La Tosca degli angeli


Alberto Bazzano

28 Ago 2005 - Commenti classica

Nel 1986 Jonathan Miller curò la messinscena fiorentina della Tosca di Puccini al 49 Maggio musicale. Lo spettacolo, ancor oggi ricordato, destò perplessità e attirò su di sè numerose critiche. La scelta di trasferire l'azione dell'età napoleonica alla primavera del 1944, epoca dell'occupazione nazi-fascista a Roma, non piacque. Come non piacque l'idea di fare di Cavaradossi un intellettuale della Resistenza e di Scarpia il capo dell'O.V.R.A. Si disse che, così operando, i precisi riferimenti storici contenuti nel libretto avrebbero perso di significato. Lo spostamento temporale della vicenda apparve, poi, maggiormente arbitrario con riferimento a Tosca, opera appartenente all'area tematica del Verismo. In un'ottica verista, infatti, l'ambientazione è fondamentale e coinvolge sempre le scelte del linguaggio musicale. Basti pensare, in tal senso, a precise ricostruzioni sonore presenti in varie opere: allo stornello toscano inserito nel Gianni Schicchi, all'inno in lode di Robespierre nell'Andrea Chènier, alla melodia alsaziana nell'Amico Fritz o, con riferimento all'opera di cui si tratta, all'esatta intonazione del campanone di S. Pietro voluta da Puccini nella descrizione dell'alba romana. In verità , il lavoro di Miller non è poi così dissacrante come sostenuto. Esso lascia inalterato proprio il nucleo centrale della vicenda, il tema di fondo della Tosca pucciniana: il meccanismo del potere, violento e corrotto, sullo sfondo di Roma caput orbis. Il tema portante risulta addirittura amplificato nel riferimento ad una dittatura a noi più prossima, il cui orrendo evolversi è fisso nella memoria collettiva.
Ben diversamente sono andate le cose nell'edizione di Tosca in programma quest'anno allo Sferisterio di Macerata. Il regista Antonio Latella, coadiuvato dalla scenografa Emanuela Pischedda, ha battuto una strada singolare. Abbandonando, o meglio, ponendo nell'ombra, quello che abbiamo definito essere il nucleo centrale della vicenda, ha accordato rilievo a taluni aspetti, normalmente trascurati, ma ritenuti nella sua visione significativi. Ad attrarre Latella è soprattutto l'atmosfera sacra che percorre l'opera. Ma anche il senso di trasparenza. Per realizzare il suo intento è ricorso a calici di vetro. L'intero palco era occupato da questi oggetti. Un'immensa distesa delimitava il confine degli ambienti posti fuori scena (la cappella degli Attavanti, il luogo delle sevizie a Cavaradossi), disegnando, nell'insieme, la forma di un imponente occhio. Un grande specchio ovale, sensibilmente inclinato chiara citazione della Traviata firmata Svoboda rifletteva, invece, i tratti di un volto femminile, quello della Maddalena-Attavanti dipinta da Cavaradossi nella chiesa di Sant'Andrea. Anche questo volto era realizzato attraverso la combinazione dei calici. Nessun elemento però evocava la chiesa di Sant'Andrea della Valle, nè altra chiesa romana. Parimenti, nessun elemento faceva pensare a Palazzo Farnese o a Castel Sant'Angelo. Lo spazio scenico di Latella è uno spazio neutro, all'interno del quale Roma rivive a livello simbolico. à mero presupposto dell'azione. In primo piano ci sono i soggetti con le loro vicende. Accanto a loro, la Madonna e gli angeli, presenze metafisiche rese insolitamente tangibili ed operanti. Esse intervengono nella rappresentazione soffrendo e palpitando, sostenendo e confortando i protagonisti. Talora affliggendoli. à il caso degli angeli torturatori , dalle ali fatte di coltelli e non di piume. Quelli che nel secondo atto straziano Cavaradossi; quelli che forniscono a Tosca l'arma per l'omicidio di Scarpia. Sembianze di angelo torturatore presenta anche l'imponente angelo della morte che, in costume adamitico, troneggia nell'intero terzo atto. La sua presenza ha un sapore apocalittico, di grande suggestione. Sono molti i nudi cui ricorre Latella. Molti si trovano nella scena più discussa dell'opera: all'inizio del terzo