Glauco Mauri è un grande Minetti


di Alberto Pellegrino

25 Gen 2024 - Commenti teatro

Al Teatro Gentile di Fabriano un grande Glauco Mauri interpreta “Minetti. Ritratto di un artista da vecchio” di Thomas Bernhard, per la regia di Andrea Baracco.

(Foto di Manuela Giusto)

Domenica 21 gennaio 2024, dopo una settimana di riallestimento, Glauco Mauri ha portato in scena nel Teatro Gentile di Fabriano lo spettacolo Minetti. Ritratto di un artista da vecchio di Thomas Bernhard, per la regia di Andrea Baracco nell’ambito della stagione di prosa promossa dal Comune di Fabriano e Amat.

Un grande maestro della scena ha dato corpo e voce al personaggio di Bernhard Minetti in questo atto unico scritto da Thomas Bernhard, il drammaturgo più rappresentativo del teatro in lingua tedesca dopo Bertolt Brecht, autore di testi dal sapore tragicomico, pieni di amara ironia, spietatamente critici verso la società contemporanea.

Lo spettacolo è stato prodotto dalla Compagnia Mauri Sturno con le scene e i costumi di Marta Crisolini Malatesta, le musiche di Giacomo Vezzani e Vanja Sturno, le luci di Umile Vainieri. Al fianco del protagonista, si sono avvicendati gli attori Stefania Micheli, Federico Brugnone, Danilo Capezzani, Francesca Trianni, Pietro Bovi e Giuliano Bruzzese.

Thomas Bernhard ha voluto rendere omaggio a Minetti, un grande attore tedesco del secolo scorso che, oltre a Shakespeare, ha interpretato molti dei suoi testi e lo ha fatto portando sulla scena un momento immaginario della vita di un attore ormai vecchio e disilluso. Nella notte di capodanno Minetti arriva nella hall di un albergo, dove aspetta d’incontrare il direttore artistico di un teatro di Ostenda, il quale gli ha promesso di fargli interpretare il Re Lear di Shakespeare. Mentre è in attesa di questo incontro che non avverrà mai e che è probabilmente frutto della sua fantasia, Minetti si abbandona ai ricordi, riflette sulla propria vita, rievoca ossessivamente il tempo in cui era direttore artistico del teatro di Lubecca, dal quale è stato scacciato. Parla dei trent’anni di lontananza dalle scene, dei vari aspetti del mestiere d’attore e degli intricati meccanismi del teatro; esprime il suo amore-odio per la letteratura classica e scaglia i giudizi spietati contro un teatro sempre più privo di senso e soprattutto contro una società che considera devastata dalla follia.

“Tutte le volte che ho letto un suo romanzo o un suo testo di teatro – dice il regista Andrea Baracco – Thomas Bernhard mi ha dato sempre la sensazione di essere qualcuno da cui è meglio stare alla larga. Bernhard, mi ritrovo a pensare, è un osso duro, e non fa nulla per nasconderlo […] Con altri autori ti puoi distrarre tanto poi recuperi, con Bernhard non lo puoi fare, se l’attenzione ti salta, se per un attimo la pigrizia prende il sopravvento, lui ti volta le spalle e basta. Quello che c’è di sensazionale nella sua scrittura è che i suoi personaggi, non sembrano affatto allontanarsi da questo, anzi sembrano essere l’incarnazione della sensazione di cui dicevo sopra. Tra i più iconici nella drammaturgia della seconda metà del Novecento, non fanno assolutamente nulla per essere amati: il loro prepotente flusso verbale non lascia spazio al dialogo; la vocazione distruttiva nei confronti di ogni cosa o persona li circondi, non può che produrre una feroce e agognata solitudine. In poche parole, non sembra per loro esserci risarcimento possibile davanti alla beffa dell’esistenza”.

Il mondo in cui vive e si agita il vecchio Minetti è un mondo devastato dal gelo, dalla incomunicabilità, dalla follia, un mondo assurdo e indecifrabile, in preda al caos, dove il protagonista tenta invano di capire e decifrare la realtà; tenta di opporre una qualche resistenza, cercando rifugio nel teatro, nella musica, nella letteratura, nella filosofia, “luoghi” dove è ancora possibile coltivare la bellezza e dare un senso alla propria esistenza.

Solo con se stesso, incapace di comunicare con esseri che appaiono più fantasmi che persone, Minetti spera di poter recitare per l’ultima volta il suo memorabile Re Lear, indossando la maschera che confezionata per lui da James Ensor (1860-1949), lo straordinario pittore belga inventore di un mondo popolato da esseri mascherati.

Lo straordinario mondo in maschera di James Ensor

A questo punto il grande attore si abbandona a un inarrestabile flusso della sua coscienza per far rivivere i suoi ricordi e scagliare impietosi giudizi contro una società ammalata di stupidità.

Nell’atmosfera allucinata di una città assalita da una tempesta di neve, la hall di un albergo diventa lo spazio della memoria e dell’attesa per un incontro che non avverrà mai perché esiste solo nella mente del vecchio attore che, nel suo delirio, vede intorno a sé muoversi donne disperate, giovanissime ragazze in cerca d’amore, uomini deformi, strani personaggi che indossano la bianche maschere d’animali, mentre lui rimane morbosamente attaccato a una grande valigia nera che contiene i suoi ricordi e i suoi valori.

