MacerataOpera 2004 all'insegna delle novità


12 Lug 2004 - News classica

di Alberto Pellegrino

Il cartellone di “Macerata Opera” presenta tre opere mai rappresentate allo Sferisterio e proposte con un certo coraggio dal nuovo direttore artistico Katia Ricciarelli, che ha voluto imboccare la strada di scelte non convenzionali con l'intenzione di indagare nel vasto mondo della lirica per portare alla conoscenza del pubblico anche dei capolavori che raramente fanno parte del repertorio tradizionale, ma che per questo non sono meno importanti e artisticamente meno validi. Del resto la Ricciarelli ci tiene a sottolineare che, dal momento della sua nomina ad oggi, le tre opere prescelte sono state riscoperte da diversi Enti lirici: “Francesca da Rimini ha aperto la stagione 2003/2004 del Teatro dell'Opera di Roma, Simon Boccanegra è stato accolto con successo al Carlo Felice di Genova e assieme a Les Contes d'Hoffmann è nel cartellone della stagione lirica parmense: quindi Macerata Opera viene addirittura dopo, ma prima del Teatro alla Scala di Milano che le avrà in cartellone la prossima stagione”. Sempre la Ricciarelli sostiene che notevoli cambiamenti si sono verificati nei gusti degli spettatori soprattutto più giovani, per cui si avverte il bisogno di novità anche fra i melomani più tradizionali: “Il pubblico dei melomani ama la musica, la grande musica. à naturale che in mancanza di altre offerte si sia abituato ai soliti titoli. Io credo che il compito dei teatri e chi li guida sia anche quello di aprire il grande forziere dei tesori musicali e fare in modo che il pubblico li conosca e li apprezzi. Dobbiamo adeguarci ai grandi teatri dell'Europa e del mondo che questo forziere lo hanno aperto da tempo”. Nonostante qualche perplessità , il nuovo cartellone ha comunque raggiunto un primo risultato: c'è molta curiosità e molta attesa per queste tre opere che andranno in scena con allestimenti del tutto nuovi, affidati a importanti registi (che firmano anche le scene e i costumi), con interpreti e direttori d'orchestra di sicura qualità .

I Racconti di Hoffmann (Les Contes d'Hoffmann) di Jacques Offenbach
La stagione dello Sferisterio si apre quest'anno con I Racconti di Hoffmann (Les Contes d'Hoffmann) del compositore Jacques Offenbach (1819-1880). Divenuto celebre per aver scritto oltre 90 operette, fra le quali spiccano degli autentici capolavori come Orfeo all'inferno (1858), La bella Elena (1864), La vie parisienne (1866) che gli avevano fatto meritare l'appellativo di “Mozart degli Champs-Elysèes”, Offenbach sentiva di non aver ancora creato qualcosa che potesse aprirgli le porte de L'Opèra Comique, consacrandolo come autore di livello superiore capace di uscire dal dorato e rutilante mondo dell'operetta. L'idea di comporre un'opera “seria” nasce dentro di lui quando assiste al dramma I racconti Hoffmann che Jules Barbier e Michel Carrè avevano tratto da alcune novelle di Ernest Theodor Amedeus Hoffmann (1776-1822), uno degli autori più rappresentativi del Romanticismo tedesco che Baudelaire era solito definire “il divino Hoffmann”. Secondo il grande germanista Claudio Magris, questo scrittore trova “nella novella la misura più consona alle sue possibilità poetiche, più atta ad esprimere le sue inesauribili invenzioni fantastiche e la sua continua trasfigurazione della vita nell'arte nella nostalgia del sogno o nella smorfia grottesca”; infatti “tutte le sue esperienze si trasfondono nella sua vita multiforme, e si tratta d'esperienze d'una vita tumultuosa, appassionata e travagliata, intessuta di ardenti amori, fervide amicizie, e rovesci di fortuna”, dato che Hoffmann vive come testimone diretto i più grandi eventi della storia europea dalla Rivoluzione francese alle guerre napoleoniche, dalla repressione restauratrice all'esaltante stagione romantica.
Jacques Offenbach, dopo aver commissionato il libretto dei “Racconti” a Jules Barbier, lavora a quest'opera negli ultimi anni della sua vita, tanto che al momento della sua morte il lavoro risulta incompiuto per quanto riguarda la strumentazione, che viene eseguita da Ernest Guiraud. Risultato di un lavoro drammaturgico condotto su tre racconti intitolati L'uomo di sabbia, Le avventure della notte di San Silvestro e Il consigliere Krespel, l'opera va in scena postuma nel 1881 e riscuote un immediato successo che ancora si protrae nel tempo.
I Racconti di Hoffmann si possono definire “un'opera fantastica” suddivisa in quattro atti che hanno in comune il tema dell'amore inteso come sottile struggimento o come un sentimento così violento da far perdere la ragione. In questo lavoro di notevole spessore musicale e di grande fascino narrativo si mescolano le tenebre demoniache e le suggestioni del Male (incarnate dal consigliere Lindorf che assume via via le vesti del losco Coppèlius, del crudele Capitan Dapertutto, dello spietato Dottor Miracolo) con la fantasia poetica e la passione amorosa rappresentate dallo stesso Hoffmann, che assume il ruolo di protagonista e che rincorre per tutta la rappresentazione un ideale di amore che s'incarna successivamente nella donna-bambola (Olympia), nella donna-cortigiana (Giulietta) e nella donna-artista (Antonia).
La storia ha inizio con un Prologo durante il quale il consigliere Lindorf attira con un inganno il giovane Hoffmann nella taverna di mastro Lutero a Norimberga, facendogli balenare l'idea che vi potrebbe incontrare Stella, la fanciulla di cui il poeta è innamorato. Nella taverna vi sono alcuni studenti che convincono Hoffmann ad ingannare l'attesa raccontando le sue fantastiche avventure amorose. Nel primo atto ci troviamo nel laboratorio del grande fisico Spalanzani che Hoffmann frequenta come allievo. Il giovane è innamorato della bella Olympia che ritiene essere la figlia dello scienziato. In realtà si tratta di un automa costruito dallo stesso Spalanzani e dal suo diabolico assistente Coppèlius; l'ignaro poeta rivela durante una festa da ballo i propri sentimenti alla fanciulla, ma dopo aver cantato la celebre aria L'usignol nel suo boschetto, questa viene presa da frenetiche convulsione e finisce in frantumi, lasciando il poeta nella disperazione. Nel secondo atto l'azione si sposta a Venezia in una lussuosa galleria che si affaccia sul Canal Grande dal quale arriva il suono della famosissima “barcarola” Dolce notte i rai d'amor, alla quale Hoffmann risponde con l'inno al piacere E' il languido sogno d'amor. Infatti il poeta è perdutamente invaghito della bella cortigiana Giulitta che vive sotto il controllo del Capitan Dapertutto (molto bella la sua canzone Gira specchio fatal) e che l'ha indotta a divenire l'amante di un certo Schlèmil. Folle di gelosia Hoffmann uccide l'uomo in duello, ma tutto si rivela inutile, perchè nel frattempo la giovane donna è fuggita da Venezia con un altro amante. Il terzo atto è ambientato a Monaco, dove Hoffmann si è trasferito perchè innamorato di Antonia, figlia del liutaio Krespel. La fanciulla ha una grande passione per il canto ma, essendo gravemente malata, deve evitare sforzi eccessivi che potrebbero esserle fatali. Antonia, attratta dal diabolico violinista Dottor Miracolo, comincia a cantare una canzone e non smetterà più fino al sopraggiungere della morte. Nell'epilogo si ritorna nella taverna di Lutero, dove Hoffmann, privato di tutte le sue donne, cerca di trovare conforto alla propria disperazione nell'ebrezza del vino; ecco allora apparirgli la Musa della poesia, che lo invita a cercare rifugio nell'Ideale, facendolo cadere in un sonno consolatore. Appare ormai chiaro che le tre donne dei racconti sono in realtà quella Stella attesa dal poeta fin dall'inizio della storia e che le tre figure del Male sono altrettanti incarnazioni del consigliere Lindorf. Quando finalmente Stella arriva nella locanda, trova Hoffmann profondamente addormentato, per cui si allontana per sempre in compagnia del perfido Lindorf.
