Il riallestimento del “Il barbiere di Siviglia” 2018 nell’edizione autunnale ROF 2020


di Andrea Zepponi

3 Dic 2020 - Commenti classica

Il barbiere di Siviglia viene riproposto, nell’edizione 2020 del ROF autunnale, in streaming, con l’allestimento del 2018. Il capolavoro rossiniano, comunque, viene restituito nello splendore filologico, nella superba regia di Pizzi, e con un cast di assoluto rilievo.

Foto di scena © Studio Amati Bacciardi

Offerto in streaming per il ROF 2020, il riallestimento del Il barbiere di Siviglia 2018 era di scena questa volta al Teatro Rossini di Pesaro il 25 e 27 novembre come era stato annunciato per l’edizione autunnale del festival pesarese che deve dimostrare di onorare i finanziamenti ottenuti, riproponendo l’autorevole contributo del sommo regista della lirica alla rilettura del capolavoro rossiniano. Quanto l’opera rossiniana, considerata il vertice esemplare del buffo assoluto, abbia avuto bisogno di revisioni filologiche per togliere le sovrastrutture musicali e perfino ideologiche che ne avevano deformato il profilo originale, lo dimostra il lavoro scientifico iniziato da Alberto Zedda già a partire dal 1959 e proseguito con rigore scientifico al deflagrare del Rossini Opera Festival come laboratorio interattivo di musicologia applicata in stretta intesa con la Fondazione Rossini e Casa Ricordi. Ebbene questa mole di lavoro filologico, oltre a restituire al Barbiere una veste musicale più sobria e classicamente levigata, ha rivelato che poi così opera tanto buffa Il Barbiere di Siviglia non è, cosa di cui già si erano accorti, in tempi non sospetti, solo grandi interpreti, prima fra tutti Maria Callas la quale faceva emergere nel personaggio di Rosina un fondo decisamente “dark”. Una tradizione esecutiva ben poco critica aveva spianato l’interpretazione della partitura sul registro monocorde di opera assolutamente buffa banalizzando la lettura musicale e deformando il carattere dei ruoli per cui il Conte diventava un damerino smidollato, Rosina una specie di oca-civetta, Bartolo un vecchio ciabattone, Basilio un viscido pretastro sudaticcio, Berta una babbiona infojata e Figaro un simpatico furfante, ecc. Invece niente di tutto questo: la rilettura illuminata dalla ripulitura delle incrostazioni ricrea la profondità e ricchezza della creazione rossiniana che rimane pur sempre un’opera comica di carattere, con la musica dotata della divina astrattezza propria del sommo pesarese, ma con una nuova veste estetica ed etica da riattribuire a tutte le sue componenti.

Così la regia di Pier Luigi Pizzi, in questo allestimento, che abbiamo già vissuto nel 2018 da spettatori di teatro, ora ci viene proposta dalla ripresa telematica i cui particolari che a teatro potevano sfuggirci, in questa occasione è lo spettatore che non può sfuggire allo schermo. Pizzi compie anche sul versante registico, scenografico e costumistico quanto è avvenuto in mezzo secolo di filologia e lo porta alle estreme conseguenze epurando lo spagnolismo di maniera, anzi togliendo del tutto ogni riferimento alla Spagna, e delineando una dimensione classica, nitida e lineare. L’aspetto prevalente è bicromatico: il bianco regna sullo sfondo e sulle strutture sceniche più grandi, mentre spicca il nero di certi costumi da cui si ravvisa l’intento di conferire simbolicamente sfumature caratteriali al personaggio come contrasto dicotomico giocato su una dialettica cromatica. Su questa tavolozza, le macchie di diverso colore – il mantello rosso del Conte, i cambi di mise azzurra e verde di Rosina, quella in rosa antico di Berta, il nero totale della redingote di Basilio e quella in viola di Bartolo – assumono un surplus di senso che concorre a raccontare, proprio come vuole Rossini, qualcosa di non esplicito sulla scena, ma sottinteso che deve essere integrato dall’intelligenza di uno spettatore stimolato a comprendere, a giudicare e infine a valutare: ogni ruolo ha un carattere evidente giocato sulla dicotomia esterna del tipo nuovo / vecchio = spirito borghese di Figaro / mondo antiquato di Bartolo, ma si tratta di persone che vivono anche una loro dicotomia interna, il che rende tutti i ruoli molto meno buffoneschi e più problematici, sicuramente più veri e interessanti di quanto ce li abbia consegnati la tradizione teatrale tardo ottocentesca con il suo anticlericalismo di maniera. Non più le solite gag volgarucce e smaccate, ma invenzioni sceniche organiche e funzionali ad un approfondimento dei valori testuali e del tessuto drammatico: la erre uvulare di un Don Bartolo elegantemente burbero, un Don Basilio per nulla satanico e più umano, afflitto da balbuzie, la trovata esilarante di accorciare l’altezza del Conte con un Don Alonso naniforme e sibilante che cammina ingegnosamente sulle ginocchia dotate di finte scarpe, una Berta complice e quasi alter ego nostalgico di Rosina sono tratti che strappano non solo il sorriso e la risata, ma anche certo patetismo e fanno anche riflettere sul fatto che soltanto le grandi letture registiche sono veramente libere e creative perché lavorano in profondità, ben consce ed osservanti delle fondamenta testuali e musicali di un’opera lirica cui ridanno vita perché ne risalgono le origini e le prime ragioni artistiche.