Una realtà deformata dalla follia? Il parto di una mente che avverte di essere giunta all’ultimo traguardo? In un finale di strepitosa bellezza la scena si apre e appare il retro di un palcoscenico, luogo deputato per l’approdo conclusivo al delirio di Minetti, che sceglie il palcoscenico, luogo a cui è stato sempre legato per passione e per professione, per compiere un estremo gesto di protesta contro la società. Nello spazio, che si apre verso l’alto, sull’attore scende la neve fino a coprire quel corpo ormai in dissoluzione, mentre reclina il capo con indosso la maschera di Re Lear. La tempesta, che fino a quel momento ha imperversato all’esterno, entra in scene per riflettere la tempesta interiore del personaggio; diventa l’allegoria di una società degradata e desolata, persino l’albergo-rifugio scompare per lasciare il corpo dell’attore al centro di un micro-universo privo di suoni e di parole per diventare un simulacro coperto di neve che proclama la propria disperata umanità.

Glauco Mauri è ancora uno straordinario interprete capace di conferire un colore sonoro alle parole, di usare una impressionante varietà di registri dal tono delicato e sottile al grido disperato. È un attore capace di entrare e uscire continuamente dal personaggio come richiede il testo di Bernhard che pretende un coinvolgimento diretto e totalizzante dell’attore. Minetti si prepara a interpretare per l’ultima volta Re Lear; nello stesso tempo è chiamato a interpretare se stesso, rievocando quella follia che è l’elemento fondamentale di ogni arte quando non vuole essere solo evasione e divertimento. Minetti è un attore libero, indipendente da registi e impresari; non scende a patti con una “società repellente”, perché è capace di rivolgersi direttamente al pubblico per coinvolgerlo e ammaliarlo: l’interprete “prima attrae il pubblico poi lo disgusta […] l’attore vede esibire la sua presenza inquietante […] bisogna che l’attore si ferisca, che si ferisca a morte” per essere “differente” e grottesco, per essere messo in ridicolo dalla signora ubriaca della prima scena, per essere un folle costretto ad aggrapparsi a una maschera per sfuggire alla putrefazione del mondo.

In questa ultima notte di Capodanno Minetti si trova al centro di un drammatico carnevale che diventa l’allegoria di una società fatiscente e vicina alla distruzione: “Il mondo pretende di essere divertito e invece va turbato, ovunque oggi ci volgiamo null’altro che un meccanismo per divertire. Occorre precipitare tutto nella catastrofe dell’arte”. Allora il teatro diventa per l’attore l’occasione per verificare il suo rapporto con il mondo fino ad esserne divorato e distrutto.

L’unica forma di resistenza è opporsi a tutto questo; è distruggere la letteratura, l’arte e lo stesso teatro, perché “l’attore si accosta allo scrittore e lo scrittore distrugge l’attore esattamente come l’attore distrugge lo scrittore…Facciamo i conti senza lo scrittore. Lo scrittore fa i conti senza l’attore. In ogni caso sfociamo nella follia”. In questo modo l’attore è ridotto a una maschera, ma dietro la maschera c’è l’uomo che cerca di sfuggire all’obbligo di essere un personaggio, che rivendica la propria umanità per non farsi possedere da ogni forma d’identificazione o straniamento.

In Minetti c’è l’ultimo desiderio di deridere e disgustare il pubblico; non lo vuole divertire ma ferire a morte, ma dopo questo estremo atto di ribellione non gli resta che precipitare nella catastrofe; vanificare questa falsa atmosfera di festa; far diventare la maschera qualcosa di orrendo, in modo che “il pubblico sia terrificato dall’attore”. Attraverso Minetti, l’autore impone una riflessione su una società che non è quella del passato o del futuro, ma che è eternamente presente, che è la nostra e quella delle future generazioni. Questa atteggiamento critico e visionario conduce Minetti al sacrificio finale, al proprio annullamento, alla cancellazione definitiva, a un teatro che si ritorce contro e finisce per divorare l’attore stesso. “Non dobbiamo capitolare” dice Minetti, ma alla fine questa “società completamente irrazionale” finisce per avere la meglio e, come in tutte le opere di Bernhard, anche Minetti si mostra impotente nonostante la sua radicale contestazione contro il teatro, il pubblico, i direttori di teatro, la vita stessa e questo fallimento lo spinge verso una sublime e spettacolare forma di sparizione.

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One response

  1. Adriana Carli ha detto:

    E’ il teatro che inseguo da sempre e che è sempre più difficile proporre. Mi piacerebbe conoscere Glauco Mauri , per non dire del piacere di partecipare ad un suo spettacolo. Sono una vecchia attrice – scenografa – autrice di testi teatrali- filmmaker -innamorata del teatro e che sogna ancora di poter avere la sua grande occasione. Ho messo in scena molti classici come : Shakespeare ; Bechett; Lorca…ma sempre con una mia ottica personale, che ha sempre incuriosito i pochi spettatori presenti.

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