Les Contes d'Hoffmann debutteranno alla Sferisterio il prossimo 17 luglio in una edizione in lingua originale accompagnata da una traduzione in simultanea. L'opera promette di diventare il principale evento artistico della stagione, in quanto presenta alcuni elementi di eccellenza: la direzione musicale affidata al maestro francese Frèdèric Chaslin; la regia, le scene e i costumi di Pier Luigi Pizzi considerato per generale consenso il geniale autore di “magiche” messe in scena; un cast di notevole spessore a cominciare dal tenore Vincenzo La Scola e dalle tre interpreti femminili Desirèe Rancatore, Sara Allegretta e Annalisa Raspagliosi. Infine va segnalata la presenza di un prestigioso cantante di livello internazionale come il baritono Ruggero Raimondi, un artista che viene oggi considerato il migliore interprete assoluto di questa opera, dove ricopre il ruolo particolarmente complesso del consigliere Lindorf e delle sue successive incarnazioni.

Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai
Katia Ricciarelli ha tenuto a sottolineare l'importanza di questa opera dietro la quale “c'è Gabriele D'Annunzio, un poeta che sapeva raccontare affascinando, e sopra ancora Dante; il risultato è un affresco musicale che mette in evidenza gli snodi psicologici del dramma, lo incastona in una cornice eroica ed erotica, con una strumentazione superba, ricchissima di armonici”.
Il rapporto fra D'Annunzio e il mondo musicale è stato abbastanza complesso e tempestoso, poichè l'artista era soprattutto legato a Wagner, Debussy e in genere alle “più recenti ricerche dell'arte musicale contemporanea”. Il suo atteggiamento nei confronti del melodramma era decisamente contrario, considerandolo un'espressione artistica “completamente morta ed esaurita” ed arrivando nel 1892, sul Mattino di Napoli, ad apostrofare il povero Pietro Mascagni “un capobanda”. Agli inizi del Novecento egli rivede la sua posizione sia per motivi finanziari, sia perchè si rende conto che il suo teatro in versi è carico di suggestioni musicali. Pertanto fra il 1906 e il 1918 scrive o consente che vengano scritti diversi libretti d'opera per importanti musicisti italiani come Franchetti (La figlia di Iorio), Malipiero (Sogno d'un tramonto d'autunno), Pizzetti (Fedra) e persino il bistrattato Mascagni che, musicando il testo integrale di Parisina, raggiunge uno dei risultati artisticamente più elevati. A questo gruppo di opere appartiene la Francesca da Rimini (1914) di Riccardo Zandonai, “un musicista per formazione e carattere molto distante dal dannunzianesimo la cui Francesca penetra in certi momenti la pagina poetica con miracolosa forza di introspezione” (Renato Chiesa, Le tentazioni musicali di Gabriele D'Annunzio, Musica & Dossier, 1988). Si tratta quindi di un'opera che costituisce rispetto alle altre un piccolo “miracolo” che si colloca con pieno diritto fra i grandi successi del teatro musicale italiano, perchè Zandonai sa infondere ai personaggi una profonda umanità e una misurata vitalità senza gli eccessi o la superficialità talvolta presenti nell'opera verista. à soprattutto l'intensa vocalità della protagonista che mette in risalto le tensioni e le sensazioni interiori della protagonista, la quale ha uno spessore psicologico che finisce per riflettersi su tutti gli altri personaggi. Con la sua carica drammatica la Francesca di Zandonai, dove è perfettamente inutile ricercare richiami alle “avanguardie” europee del tempo, conclude con dignità e senza retorica la grande stagione del melodramma tradizionale italiano. Un apporto notevole alla validità dell'opera è dato dal libretto scritto direttamente dall'editore musicale Tito Ricordi che ha compiuto, con il consenso dell'autore, un buon lavoro rispetto alla tragedia dannunziana, attenuando l'esasperata drammaticità di alcuni passaggi drammaturgici ed eliminando alcuni eccessi di carattere descrittivo di questo testo che l'autore aveva definito “poema di sangue e di lussuria”, dove gli ingredienti della sensualità , della passione e della sensualità sfociano in un languore estenuato, in un gusto estetizzante dell'arcaico e del sensuale proprio di un Liberty di tipo elitario. Zandonai riprende con felice intuizione il clima di languore mortale che avvolge i due sventurati amanti che s'incontrano prima di cedere alla passione, avvolti nella melodia di una canto della primavera (la canzone a ballo “Marzo è giunto”) coinvolgente e malizioso, suonato da “piffero e liuto, ribecco e monacordo”. Il compositore riesce a superare il testo originale e a farlo proprio, raggiungendo il suo punto più alto nel mirabile duetto conclusivo del III atto tra Paolo e Francesca.
