La bellissima “Bohème” progetto opera-film di Martone


di Alberto Pellegrino

15 Apr 2022 - Commenti classica

Mario Martone conclude il suo progetto di opera-film con una bellissima e coinvolgente Bohème esaltata da una originale ambientazione. Produzione del Teatro dell’Opera di Roma e di Rai Cultura.

(Fotografie di Fabrizio-Sansoni – Opera di Roma)

Mario Martone ha concluso la sua “trilogia pandemica”, prodotta dal Teatro dell’Opera di Roma e da Rai Cultura, con La Bohème di Giacomo Puccini, realizzando il progetto più creativo e innovativo dal teatro musicale italiano con l’invenzione di un nuovo linguaggio denominato “opera-film”, che fonde insieme teatro, cinema e melodramma. Si è trattato di tre regie originali, omogenee e nello stesso tempo differenti per le condizioni operative e le occasioni in cui sono state realizzate, ma tutte legate a meravigliosi personaggi femminili: Rosina orgogliosa e desiderosa di libertà e indipendenza; Violetta la cortigiana redenta dall’amore fino al sacrificio di se stessa; Mimì piena di incantevole e attraente dolcezza. Nell’ultimo allestimento si è notata la diversità del progetto registico di Martone, il quale ha curato anche le scene, avvalendosi dell’importante contributo fornito dagli accurati costumi di Anna Biagiotti e dalle suggestive luci di Pasquale Mari che è stato il direttore della fotografia.

L’importanza di un’operazione culturale offerta dal servizio pubblico della comunicazione

Il Barbiere di Siviglia è stato realizzato nel dicembre 2020 con i teatri chiusi per la seconda ondata della pandemia e La Traviata è andata in scena nel febbraio 2021, quando le sale cinematografiche e i teatri erano ancora vuoti ma con una speranza che era alimentata dalla speranza dell’iniziale campagna di vaccinazione. La Bohème è stata invece trasmessa in una fase di semilibertà con la riapertura di cinema, teatri e luoghi di ritrovo e questo può in parte giustificare una flessione di pubblico (564 mila spettatori, 2,7 per cento di share), sia rispetto al Barbiere di Siviglia (640 mila spettatori, 4 per cento di share), sia rispetto alla Traviata (967 mila spettatori, 3,9 per cento di share). In ogni caso RaiTre ha fatto una straordinaria e sofisticata operazione culturale, offrendo a quel pubblico che l’ha saputa cogliere, l’occasione di vivere un nuovo modo di concepire il teatro in musica, di seguire  un’operazione che, attraverso la tecnica cinematografica, si è proposto di  dare nuova linfa vitale all’opera lirica che, in questo modo, ha usufruito del linguaggio cinematografico e teatrale per suggerire sia una chiave interpretativa meta teatrale, sia una chiave di lettura del cinema nel cinema.

L’originalità della messa in scena di Mario Martone

Martone si allontanato dalle precedenti produzioni ambientate nella platea, nei palchi, nel palcoscenico e nel retropalco del Teatro dell’Opera di Roma per occupare, con immagini di grande forza comunicativa, uno spazio scenico “negato” alla sua naturale funzione, dandogli un uso completamente diverso. E questo è il primo elemento innovativo, visto che altri autori hanno portato l’opera lirica sullo schermo cinematografico (si pensi alla Traviata e all’Otello di Zeffirelli) o su quello televisivo come l’appuntamento annuale della prima alla Scala, l’ultima Traviata trasmessa dal Teatro Bellini di Catania, le tre opere “televisive” Rigoletto, Traviata e Tosca, ambientate rispettivamente a Mantova, Parigi e Roma e realizzate con un’impresa spettacolare e altamente tecnica. Ma in ogni caso si è sempre trattato di melodrammi filmati.