atto, durante la descrizione dell'alba romana, la Madonna diviene la protagonista di un parto multiplo . Ci siamo domandati il senso della scena. Si tratta un richiamo all'amore e alla vita in un atto ampiamente pervaso da un'atmosfera di morte. In questo punto, però, il pensiero del regista si sovrappone alle indicazioni della musica. L'alba romana, nell'idea pucciniana, non è un ambiente neutrale, bensì connotato dalla presenza spettrale di Scarpia, il cui il tema musicale, scomposto e variato, fa capolino fra le pieghe della partitura. Ora, il senso della vita e dell'amore, che si evincono dal parto della Madonna, ben poco hanno a che fare con il ruolo svolto da Scarpia. Scarpia è l'emblema della forza, del potere violento e oscurantista. Puccini mette in relazione questo tema all'immagine della Chiesa. Lo fa con una serie di accordi che riaffiorano ossessivamente. Fede e potere sono le facce della stessa medaglia. Entrambe fanno capo alla figura del barone. Di questo personaggio Cavaradossi offre una definizione rivelatrice nell'invettiva del primo atto: Scarpia?! Bigotto satiro fa il confessore e il boia! . Il sacro è assunto nella Tosca in una dimensione esteriore e rituale. Nulla a che fare con la spiritualità autentica, con la purezza del sentire. Ad una certa ritualità sono pure improntati i gesti di Tosca, anch'ella appartenente alla medesima Roma di Scarpia – si vedano, in argomento, le puntuali osservazioni di Michele Girardi nel libro Giacomo Puccini. L'arte internazionale di un musicista italiano, Venezia, 1995, p. 149 s. . Per Latella, invece, il sacro veicola un messaggio autentico. Egli lo pone in primo piano nella suggestiva tangenza tra la sfera dell'umano e quella del divino. Mentre il Miller dell'edizione fiorentina, salvaguardando il tema cruciale della vicenda, è un interprete in fondo fedele della Tosca pucciniana, Latella, per contro, muovendosi su di un piano in gran parte parallelo, è l'artefice di una visione originale, personalissima, nel complesso coerente e non priva di forza seduttiva. Meglio, in definitiva, questo lavoro che tante anonime calligrafiche ricostruzioni che sortiscono il solo effetto di fare dormire lo spettatore.
Dal punto di vista squisitamente musicale lo spettacolo si è dipanato nell'alveo di una decorosa routine. Carlo Palleschi è un direttore che conosce a fondo Puccini, ma questa volta la sua lettura non conquista. Non convincono i tempi imposti all'orchestra, troppo larghi e dilatati. Non convince il suono, spesso scarno e privo di mordente.
Francesca Rinaldi è una Tosca sostanzialmente corretta. La voce è piccola per la parte, ma la cantante sopperisce alla lacuna con una recitazione pregnante. I migliori risultati li ottiene nei momenti di effusione lirica: nel duetto con Cavaradossi del primo atto e in alcuni passaggi del terzo. Il Vissi d'arte , povero di sfumature nelle battute conclusive, non entusiasma ma nel complesso è più che accettabile.
Cristiano Olivieri avrebbe tutte le carte in regola per svolgere un'ottima prova: phisique du rà le, temperamento fiammeggiante, timbro dovizioso e denso. La linea del canto è larga e generosa. E non mancano le buone intuizioni interpretative. L' addio alla vita , ad esempio, è eseguito con abbandono e discreta filatura sul primo la naturale acuto. Purtroppo e qui sta il vero problema la voce balla vistosamente su gran parte dell'estensione, finendo col compromettere seriamente la resa del canto.
Alessandro Paliaga, invece, si impone all'attenzione come ottimo professionista. Disegna uno Scarpia altero e aristocratico, gelido e terrificante. L'emissione è sorvegliata, insinuante, senza discontinuità fra i registri. Buoni anche i risultati ottenuti dal sagrestano Domenico Colaianni, dall'Angelotti Francesco Palmieri e dallo Spoletta Francesco Zingariello. Completavano la locandina Ugo Gagliardo (Sciarrone), Arturo Cauli (carceriere) e Elisa Scarponi (pastore).

(Alberto Bazzano)


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *