“Contro Antigone o dell’egoismo sociale” di Eva Cantarella


di Alberto Pellegrino

1 Apr 2024 - Letteratura, Libri

Oltre le polemiche e le divergenze di giudizio, noi rimaniamo dalla parte di Antigone. Riflessioni a margine del libro “Contro Antigone o dell’egoismo sociale ”di Eva Cantarella, edito da Einaudi.

Agli inizi del 2024 è uscito il libro Contro Antigone o dell’egoismo sociale di Eva Cantarella, illustre docente di diritto romano e diritto greco antico presso l’Università Statale di Milano. L’opera ha suscitato numerose reazioni e polemiche da parte di specialisti di storia classica, drammaturghi e registi teatrali, storici del teatro. La professoressa Cantarella confessa di provare per questo personaggio una decisa antipatia risalente ai tempi del liceo e che considera ancora una persona egocentrica, monocorde, individualista, incapace di amare se non la morte, incapace di concepire una realtà sociale diversa dalla sua, a differenza della sorella Ismene che invece si mostra rispettosa delle leggi che reggono la città.

Per queste ragioni l’autrice si schiera dalla parte di Creonte che rappresenta la legalità e che impone il rispetto di quelle norme che allora regolavano la vita di molte città greche. A sostegno di questa tesi la studiosa ci tiene a precisare che intende occuparsi del personaggio di Antigone inventato da Sofocle, ben diverso da quello avvolto nella luce del mito che si è creato nel corso dei secoli e che è ancora vivo nella società contemporanea. Secondo lei, l’Antigone teatrale è un personaggio abbastanza inquietante e per avvalorare la sua tesi dedica gran parte del libro ad analizzare le tragedie sofoclee che formano la trilogia edipica: Edipo re, Edipo a Colono ed Antigone.

Per Cantarella esistono quindi due Antigoni: l’eroina del mito portatrice di valori umani tra i più profondi dell’umanità come la pietà familiare, la dignità e la libertà della donna, mentre la figura creata da Sofocle è “una donna di un egocentrismo spaventoso e di una assoluta indifferenza a tutto quello che non è lei, con una fissazione, dare sepoltura al fratello Polinice, bandito dalla città, mentre il fratello Eteocle ha tutti gli onori […] Non ha altri ideali se non quello di raggiungere il fratello nell’altro mondo, l’unico che esiste per lei”. Segue la difesa di Ismene considerata un personaggio positivo perché, a differenza della sorella, non vuole agire contro le leggi della polis, mentre Antigone riconosce l’importanza delle leggi e ritiene giusto che Creonte le faccia rispettare, perché questo è il suo compito di re, ma queste norme per lei sono impietose e non intende sottomettersi ad esse. Creonte non è pertanto il tiranno dipinto dalla tradizione come emblema del Male, ma solo un sovrano che sta dalla parte della Legge. Ha ragione a lasciare insepolto il cadavere di Polinice che è stato un nemico della patria, verso il quale non bisogna avere nessuna pietà.

“Antigone cerca di seppellire Polinica” di Sebastian Louis Guillaume Norbiln, 1825

L’illustre storica ricorda che in tutto il mondo greco si applica questa norma ai cadaveri dei nemici come dimostra nell’Iliade l’episodio nel quale Achille infierisce sul cadavere di Ettore. Si tralascia però di evidenziare che persino il Pelide finisce per cedere alla pietà di fronte alle preghiere di Priamo. In ogni caso, secondo un costume prevalente, nelle polis della Grecia si seppelliscono i morti e durante le guerre si pratica una tregua per recuperare i cadaveri degli eserciti contrapposti e per dare loro una degna sepoltura, avviando le loro ombre nell’Ade. 

Infine si esalta il personaggio Emone che deve essere considerato il primo eroe romantico capace di sacrificare la propria vita per amore, mentre Antigone è da considerare un “mostro” che non parla mai del fidanzato, che non mostra mai sentimenti amorosi, anteponendo un desiderio di morte alla voglia di vivere. È senz’altro vero che Emone ha un atteggiamento eroico quando si oppone al padre, quando riconosce gli obblighi che impone la Ragion di Stato, ma afferma anche che non è giusto sacrificare per essa “la vergine che muore nel più triste dei modi e per le azioni più nobili che possano pensarsi, la men degna di morte e la più pura di ogni altra donna”.