Martone ha realizzato, al contrario, qualcosa di nuovo e di unico, perché – come ha spiegato – non si è trattato di fare “un film d’opera. Ma un’opera film. Cioè non c’è una basa sulla quale si fa il cinema. Qui si canta per davvero. C’è una performance in piena regola. È stato folle perché nel poco tempo che avevamo dovevamo catturare l’energia che c’è in una recita a teatro dal vivo e farne cinema”; inoltre “volevamo far vedere il teatro in tutti i suoi aspetti. Non nascondiamo nulla, non stiamo fingendo. È un modo per spiegare che il teatro ha un mondo dietro a quello che vedono gli spettatori».

Per questa complessa operazione Martone ha scelto una particolare location, poiché le riprese sono state quasi integralmente effettuate nel vasto fabbricato fine Ottocento che in Via dei Cerchi ospita i laboratori scenografici e sartoriali, nonché il grande magazzino delle scene e dei costumi del Teatro dell’Opera, arricchito da una vasta terrazza che si affaccia sull’Aventino e sul Circo Massimo, dove nel giugno 2020 Damiano Micheletto ha realizzato un Rigoletto non del tutto riuscito sotto il profilo registico e per il discutibile impiego del mezzo cinematografico. 

Il set più importante e più affascinante è stato ricavato nell’enorme salone dell’edificio tutto circondato da ampie vetrate, nel quale ha preso posto l’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Nello stesso spazio è stata ambientata la soffitta dei quattro giovani artisti, luogo deputato nel quale si apre e si chiude il capolavoro pucciniano. Una novità assoluta è stata la presenza in scena della cameretta di Mimi con il letto dove si è completato il duetto d’amore tra i due protagonisti. Tutti gli elementi scenici sono stati ridotti al minimo richiesto dall’azione: “ruderi” di vecchie scenografie, antichi manifesti cinematografici incollati alle pareti, attrezzi e macchinari di falegnameria e di sartoria.

L’ambientazione storica della vicenda e i richiami al cinema d’autore

Il regista ha immaginato che la vicenda si svolgesse negli anni Sessanta (citati anche dalla pittura astratta che Marcello crea come sua vera ispirazione tra un paesaggio e l’altro), rappresentando un tipo di società storicamente segnata dalla povertà, felicità, speranze e amare disillusioni di una gioventù irriducibile e per certi versi tragica. Non è stato fatto nessun richiamo al Neorealismo cinematografico, ma piuttosto si sono introdotte delle citazioni relative alla Nouvelle vague parigina con particolari riferimenti a Truffaut (soprattutto i cromatismi di Effetto notte), a Godard con il manifesto del film Bout de souffle e con la presenza in scena di una vecchia copia dei Cahiers du Cinema per meglio contestualizzare una drammaturgia musicale che non ha mai tradito la splendida musica pucciniana e il bellissimo libretto di Illica e Giacosa. Infatti, Martone ha detto: “Ho voluto raccontare la storia, o per meglio dire, la vita dei personaggi di Bohème come un film della Nouvelle vague: giovinezza, amicizia, sogni, ribellione, tradimenti, amore. Ed è incredibile quanta energia possa sprigionare ancora oggi un’opera scritta più di centoventi anni fa”.

La maggiore innovazione si è avuta nei due atti centrali dell’opera ampiamente ambientati all’interno del Caffè Momus con opportune aperture verso l’esterno.  Per realizzare la scena del Quartiere Latino, Martone ha fatto ricorso al trasferimento in automobile dei tre amici, mentre Rodolfo e Mimì si sono incamminati amoreggiando per le strade e i vicoli di Roma. La riunione del gruppo di amici e la relativa festa sono stati collocati all’interno, compresa la celebre scena di seduzione di Musetta racchiusa tra il bancone e i tavoli del caffè.

La regia ha eliminato le scene di massa con l’unica eccezione di un richiamo ai giocattoli di Perpignon rappresentato da alcuni bambini che giocavano tra i leggii vuoti dell’orchestra, mentre la rissa dei venditori ambulanti, le feste popolari e le parate militari sono state lasciate all’immaginazione degli spettatori guidati dalla musica pucciniana.