Tra i quattro personaggi fondamentali dell'opera (Paolo, Francesca, Gianciotto e Malatestino) emerge il personaggio di Francesca che cresce via via fino ad assumere una dimensione alta nel terzo atto (il più unitario e incisivo dell'intera opera), liberando tutta la sua forza violentemente drammatica e passionale in un impasto di turbamento e paura, di sensualità e dolore che fanno della giovane donna la protagonista assoluta dell'opera, a cui si contrappone un Paolo meno complesso e sfaccettato, che è soprattutto l'espressione di una irrefrenabile passione amorosa.
Al personaggio di Gianciotto, che ha il compito di esprimere un'atmosfera arroventata e truce, furiosa e violenta, si contrappone quello di Malatestino, forse la figura teatralmente più convincente inventata da D'Annunzio, disegnata in modo originale nella tragedia e ripresa efficacemente nell'opera di Zandonai. In Malatestino si fondono elementi sensuali, sarcastici e sadici che ricordano la “crudeltà ” tipica degli Elisabettiani (soprattutto Ford e Webster), mentre il personaggio, collocato in un costante clima di odio, di sensualità e di irosa voglia di vendetta, domina con la sua cupa personalità la scena prima e terza del quarto atto.
Nel primo atto l'azione si svolge nella casa dei Da Polenta a Ravenna, dove il signore della città Guido, per stringere un patto di alleanza con i Malatesta signori di Rimini, ha deciso di dare in sposa la propria figlia Francesca al rozzo Gianciotto “lo sciancato”. Per far accettare la cosa alla giovane le si è fatto credere che lo sposo sia il fratello Paolo “il bello”, di cui Francesca si è innamorata avendolo visto dalla finestra della sua stanza. Solo la sorella Samaritana, colta da un oscuro presentimento, la prega piangendo di non sposarsi. Nel secondo atto è in svolgimento la guerra fra i guelfi Malatesta e i ghibellini Parcitadi. Paolo si sta battendo coraggiosamente sugli spalti del castello, dove lo raggiunge Francesca. In una pausa dello scontro la fanciulla rimprovera Paolo per averla ingannata, ma poi lo soccorre con amorosa pietà temendo che sia stato ferito. Arriva sugli spalti anche Gianciotto che, per lodare il valore del fratello, propone un brindisi durante il quale Paolo e Francesca si scambiano intenso sguardi carichi di amore. Sopraggiunge Malatestino, il minore dei tre fratelli, che viene medicato perchè è stato ferito ad un occhio, quindi riprende la battaglia tutti si gettano nella mischia. Nel terzo atto Francesca sta nei suoi appartamenti intenta a leggere delle storie d'amore e ad ascoltare delle canzoni, quando la schiava Smaragdi introduce nella stanza Paolo che ritorna da un lungo viaggio e che subito dichiara alla donna tutto il suo amore. I due leggono le storie di Lancillotto e Ginevra e i loro visi sono sempre più vicini. Quando Lancillotto rivolge alla regina appassionate parole d'amore, Paolo interrompe la lettura e bacia appassionatamente Francesca. All'inizio del quarto atto Malatestino insidia Francesca, poichè prova