Questo modo di appellarsi al testo di Sofocle per dimostrare una tesi mostra il fianco per due motivi: per primo, nessuno sa con precisione quali siano le motivazioni politiche che hanno spinto Sofocle a scrivere la tragedia; per secondo ci si dimentica che siamo di fronte a dei personaggi creati da un autore che, come altre grandi della scena, non s’identifica mai fino in fondo in una delle sue creature. Tuttavia, se andiamo a rileggere il testo sofocleo senza pregiudizi, ci si accorge che le cose non stanno proprio in questo modo: Sofocle ha un grande rispetto per Ismene e per Emone; Creonte non viene mai rappresentato come uno spietato tiranno, ma come un sovrano inflessibile e nello stesso tempo tormentato, perché non riesce a coniugare pietà umana e rispetto delle leggi morali e religiose che per Antigone hanno un valore superiore alle leggi civili.

Quando si accorge del suo errore a seguito delle parole di Tiresia, non può più apporvi rimedio, perché nel frattempo Antigone, suo figlio e sua moglie hanno scelto la morte rispetto alla vita. Bisogna inoltre ricordare che nell’antica Grecia le donne avevano un ruolo sociale marginale e non godevano di nessun diritto politico, per cui Sofocle compie un atto “rivoluzionario” creando il personaggio di Antigone, altrimenti avrebbe assegnato questo ruolo a un uomo. È pertanto legittimo e fondato ritenere quale impatto innovativo abbia avuto questa figura femminile anche sul pubblico del tempo. Fin d’allora Antigone rimane l’esempio della pietas filiale (si veda il suo comportamento in Edipo a Colono) e della pietas fraterna indipendentemente dal fatto che il fratello sia stato un traditore della patria.

Camille Felix Bellanger, Edipo e Antigone

Basta rileggere il secondo atto della tragedia per capire come, nel dialogo decisivo tra Antigone e Creonte, Sofocle sia dalla parte della giovane quando sostiene che la legge, se non rispetta i morti, è moralmente ingiusta. È a questo punto che nasce il dilemma antico e ancora attuale: è possibile ribellarsi a una legge ritenuta ingiusta? Chi decide quando una legge è ingiusta? Può lo Stato eliminare chi rifiuta una legge ritenuta ingiusta e che si appella al rigore morale e al diritto di libertà?

Si arriva a dire che Antigone è anche razzista quando afferma che non condurrebbe questa lotta se invece del fratello si trattasse di uno schiavo: anche in questo caso ci si appella al contesto storico per condannarne il comportamento ma, quando si tratta di giustificarla, non si tiene conto della cultura del suo tempo e del fatto che lei è una principessa in grado di opporsi al potere.

Si dice che tutta la tragedia è attraversata da un cupo desiderio di morte, ma basta leggere quel meraviglioso Canto dell’Uomo, dove il coro esalta i valori dell’umanità e le conquiste dell’ingegno umano, per capire che siamo di fronte ha una delle espressioni più profonde dell’Umanesimo greco.

In quanto all’egoismo e alla insensibilità di Antigone, sarebbe sufficiente ricordare lo splendido Canto di Eros, nel quale lei dialoga con il coro e dà il suo addio alla vita con sincero dolore e non sotto la spinta di una pulsione di morte. Non a caso afferma che l’unico talamo nuziale che l’aspetta è quello che la farà sposa d’Acheronte, rimpiangendo che non sarà mai né sposa né madre: “Triste destino, essere straniera alle case dei morti e a quelle dei mortali né tra i vivi esser più né tra gli estinti […] Ah colpa cieca del materno talamo, ah della madre incestuosa unione col padre mio da cui nascevo un giorno alla mia sofferenza! Da loro io discendo, maledetta anch’io, senza nozze […] E senza pianti né amici né amore io sono sospinta all’imminente varco, con la mia sofferenza. […] Per questo ti prescelsi e ti onorai e per questo colpevole a Creonte e audace parvi di tremende audacie, fratello mio! Solo per questo, adesso mi sospinge così, m’ha resa a forza vergine senza nozze e senza doni ch’erano pur miei: maternità e amore”.

Al di là di tanti rinnovati dibattiti, noi rimaniamo fedeli all’Antigone trasfigurata dal mito, a quella eroina che sfida il potere contro le ingiustizie e la tirannide, quella eroina che si batte per la dignità della donna contro il patriarcato e il maschilismo ancora presenti nella nostra società, quella donna allora esclusa dalla polis che vuole rivendicare i suoi diritti. Non è avvenuto certamente per un caso se, attraverso i secoli, Antigone è stata soggetta a numerose riscritture e interpretazioni come hanno fatto negli ultimi decenni Anouilh e Brecht, Liliana Cavani (con il film I cannibali) e più recentemente Valeria Parrella e Ascanio Celestini con Le nozze di Antigone.

A loro volta intellettuali e filosofi sono stati attratti da questo personaggio. Hegel vede nella sua ribellione non solo un comandamento universale, ma un culto della famiglia e dei legami di sangue, ma per il filosofo tedesco questa morale personale e privata non può sovrapporsi allo Stato, per cui la grandezza di Antigone sta nel fatto di sapere che la sua scelta è anche colpevole, mentre Creonte lo ignora almeno fino a quando la tragedia non lo travolge.

Più vicino a noi, Massimo Cacciari sostiene che “Creonte si fra-intende con il Coro e con tutte le altre personae della tragedia, con Tiresia anzitutto. Soltanto con Antigone il dialogo diviene polemos purissimo, affrontamento di principi che si conciliano solo nel darsi reciproca morte”.

Per il filosofo Slavoj Zizek “Creonte è un capo politico che genera caos nella sua città per via del falso ordine che cerca di imporre. Questo ordine è osceno travestimento della peggiore anarchia. […] Nel nostro quotidiano, noi siamo bloccati nelle nostre abitudini e non siamo in grado di guardare oltre. Quando incontri una vera guida, quella è capace di farti rendere conto di cose che non sapevi di poter fare”. 

Per Claudio Magris Antigone è una tragedia che ha un valore universale quando si estende dai fratelli di sangue a tutti gli uomini sentiti come fratelli, superando così ogni ethos tribale-nazionale e facendo intravvedere un nuovo ordine morale: “Antigone è la tragedia perennemente attuale, del nostro dovere di scegliere con tutte le difficoltà, gli errori e anche le colpe che questa scelta, nelle singole circostanze storiche, implica. La legge positiva, di per sé, non è legittima, nemmeno quando nasce da un ordinamento democratico o dal sentimento e dalla volontà di una maggioranza, se calpesta la morale. […] Una violenza inflitta a un individuo non diventa giusta solo perché il cosiddetto sentire comune l’approva”.

Infine il giurista Gustavo Zagrebelsky dice: “Le innumerevoli Antigoni che dalla prima sono state tratte hanno trovato la loro verità non in una pretesa corrispondenza con un nucleo originario di pensiero autentico e storicamente determinato, consegnato al testo sofocleo, ma nella capacità sempre nuova di rappresentare lo specchio di permanenti contraddizioni dell’esistenza umana […]. In Antigone la fecondità di pensiero concerne le vicende del potere e della resistenza al potere. Così, quella che è stata definita la più filosofica di tutte le tragedie classiche si è dimostrata anche essere la più politica di tutte, anche se non immediatamente politica. Essa tocca i caratteri primigeni della politica ed è quindi sempre politicamente rilevante. Delineando nel modo più netto la figura della coscienza pura che si ribella alla prepotenza del despota, essa è stata ed è esempio e sostegno di chi disobbedisce per ragioni morali e pone in discussione così la legittimità del potere che pretende obbedienza”.

Tag: , , ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *