio nel secondo atto ed una cavatina per Don Narciso. Ovviamente l'edizione critica ricostruisce il testo della prima rappresentazione e riporta in appendice le varianti d'autore; compito dell'interprete è scegliere quali brani inserire nel rispetto dello stile e dell'equilibrio della partitura. Invece Riccardo Frizza ha ben pensato di eseguire semplicemente tutto, tradendo l'autore, l'equilibrio della partitura, anni di studi rossiniani. Non solo le arie non rossiniane non sono certo d'insigne bellezza, tutt'altro, ma l'esecuzione lasciava parecchio a desiderare. Basti citare una sinfonia mai sentita così imprecisa negli attacchi, piatta nelle dinamiche, tecnicamente disastrosa, imbarazzante quanto ad intonazione (soprattutto trombe e corno). L'orchestra del Festival ed il maestro sono stati duramente contestati dopo un'esecuzione indegna, senza riscattarsi nel prosieguo dell'opera. Qui per fortuna si sono fatti valere Richard Barker, ottimo maestro al fortepiano, e soprattutto Alessandro Corbelli, il miglior Geronio che si possa immaginare: signorile, combattivo, commuovente, da solo domina tutto il bellissimo quintetto del secondo atto. Una prova entusiasmante, non solo per la voce sempre freschissima, ma soprattutto per l'irresistibile magnetismo scenico. Completano il quadro degli artisti da lodare la Fiorilla fragile ma aggressiva di Patrizia Ciofi, impeccabile soprattutto in Squallida veste, resa quasi una scena di pazzia, e Roberto De Candia, Poeta per eccellenza in tante occasioni, qui poco valorizzato dal regista. Delude Ildar Abdrazakov, Selim rozzo e stolto, lontanissimo dalla nobile figura che pare ispirata alle Lettres persiannes di Montesquieu: la voce è poi opaca, inadatta a Rossini, il fraseggio dozzinale e la dizione incerta. Dopo la Pietra del Paragone un'altra prova di quanto la presenza di Michele Pertusi sia irrinunciabile al Rof. Nemmeno Matthew Polenzani, Narciso, trova in Rossini il suo autore ideale. Albazar era Alessandro Codeluppi, Zaida una pessima Marisa Martins. Bene il coro da Camera di Praga, nonostante il direttore, meno il coro femminile convocato esclusivamente per la cavatina spuria. Al termine, è inutile dirlo, trionfano l'inarrivabile Corbelli, i perfetti Ciofi e De Candia.

(per gentile concessione de “Gli Amici della Musica”

(Roberta Pedrotti – “Gli Amici della Musica”)


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