verso la cognata una violenta attrazione sessuale, ma lo donna lo respinge con sdegno. Malatestino le rivolge allora delle minacce, quindi esce sconvolto per sfogare la sua furia uccidendo un prigioniero che urla di dolore nelle prigioni del castello. Mentre Francesca si lamenta con il marito per le insidie del cognato, questi rientra con la testa mozzata sl prigioniero, per cui la giovane fugge inorridita. Quando Gianciotto rimprovera il fratello, questi per ritorsione gli dice che Paolo e Francesca sono amanti. Gianciotto, sconvolto da furore, decide di scoprire la tresca e tende un tranello ai due amanti fingendo di partire per Pesaro. Nel corso della notte, egli sorprende Paolo nella stanza di Francesca, nonostante il giovane cerchi attraverso una botola, rimanendo però impigliato con il mantello. Gianciotto si precipita per il fratello con la spada, ma colpisce a morte Francesca che si frapposta tra i due, allora anche Paolo si lascia abbattere dai colpi di Gianciotto.
Francesca da Rimini debutterà allo Sferisterio il 24 luglio con una messa in scena a cura di Massimo Gasparon che firma la regia, le scene e i costumi, mentre la direzione dell'orchestra è affidata al maestro Maurizio Barbacini. Gli interpreti principali sono il soprano Daniela Dessì (Francesca), il tenore Fabio Armiliato (Paolo) e il baritono Alberto Mastromarino (Gianciotto), lo stesso cast che ha recentemente eseguito questo melodramma al Teatro dell'Opera di Roma.

Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi
Katia Ricciarelli, parlando del Simon Boccanegra, ha affermato che si tratta di “un'opera di grandi emozioni, con arie memorabili, che Verdi compose nel pieno della maturità , dopo la trilogia popolare (Rigoletto, Il trovatore, La traviata) e prima di Un ballo in maschera E' un'opera importante, con personaggi torniti con intenso lavoro psicologico, emblematica ed attuale per i suoi temi etici”. Questo melodramma non ha avuto agli inizi molta fortuna a cominciare dalla prima veneziana del 1857, a cui seguirono altri insuccessi, che sono da attribuire al non felice libretto scritto da Francesco Maria Piave, alla difficoltà del pubblico di accettare un'opera in cui le parti di protagonisti sono affidate ad un baritono (Simon Boccanegra) e a un basso (Jacopo Fiesco), con il tenore e il soprano ridotti al ruolo di comprimari, alla vicenda particolarmente intricata tratta dall'omonimo dramma dello spagnolo Antonio Garcia Gutierrez. Nel 1881 l'editore Ricordi propone a Verdi di revisionare l'opera, affidando la riscrittura del libretto ad Arrigo Boito che aveva già messo in evidenza le sue capacità di librettista. Da quel momento il melodramma ha ottenuto un pieno successo anche se non ha mai conquistato il pieno favore popolare. Nell'ultima stagione lirica vi è stato un vero proprio revival dell'opera che è andata in scena al Teatro Regio di Torino, al Teatro Verdi di Trieste, al Teatro Regio di Parma ed ora allo Sferisterio di Macerata, dove debutterà il prossimo 31 luglio.
Il Simon Boccanegra segna una fase di transizione della drammaturgia e del linguaggio verdiano che, dopo la “Trilogia popolare”, vede il compositore spinto a cercare nuove strade come dimostra questa opera, dove i confini fra recitativi e arie sono più sfumati, le scene corali assumono un rilievo particolare al pari di molti duetti, la strumentazione risulta più elaborata tanto che alcuni passi di grande interesse sono orchestrali. La vicenda amorosa è posta in secondo piano rispetto alle tematiche politiche e sociali, basti pensare al celebre brano Plebe! Patrizi, Plebei! in cui il Doge di Genova Simone Boccanegra affronta il tema della pace e della riconciliazione (in esso si avverte la mano felice di Arrigo Boito). Il destino futuro della Repubblica di Genova sembra giocarsi nel lungo Prologo che costituisce l'antefatto della vicenda, che si svolge invece a 25 anni di distanza. Siamo di fronte ad un grande affresco sociale di una Genova di tipo medioevale, dove si respira il vasto afflato del mare e dove si svolge una storia di congiure e rivolte popolari, di violenza e di lotta per il potere nelle piazze e nell'oscurità dei palazzi, tra maledizioni e atti di generosità , fra odio e perdono con la composizione finale dei conflitti di fronte alla struggente maestosità di una morte annunciata. Fin dal prologo si coglie il valore musicale dell'opera che sfocia nella celebre aria per basso “Il lacerato spirito”, seguita dal primo scontro-duetto tra Simone e Fiesco “Del mare sul lido” e si conclude con il coro “Doge, il popol t'acclama”, una marcetta che ci riporta al Verdi più convenzionale. Altri passi rilevanti sono l'aria di Amelia “Come in quest'ora bruna” che apre il primo atto, l'aria del tenore “Cielo di stelle orbato” e il duetto Amalia-Gabriele “Vieni a mirar la cerula marina tremolante”. Da segnalare sono anche il duetto Gabriele-Fiesco “Vieni a me, ti benedico”, il duetto Amalia-Simone, il coro a bocca chiusa che sprigiona una grande suggestione, il già ricordato discorso sulla pace e la maledizione conclusiva. Nel secondo atto hanno particolare rilevanza il duetto Paolo-Fiesco, l'aria di Gabriele, tipico brano melodrammatico per tenore suddiviso in due parti (“Sento avvampar nell'anima” e “Cielo pietoso, rendila”), il duetto Amelia-Gabriele e il terzetto Amelia-Gabriele-Simone. Il terzo atto è una grande scena senza soluzione di continuità con un nuovo incontro-scontro fra Simone e suoi due avversari Fiesco e Paolo, con il Doge che si prepara ad affrontare la morte, mentre un coro femminile fuori scena descrive la celebrazione del matrimonio fra Amelia e Gabriele.
La vicenda particolarmente complessa ha inizio con il Prologo, che si svolge a Genova nel 1339. Il filatore d'oro Paolo Albiani e il popolano Pietro, rappresentanti della plebe, parlano dell'elezione del Doge e sostengono la candidatura del corsaro Simone Boccanegra, il quale incontra il nobile Jacopo Fiesco a cui chiede di non opporsi alle nozze riparatrici con la figlia Maria, dalla quale il corsaro ha avuto una figlia. Fiesco gli annuncia la morte della giovane e chiede di avere in consegna la nipotina, ma Simone deve rivelare che piccola (anch'essa di nome Maria) è misteriosamente scomparsa da alcuni giorni e questo accresce l'odio del nobile genovese nei suoi confronti. Nel frattempo giungono le voci che acclamano Simone Doge di Genova.
Il primo atto ha inizio 25 anni dopo con l'incontro tra Amelia Grimaldi (che non sa di essere Maria Boccanegra, figlia di Simone) e Gabriele Adorno, principale artefice del complotto che si sta organizzando contro il Doge. La fanciulla chiede di pensare al loro amore, poichè il Boccanegra si sta dirigendo verso Palazzo Grimaldi per chiedere la sua mano per il pretendente Paolo Albiani, il cortigiano favorito del Doge; Gabriele deve pertanto affrettarsi a chiederla in sposa al suo tutore Andrea Grimaldi (che in realtà è Jacopo Fiesco), il quale è disposto a dare il proprio consenso alle nozze, ma avvisa Adorno che la ragazza è un'orfana e non una Grimaldi. Sopraggiunge il Doge che riconosce nella giovane la propria figlia e che, avendo saputo dell'avvenuto fidanzamento, impone a Paolo di rinunciare alla sua richiesta di matrimonio. Il cortigiano furibondo medita di rapire la ragazza. Nella sala del consiglio il Doge, di fronte ai rappresentanti dei nobili e dei plebei, pronuncia il suo discorso sulla pace fra Genova e Venezia. La scena è interrotta dall'ingresso di Gabriele Adorno che viene condotto dal popolo di fronte al Doge per aver ucciso l'usuraio Lorenzino. Il giovane, il quale ha compiuto questo delitto per liberare Amelia che era stata rapita, racconta quanto è accaduto e sostiene che il rapimento è stato organizzato da un uomo “importante” della corte del Doge, ma Lorenzino non ha fatto in tempo a rivelare il nome del mandante. Quindi il giovane si scaglia contro il Doge, ma Amelia si interpone fra i due e dichiara, guardando fisso negli occhi Paolo, che l'autore del misfatto è un'altra persona. Simon Boccanegra impone a Paolo di maledire il colpevole.
Nel secondo atto l'azione si sposta nel Palazzo Ducale. Paolo, che nel frattempo ha versato nel bicchiere di Simone un veleno ad effetto ritardato, si reca nella prigione dove sono rinchiusi Gabriele e Fiesco ed incita il giovane ad uccidere il Doge, facendogli credere che egli è l'amante di Amelia. Sopraggiunge la giovane per convincere Gabriele che il suo rapporto con il Doge è di altra natura. Gabriele, all'arrivo di Simone, si nasconde, mentre il Doge confida alla figlia l'esistenza di una congiura in cui è coinvolto anche il giovane Adorno, ma Amalia invoca il perdono per il suo innamorato. Rimasto solo, Simone beve l'acqua avvelenata da Paolo e si addormenta. Gabriele vorrebbe approfittare della situazione per uccidere il vecchio, ma viene fermato da Amelia che lo richiama al senso dell'onore. Simone risvegliatosi rivela a Gabriele di essere il padre di Amelia e il giovane offre la sua spada per sconfiggere i congiurati.
Nel terzo atto la rivolta dei nobili viene sedata e Simone perdona tutti i colpevoli meno Paolo il quale, mentre viene condotto al patibolo, confida a Fiesco di aver avvelenato il Doge che è ormai in fin di vita e che guarda con tristezza e nostalgia il mare dove ha trascorso la sua giovinezza. Simone riconosce che Andrea Grilaldi e Fiesco sono la stessa persona e a questo fantasma riemerso dal passato rivela che Amalia-Maria è la nipote da lui tanto desiderata. I due si riconciliano con il rammarico che il tradimento di Paolo sta portando Simone alla morte. Sopraggiungono Gabriele e Amelia, alla quale Simone svela la sua parentela con Fiesco; prima di spirare indica Gabriele Adorno come suo successore alla carica di Doge. Fiesco annuncia la notizia al popolo genovese.
Il Simone Boccanegra andrà in scena il 31 luglio sotto la direzione del maestro Carlo Palleschi, mentre l'esperto Beppe Tommasi firma regia, scene e costumi. Va infine segnalata alta qualità del cast a cominciare dal baritono Carlo Guelfi (Simone Boccanegra), considerato oggi il maggiore interprete in questo ruolo; al suo fianco troviamo il basso Riccardo Zanellato (Fiesco-Grimaldi), il soprano Amarilli Nizza (Amelia-Maria) e il tenore Carlo Ventre (Gabriele Adorno).

(Alberto Pellegrino)
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Dall'Ufficio Stampa: curiosità , calendario, le altre iniziative

Novità e modernità per la 40. Stagione Lirica 2004: il cartellone di MacerataOpera rivoluziona i gusti delle arene estive e si prepara ad accogliere il pubblico in una veste totalmente rinnovata. Un restyling strutturale dello Sferisterio ha interessato il consolidamento del lungo muro del palcoscenico, la costruzione di una passerella per l'impianto di illuminazione e di alcune strutture di servizio (scale laterali che collegano platea e gradinata, nuove ringhiere protettive). Ma l'attesa di tutti si focalizza nelle annunciate e tanto attese nuove sedie realizzate dalla Poltrona Frau. Il Centro Ricerche e Sviluppo della prestigiosa azienda di Tolentino ha realizzato le nuove poltrone dell'Arena nel pieno rispetto dell'architettura neoclassica
di cui ha mantenuto e valorizzato la squisita eleganza; 2005 poltrone per lo spazio di platea e 452 poltroncine per i palchi che garantiscono comfort e il necessario isolamento acustico.

Per celebrare la 40. Stagione Lirica, una Serata di Gala, il 18 luglio, ricorderà i beniamini del teatro lirico mondiale che hanno fatto la storia del nostro Teatro; la manifestazione, ripresa da Rai Tre, sarà condotta da Pippo Baudo e rientra nelle iniziative dei Cinquant'anni della Rai . Tra gli ospiti i cantanti impegnati nelle opere in cartellone e grandi artisti del teatro d'opera.

Le scelte di Katia Ricciarelli mirano a coinvolgere un pubblico nuovo e curioso.Tre nuove produzioni che ben si adattano alla suggestione dell'Arena: fantastica e visionaria Les contes d'Hoffmann di Jacques Offenbach,
per la prima volta a Macerata (17 e 25 luglio 5 e 8 agosto); affascinante e romantica Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai (24 luglio 1, 6, 13 agosto); solenne e riconciliante Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, assente dal 1978 dal cartellone maceratese (31 luglio 4, 7, 12, 14 agosto). Opere che richiedono cast vocali eccezionali ed allestimenti di grande ingegno visivo. La loro messa in scena è stata affidata al disegno coerente e globale di tre registi, anche scenografi e costumisti: Pier Luigi Pizzi (Les contes d'Hoffmann), Massimo Gasparon (Francesca da Rimini) e Beppe De Tomasi (Simon Boccanegra). Tra i protagonisti:Vincenzo La Scola, Dèsirèe Rancatore,Sara Allegretta,Annalisa Raspagliosi,Ruggero Raimondi
(Les contes d'Hoffmann); Daniela Dessì, Alberto Mastromarino, Fabio Armiliato (Francesca da Rimini); Carlo Guelfi,Amarilli Nizza e Riccardo Zanellato (Simon Boccanegra). Le opere saranno dirette rispettivamente da Frèdèric Chaslin, Maurizio Barbacini e Carlo Palleschi alla guida dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana e
del Coro Lirico V. Bellini preparato da Carlo Morganti.

La collaborazione di MacerataOpera con il Festival Terra di Teatri promosso dalla Provincia di Macerata ha creato negli anni spettacoli straordinari, frutto di una programmazione moderna e intelligente, premiata quest'anno con il Premio Speciale Franco Abbiati assegnato a El Cimarrà n di Hans Werner Henze, andato
in scena nel 2003 al Teatro delle Pietre di Appignano, per l'ideazione e la regia di Henning Brockhaus, lo spazio scenico di Benito Leonori, le qualità gestuali e musicali di Zelotes Edmund Toliver . Seguendo questa tradizione, il Festival Terra di Teatri con la Rassegna di Nuova Musica in collaborazione con MacerataOpera, il 30 luglio portano in scena Ricordo di Luciano Berio al Teatro G.B. Velluti di Corridonia. Partecipano Edoardo Sanguineti, Rohan de Saram, Stefano Scodanibbio, presenti alla serata Talia Pecker-Berio ed i figli del maestro.

Infine, dal 9 luglio al 15 agosto, la mostra di disegni, fotografie e modelli di Ireneo Aleandri, allestita nel salone dello Sferisterio, che ha come obiettivo quello di rivisitare e ricordare l'architetto che progettò lo Sferisterio, considerato il suo capolavoro ed uno dei primi, paradigmatici e più significativi modelli di architettura purista neoclassica.


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