Passi allora un Figaro, barbiere di qualità con la sua gran reputazione, che, durante la cavatina di sortita, si spoglia per darsi una sciacquata sopra e sotto nella fontana della piazza, passi allora il figurante (William Corrò, lo stesso incisivo interprete di Fiorello e dell’Ufficiale) che, nell’ancor più improbabile lezione di musica, suona virtualmente un violoncello invece del “Pian:forte” prescritto da Rossini per simulare in scena un sostegno musicale al canto di Rosina – dovuta a “riscrittura di scena”, o a qualche oscuro scoliasta? Passi che nel bel mezzo del duetto All’idea di quel metallo Figaro si sfiora il pube per sottolineare la valenza erotica che ha per lui il denaro, come concessioni alle tendenze deformanti, destrutturanti e degradanti dell’odierno mainstream registico cui perfino un dio come Pizzi deve pagare il suo tributo. L’atmosfera di nitore classico e bellezza, emanata anche dalle diegetiche luci del regista collaboratore Massimo Gasparon, immerge ogni evento scenico in una luce nuova, corroborata dal gesto direttoriale sicuro e ben attestato su scelte di assoluta trasparenza ritmica e timbrica del M. Michele Spotti: calibratissimi piani sonori tra palcoscenico ed orchestra, tra coro e solisti hanno soddisfatto l’esigenza di chiarezza classica e l’equilibrio della scrittura strumentale rossiniana nuovissima per il suo tempo. Un cast variegato di conclamate glorie della lirica e di giovani leve non meno valorose ha rappresentato anch’esso il divario fra vecchio e nuovo ipostatizzato dall’opera, quasi rievocando quello fra la tradizione musicale ininterrotta del Barbiere e la sua ricezione filologica odierna, in primis con la presenza di Elena Zilio in una Berta mezzosopranile, ahimè sensibilmente peggiorata dal 2018 nella tenuta timbrica, anche se è riuscita ad agganciare l’acuto finale del Vecchiotto, il che ha inciso troppo nei concertati, soprattutto il finale il cui audio è impietoso in trasmissione: non so se rammentare a questo punto – chiedo lumi anche qui – che Berta è effettivamente soprano nel testo originario e non si capisce perché nel tempio della filologia rossiniana questo non venga rispettato: anche le controscene imbastite dalla Zilio con Rosina e gli altri questa volta riescono più patetiche che simpatiche. Migliorato rispetto al 2018 invece il parterre maschile di strepitosi attori cantanti con Carlo LeporeMichele Pertusi rispettivamente in Don Bartolo e Don Basilio, due pilastri storici del ROF versatilissimi nel reinventarsi vocalmente e scenicamente, il primo irresistibile con l’aria arcaizzante Quando mi sei vicina, cantata tutta in falsetto alla Caffariello evirato cantore e il secondo con la consueta verità timbrica e dinamica in un Basilio più dignitoso e menomato del solito, ma con esiti non meno comici; indi sull’altro fronte la presenza in Figaro di Iurii Samoilov, nuova felice acquisizione del festival artista calato perfettamente nella fisicità del ruolo, effervescente nel prendere possesso del palcoscenico, riempirlo di sé e nel prorompere di doti canore da basse-baritone, ma l’ampiezza vocale e timbrica di Figaro deve ancora emergere completamente; Juan Francisco Gatell nella parte del Conte, una voce tenorile perfetta e una dizione italiana accurata capace di flessibilità maestosa e di dare al personaggio il contegno di un Grande di Spagna, e la freschezza spavalda della gioventù che lo fa troppo appassionato nell’aria finale  Cessa di più resistere meritevole di una maestà maggiore – un Conte che si diverte goliardicamente con  travestimenti esilaranti, ma, da amoroso qual è, non esita, secondo la regia pizziana, a vezzeggiare la Rosina interpretata dal mezzosoprano Aya Wakizono, innegabilmente esaustiva nella parte dal punto di vista vocale, duttile nelle agilità e nella resa espressiva – persino affiatatissima con baritono e tenore nei duetti, dal profilo spiccato nelle scene di insieme, misurata nella dizione italiana e nei passaggi di belcanto, tuttavia non ha ancora maturato il distacco necessario a rendere quell’affascinante fondo dark di Rosina che toglie al personaggio la stucchevolezza della pupilla oppressa dal tutore e conferisce alla interpretazione vocale una maggiore autenticità belcantistica che rifugge dalla partecipazione emotiva. Espressivo come la volta scorsa e ben inquadrato sulla tradizione così epurata, l’Ambrogio di Armando De Ceccon. L’Orchestra Sinfonica G. Rossini, il Coro del Ventidio Basso moderato dal M.  Giovanni Farina  hanno brillato per duttilità e rispondenza all’habitus esecutivo dell’opera restituita al suo spirito originario.


Assistere all’opera dallo schermo non è come farlo da spettatore, ovviamente, ma sentire gli applausi fatti dagli orchestrali ai cantanti alla fine dell’opera e viceversa, invece di indulgere alla tristezza per la attuale situazione dei teatri lirici, mi fa pensare più al fatto che, se pure se la sono cantata e suonata, lo hanno fatto proprio bene.

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2 responses

  1. Richard Barker ha detto:

    “Yves Abel”? Nel riallestimento del 2020?
    Ma siete proprio sicuri?

    1. Redazione ha detto:

      Buon pomeriggio, grazie della segnalazione. Abbiamo provveduto alla correzione dei refusi. Cordiali saluti, Vincenzo Pasquali (dir. ed.)

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