Keith Jarrett incanta le Muse


Fabio Bonso

29 Lug 2003 - Commenti live!

Ancona – Incredibile serata quella vissuta domenica 27 al teatro delle Muse di Ancona per il concerto di Keith Jarret accompagnato per l'occasione da altrettanti maestri del jazz contemporaneo come Gary Peacock e Jack Dejohnette, approdati per l'occasione a chiudere la stagione organizzata da Ancona Jazz. Già la cornice di pubblico (teatro esaurito da parecchi giorni) dava un tocco di originalità all'evento, dimostrando come oramai il jazz ha raggiunto una dimensione extra colta e per addetti ai lavori che lo caratterizzava fino a pochi anni fa. All'apertura del sipario si capiva che l'atmosfera della serata sarebbe stata particolare, nel momento in cui i tre protagonisti sono entrati in scena: con estrema pacatezza e leggerezza, senza nulla concedere al pubblico entusiasta, si sono accomodati ai rispettivi strumenti e agli ordini di Jarret molto concentrato e intimista, hanno iniziato il concerto delicatamente sulle note di standard jazzistici e composizioni del pianista. Subito si resta estasiati della tecnica straordinaria di Jarret, in cui le sonorità si accompagnano alla dinamica incredibile del tocco, attraversato da momenti ritmici e di gioco sulla tastiera che avvolgono chi lo ascolta in un'atmosfera di rarefatta bellezza. Anche nei momenti più lirici e pacati del concerto la musica esce con la delicatezza di una piuma a sfiorare le corde (sia del piano che sensoriali) con una sensibilità di profonda emozione. Tutto il concerto assume un alone di rito collettivo, dove i sacerdoti del culto jazzistico celebrano con momenti di rara purezza la congiunzione tra l'estetica e l'anima della musica. Jarret può essere definito oramai uno dei maggiori maestri del piano e degno continuatore dei grandi del passato. Un pianista che riesce a trascendere la sua prodigiosa tecnica, raggiungendo ai nostri giorni la piena maturità artistica. Anche in questo concerto si ascolta un Jarret forse meno energetico di un tempo, ma più essenziale nell'approccio al materiale musicale e più asciutto nelle esecuzioni. Indubbiamente il contributo dei due comprimari, Gary Peacock e Jack Dejohnette, può essere definito a ragione un tocco di classe, dando al concerto quella completezza d'insieme capace di creare la giusta raffinatezza di suoni tra il piano, il contrabbasso e la batteria, a suggello di un lungo affiatamento del gruppo che risale all '83, quando Jarret riprese il suo vecchio progetto del trio (prima con Charlie Haden al basso e Paul Motian alla batteria) con questi nuovi partner. Nella vita musicale del pianista c'è da sottolineare la collaborazione degli anni '70 con Miles Davis, segnando così l'appartenenza alla formazione più prestigiosa in ambito jazzistico dell'epoca, per poi uscirne alla ricerca di un suono esclusivamente acustico, diverso da quello elettrico di Davis. Anche la malattia (sindrome da affaticamento) che lo ha tenuto lontano dalle scene per quasi tre anni ha contribuito a definire meglio i contorni di quelle scelte musicali che lo qualificano come uno dei migliori interpreti della classicità jazz, ma sempre in un'ottica di sperimentatore creativo, volendo comunque rischiare e mettersi ancora in gioco. Tornando al concerto si è visto un Dejohnette molto ispirato alla batteria, senza mai esagerare nei toni e modi di approccio ai vari pezzi, ma deliziando il pubblico con una spazialità di suono soprattutto sui piatti che riusciva a creare il tappeto sonoro più consono alle fughe e ai ritorni del piano. Dal canto suo Peacock variava sempre l'accompagnamento del contrabbasso, assumendo in certi momenti il parallelo discorso musicale sviluppato da Jarret e amplificandolo negli assoli dove il suono diventava armonia e raffinatezza sulle scale più alte della tastiera del basso. I vari bis concessi da un ascetico Jarret hanno sottolineato l'accoglienza e l'apprezzamento del concerto da parte del pubblico, in un silenzio rigoroso, attento a cogliere le molte sfumature di una serata memorabile.
(Fabio Bonso)


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