Jesi: “Il Domino nero”, un successo


Alberto Pellegrino

6 Ott 2001 - Commenti classica

La stagione lirica del Teatro Comunale Pergolesi, giunta alla trentaseiesima edizione, riveste quest'anno una particolare importanza anche per la città di Camerino, poichè dopo circa mezzo secolo l'opera lirica farà ritorno al Teatro Comunale Marchetti con la rappresentazione di Bohème del 21 novembre, grazie all'accordo stipulato fra le amministrazione comunali di Camerino e di Jesi. Mentre ci saranno altre occasioni per tornare a parlare del capolavoro di Puccini e del suo allestimento sul palcoscenico camerinese, ci sembra opportuno sottolineare che la presente stagione jesina si è aperta con un evento di assoluto valore culturale per aver riportato sulle scene (prima esecuzione in epoca moderna) l'opera Il Domino Nero del compositore maceratese Lauro Rossi (1810-1885), la cui ultima rappresentazione risale al 1910 nel quadro delle celebrazioni organizzate a Macerata per il centenario della nascita dell'autore. Lauro Rossi conquistò notorietà come compositore di opere buffe fin dall'esordio con Le contesse villane (1829) e, con alterne fortune, continuò su questa strada con Le fucine di Bergen (1833), Amelia (1834), ma ottenne il suo primo vero successo a livello nazionale con l'opera I falsi monetari (1843), rifacimento dell'opera buffa La Casa disabitata composta per il Teatro alla Scala nel 1834. Nella seconda parte della sua vita Rossi, che ricoprì la carica di direttore dei Conservatori di Milano e di Napoli, preferì dedicarsi all'opera seria, un genere in cui aveva debuttato alla Scala nel 1846 con l'opera Azema di Granata e dove ottenne una solenne affermazione con l'opera capolavoro Contessa di Mons (1874).
Questa voglia di cambiamento Rossi l'aveva evidenziata fin dal 1845 con l'opera semiseria Cellini a Parigi che ottenne un largo consenso di pubblico, seguita poco dopo per l'appunto da Il Domino Nero (1849), etichettata come opera buffa ma in realtà un'opera semiseria. Il successo di questo lavoro segnò da un lato il definitivo tramonto dell'adesione di Rossi all'opera buffa e dall'altro la sua consacrazione come uno dei migliori compositori di metà Ottocento. La musica di Rossi si rivela anche oggi di ottimo livello e di grande gusto compositivo, sia quando spazia nel genere comico in cui aveva già dato prove di eccellenza, sia quando si lascia attrarre dai canoni del romanticismo melodrammatico che segnano in maniera molto evidente la parte del tenore ed alcuni passaggi della protagonista, mentre la parte comica è affidata soltanto al buffo Visconte Butor. Del resto la strada in questo senso era stata già aperta da Gaetano Donizetti con tre capolavori come L'elisir d'amore (1832), La figlia del reggimento (1840) e il Don Pasquale (1843), che avevano completamente innovato l'opera comica .
L'opera è interessante anche per la storia narrata nel libretto di Francesco Rubino tratto da un lavoro di Eugène Scribe e questo spiega la pruderie della vicenda certamente audace per l'epoca: il primo atto è ambientato presso la corte del re di Spagna dove si svolge un gran ballo a cui partecipa in incognito, avvolta in un domino nero, Estella orfana del signore di Salamanca y Toboso, fatta monacare per forza per questioni di eredità . La giovane, che nel frattempo è diventata madre vicaria del suo convento, va alla ricerca dell'uomo che ama, il cavaliere Vittore d'Espero, ma il marito della sorella Visconte di Butor vede nelle mani della giovane un fazzoletto con lo stemma di famiglia. per cui crede che sotto il domino nero si celi la moglie e vuole sfidare a duello il giovane Vittore, mentre Estella si dà alla fuga. Non basta che una monaca partecipi ad una festa da ballo, ma nel secondo atto la vicenda diventa ancora più intrigante, perchè Estrella si rifugia in una casa di tolleranza gestita da Pasquita la Guitarrera. In essa arrivano i nobili che hanno partecipato alla festa a corte e lo stesso Butor, che si è tranquillizzato perchè ha scoperto la moglie addormentata a casa. Estella ricompare travestita da contadinella andalusa e Vittore, che è tra gli ospiti, crede di riconoscere in lei la giovane della festa. Estella, di nuovo avvolta nel domino nero, deve subire le maldestre avances di Butor, per cui è costretta a fuggire ancora. Nel terzo atto Estella ritorna finalmente in convento, dove arriva anche Vittore che vuole comunicare alla sua fidanzata, l'educanda Zamora, di essere innamorato di un'altra donna. Questo incarico viene affidato al suo amico Adolfo che di fronte alla madre vicaria riconosce in lei la misteriosa fanciulla del domino nero di cui è innamorato Vittore. Giunge anche Butor con una lettera della regina ,dove egli crede vi sia la nomina della cognata a madre superiora, invece si tratta dell'autorizzazione regale a lasciare il velo ed a sposarsi. Butor si dispera per la perduta eredità , mentre Vittore esulta insieme ad Estella, poichè non esistono più ostacoli alle nozze.
Buona la prestazione dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana e del Coro Lirico Bellini rispettivamente diretti dal M Bruno Aprea e dal M Carlo Morganti. Il cast degli interpreti è stato senz'altro all'altezza con particolare riguardo per il basso buffo Mauro Buda (Butor) e il soprano Chiara Taigi, protagonista assoluta per una pregevole prova sotto il profilo canoro, ma anche per una spigliata e brillante interpretazione del personaggio di Estella. Molti meriti per la riuscita dello spettacolo vanno riconosciuti al regista cinematografico Maurizio Nichetti che, al suo primo impegno operistico, ha saputo muovere le scene di massa, guidare la ridda dei travestimenti e la girandola di fughe e inseguimenti, impostare la recitazione degli interpreti. Non proprio innovativa è stata l'idea di spostare l'ambientazione della vicenda dalla fine del Seicento alla metà dell'Ottocento (epoca della composizione dell'opera), ma Nichetti si è ben riscattato sfruttando in pieno le belle scene di Mariapia Angelini e disseminando lungo il percorso numerose annotazioni sottilmente ironiche (la luna appesa ad uno spago annodato, il gioco degli incontri, le prostitute affacciate sulla scena a seguire la vicenda come da un balcone, le suorine anch'esse a curiosare nella parte alta del convento come in una quadro di Nino Caffè. Un'opera piacevole questo Domino Nero, che meritava senz'altro di essere strappata dall'oblio per evitare che Lauro Rossi fosse soltanto il nome del Teatro Comunale di Macerata.

(Alberto Pellegrino)


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *