Ottima prima nazionale per “La Buona Novella” con Neri Marcorè


di Alberto Pellegrino

26 Apr 2023 - Senza categoria

“La Buona Novella” di Fabrizio De André debutta in prima nazionale con grande successo di pubblico nel Teatro delle Muse di Ancona. Sul palco, insieme a Neri Marcorè, il pianista Francesco Negri e cinque determinanti figure femminili: Rossana Naddeo, Giua, Barbara Casini, Anais Drago e Alessandra Abbondanza.

(Foto Le Pera)

La stagione di prosa 2022/23 del Teatro alle Muse si è conclusa con La Buona Novella di Fabrizio De André, suscitando l’entusiasmo e la partecipazione del pubblico che ha affollato il teatro anconetano dal 13 al 16 aprile attratto da questo spettacolo andato in scena con la drammaturgia e la regia di Giorgio Gallione, gli arrangiamenti e direzione musicale di Paolo Silvestri, la suggestiva scenografia di Marcello Chiarenza, gli eleganti costumi di Francesca Marsella, il coinvolgente e puntuale disegno luci di Ando Mantovani. Lo spettacolo, che ha debuttato in prima nazionale, è stato prodotto da Marche Teatro, dal Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano di Milano, dal Teatro della Toscana e andrà in tournée nella prossima stagione teatrale.

Il protagonista, nel ruolo del narratore-cantante, è Neri Marcorè che si è già misurato con le musiche e i testi di Fabrizio De André, cha ha fornito anche in questa occasione una dimostrazione delle sue qualità di attore, musicista e cantante dotato di una voce dal timbro che si avvicina a quelle del grande cantautore genovese. A garantire l’alta qualità di questo allestimento, hanno contribuito, oltre al pianista Francesco Negri, cinque determinanti presenze femminili: un’attrice di grande intensità espressiva come Rossana Naddeo e le quattro musiciste/cantanti Giua (chitarra e voce), Barbara Casini (chitarra, percussioni e voce), Anais Drago (violino e voce), Alessandra Abbondanza (fisarmonica e voce).

Lo spettacolo, concepito come una sacra rappresentazione, si basa sulla drammaturgia scritta nel 1997 dal commediografo e regista Giorgio Gallione per il Teatro milanese dell’Archivolto e andata in scena dal novembre 2000 al dicembre 2001 a Genova, Modena, Reggio Emilia, Milano e Roma con l’interpretazione di Lina Sastri e Claudio Bisio. Gallione ha effettuato un “montaggio” tra le canzoni di D’André e brani tratti dai Vangeli apocrifi, in particolare il Vangelo gnostico di Filippo, il Vangelo dell’infanzia dello pseudo-Matteo, il Vangelo dell’infanzia armeno, il Vangelo dell’infanzia dello pseudo-Tommaso, il Vangelo dell’infanzia arabo siriaco, la Passione e resurrezione del Vangelo di Nicodemo.

Queste parti narrate, oltre a svelarne la fonte letteraria, servono a sottolineare il valore e la forza evocativa delle canzoni, a caratterizzare la presenza e la personalità dei personaggi di Maria e di Giuseppe, di un falegname e del popolo, delle Tre Madri e di Tito il buon ladrone. Lo spettacolo non è quindi un concerto, ma un dramma teatrale recitato, suonato e cantato da un gruppo di attori che sono anche dei musicisti.

Si tratta di un capolavoro originale che colloca De André fra i maggiori poeti italiani del secondo Novecento, perché La Buona Novella appartiene a quel patrimonio religioso prodotto dalla cultura laica unitamente ad altre due grandi opere: Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini e il Mistero buffo di Dario Fo.  

Quando De André compone nel 1969 La buona novella, il suo primo album a tema unico e dal taglio esplicitamente teatrale, sta attraversando un periodo molto particolare della sua vita personale e artistica. È ormai un cantautore affermato per il suo impegno sociale e politico (basti pensare alla Ballata dell’eroe, La guerra di Piero, Tutti noi morimmo a stento sul tema del suicidio), un “ribelle” che ha cantato la sofferenza del sottoproletariato e che ha mostrato solidarietà per le classi popolari. Lo stesso De André ha scritto anche stupende canzoni d’amore ed è stato abbastanza contrariato per certi rimbrotti della sinistra ufficiale, come lo sarà più tardi per la parodia di Marinella fatta nel 1973 dal Movimento Femminista, che probabilmente avrà considerato uno sfregio fatto alla sua personalità di artista impegnato.

Va ricordato che già nel 1967 De André aveva scritto una canzone molto importante intitolata Si chiamava Gesù, non deve quindi sorprendere se, due anni più tardi, per motivazioni personali e politiche, compie un atto a suo modo “rivoluzionario” con la decisione di trarre ispirazione dai Vangeli apocrifi, che hanno un valore religioso del tutto particolare per la loro componente sia letteraria che popolare.

De André dichiara: “Compito di un artista credo sia quello di commentare gli avvenimenti del suo tempo usando però gli strumenti dell’arte: l’allegoria, la metafora, il paragone”.

Alcuni anni dopo aggiungerà: “Io mi ritengo religioso, e la mia religiosità consiste nel sentirmi parte di un tutto, anello di una catena che comprende tutto il creato, e quindi a rispettare tutti gli elementi, piante e minerali compresi, perché secondo me l’equilibrio è dato dal benessere diffuso in ciò che ci circonda […] Penso che tutto quello che abbiamo intorno abbia una sua logica, e questo è un pensiero al quale mi rivolgo quando sono in difficoltà […] Compagni, amici, coetanei considerarono La buona novella anacronistico. Non avevano capito che quel disco voleva essere un’allegoria che si precisava nel paragone tra le istanze migliori e più sensate della rivolta del Sessantotto”.

Allora molti, anche a sinistra, non avevano capito il valore di una lotta che un paio di millenni prima “un signore – dice sempre De André – aveva fatto contro gli abusi del potere, in nome di un egualitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth, e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi”.

Nel rileggere alla luce della storia questi testi e nell’ascoltare canzoni come Ave Maria, Via della croce, Tre Madri, Il testamento di Tito e il coro finale Laudate hominem che si chiude con i versi “No, non devo pensarti figlio di Dio/ma figlio dell’uomo, fratello anche mio”, è anche troppo facile dare oggi ragione a Fabrizio De André, che non a caso esalta l’espressione “figlio dell’uomo”, la più usata nei Vangeli e forse la più amata da Gesù di Nazareth.

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