Il Coro del Teatro dell’Opera, diretto dal M° Roberto Gabbiani, è stato protagonista soltanto del secondo “quadro”, ma ha cantato in abito da sera all’interno della fabbrica e spesso “fuori scena”. L’atto si è concluso nella cameretta di Mimì, dove si era svolta la parte conclusiva del duetto d’amore con un amplesso di delicato e contenuto erotismo, come risposta alle precedenti avance di Rodolfo e all’ambigua, maliziosa risposta di Mimì (R. Sei Mia/M. V’aspettan gli amici/R. Già mi mandi via? …Sarebbe così dolce resta qui…C’è freddo fuori/M. Vi sarò vicina/R. E al ritorno? /M. Curioso!). 

Con una serie di rapide riprese notturne in esterno ha avuto inizio il terzo atto dinanzi alla Barriera d’Enfer e sotto una fitta nevicata, con l’uscita dall’edificio degli spazzini, con l’arrivo dei doganieri, delle lattaie e delle erbivendole. Martone ha mostrato il set, già sistemato con le macchine che fabbricavano la neve e le cineprese disposte dinanzi all’ingresso del magazzino con davanti un ampio quadrato innevato, facendo una chiara citazione da Truffaut (Effetto notte) di un cinema che si guarda allo specchio e ci vede riflessa anche l’opera lirica. Mimì è arrivata a piedi dal Circo Massimo per un primo incontro con Marcello, seguito dal drammatico incontro-scontro dei due amanti che decidono di rimanere insieme fino “alla stagion dei fiori” in uno dei momenti più alti e poetici di tutta l’opera. Il quarto atto ha avuto un inizio brillante con i quattro amici che scherzano e ballano sul terrazzo della fabbrica per poi virare verso la coinvolgente ed emozionante tragedia finale.

Il valore degli interpreti e della direzione musicale

Martone ha lavorato molto sul piano della recitazione, pretendendo dai suoi attori-cantanti il massimo della credibilità dei vari personaggi attraverso una prova caratterizzata dalla semplicità e dalla spontaneità. La bella Federica Lombardi è stata una poetica, deliziosa, dolcemente sensuale Mimì, senza smancerie sentimentaloidi ma con una vocalità intensa e raffinata, dando il meglio di sé nel terzo e quarto atto. Il giovane tenore cileno Jonathan Tetelmanè stato un Rodolfo generoso e impetuoso, dotato un ottimo registro vocale e di un eccellente fraseggio. Il soprano moldavo Valentina Naforniƫă ha interpretato una vivace e sensuale Musetta con una forte partecipazione emotiva nel quarto atto, mentre i tre amici di bohème, Marcello (Davide Luciano), Schaunard (Roberto Lorenzi) e Colline (Giorgi Manoshvili), sono apparsi delle ottime spalle dei due protagonisti con un’appropriata vocalità. L’Orchestra del Teatro dell’Opera (che può essere considerata una delle migliori sulla scena lirica italiana) è stata una protagonista spesso richiamata in scena per sottolineare la centralità della musica. Il complesso ha fornito una prova di notevole efficacia espressiva grazie anche alla direzione del M° Michele Mariotti, il quale ha dichiarato: “La Bohème è un’opera piena di morte perché piena di vita, i cui protagonisti esprimono gioia di vivere e paura di affrontare le responsabilità che la vita presenta”. Il direttore pesarese ha interpretato l’opera con un fraseggio asciutto che ha messo in evidenza tutte le sfumature dello spartito, dando un particolare rilievo a quei motivi musicali che hanno un significato simbolico-descrittivo e sono collegati a un determinato personaggio, a una situazione, a un oggetto, a un sentimento. Ha inoltre curato i tanti sviluppi tematici che danno un senso di continuità all’intera opera, poiché Puccini ha fatto spesso ricorso a temi più o meno invariati e che sono facili da riconoscere.

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