Buon successo di “Le Comte Ory” al ROF 2022


di Andrea Zepponi

12 Ago 2022 - Commenti classica

L’edizione 2022 del Rossini Opera Festival si è aperto, all’Arena Vitrifrigo, con l’opera comica Le Comte Ory. Discreto successo. Punta di diamante della serata gli interpreti Juan Diego Florez, Maria Kataeva e Julie Fuchs. Splendido il Coro del Teatro Ventidio Basso diretto da Giovanni Farina.

(Fotografie ©ROF/Amati Bacciardi)

Le Comte Ory,con cui si è aperta la sezione operistica del ROF edizione 2022,è andato in scena in prima il 9 agosto scorso con discreto successo. Parlare di discrezione è necessario perché all’Arena Vitrifrigo, sede massima del ROF, dove tutto è gigantesco le sonorità orchestrali e vocali devono essere adattate agli spazi e questi a quelle. Ciò è stato favorevole per alcuni interpreti, meno per altri. Assodato che l’opera rossiniana francese del 1828 contiene diversi imprestiti dal Viaggio a Reims, con tutta la loro frizzante e ammiccante comicità, il lato parodistico che esprime allora dipende tutto dalla conoscenza del pubblico di allora e di quello odierno dell’opera italiana del 1825. Che la memoria della musica del Viaggio fosse al tempo più viva della nostra (ossessa com’è da cd e file on line) è tutto da dimostrare, visto che il consumo musicale ottocentesco era molto veloce e il ricambio altrettanto repentino. Innegabile comunque la similarità di varie situazioni tra le due opere come nota nel programma di sala lo studioso Emanuele Senici: la “Suite de l’Introduction” N. 1, l’“Air Gouverneur” N. 2, l’”Air Comtesse” N 4, il “Final” N. 5, il “Duo Comtesse-Ory” N. 7, e infine l’“Air Rembaud” N. 9. Il fatto che tra queste si instauri una reale corrispondenza parodistica ha però tutta l’aria di una illazione bella e buona perché, se è vero che le suddette scene del Viaggio contengono già una forte vena caricaturale e la parodia vi è già presente se non altro per ridicolizzare le pose semiserie dei personaggi, si tratterebbe allora semmai di una parodia della parodia. A quale scopo? Quello forse di mettere in ridicolo il Viaggio uscito tre anni prima dalla penna rossiniana per celebrare l’ancora regnante Carlo X? Non si tratterà invece semplicemente di autoimprestiti, tanto usuali in Rossini, di musiche che avevano dimostrato la loro efficacia in scene appunto similari di opere precedenti?

Più concreta è invece la definizione da parte di Mark Everist per quanto riguarda Le Comte Ory come primo esempio di petit opéra, cioè di opera priva di balletti e di non lunga durata da abbinare a un ballet-pantomime immancabile nel gusto francese, per rimediare alla lungaggine dei grands opéra spesso soggetti a operazioni di morcellement, cioè di riduzioni e tagli di atti interi (vedere il destino ingrato del Guillaume Tell fin da subitosmembrato e dimidiato).

Il Comte Ory per noi è un’opera comica in due atti con forte carica ironica e dissacrante perché ogni elemento correlato alla religiosità viene costantemente reso oggetto di ridicolo, di derisione e messo alla berlina come falso e interessato: falso è il santone eremita sotto le cui spoglie si cela il conte Ory, false sono le suore pellegrine accolte nel castello nel secondo atto (sono i sodali del conte che finiscono per avvinazzarsi grazie a Rembaud e poi fingono di pregare), finta e interessata a ben altri fini è Suor Colette (sempre Ory travestito da suora), che mostra di avere una affettività fin troppo pelosa nei confronti della Contessa. Anche questa non è esente dal ridicolo mosso dalla sua sospirosa devozione nei confronti dell’eremita a causa di una imprecisata melanconia ch’è, ben si comprende, dovuta alla mancanza di soddisfazioni sessuali cui la costringe il voto di castità fatto per la partenza del marito alle crociate come è avvenuto a tutte le altre donne del villaggio e del castello; falso l’approccio di Ory-Colette con la Contessa che, resa consapevole dell’identità della religiosa, mette al suo posto nella sua camera, pur essendo lei presente, l’innamorato e complice paggio Isolier che viene corteggiato, e non solo, dall’infoiato conte. Insomma ce n’è per tutti i gusti compreso il dileggio per le crociate e crociati (politicamente scorrettissimi) che la regia non ha mancato di rappresentare alla fine come balordi in mutande con in testa un imbuto e dei cerchioni alle mani. La difficile scena del terzetto al buio del secondo atto Comtesse-Isolier-Ory D’amour et d’espérance veniva risolta come un’ammucchiata erotica – il canapé su cui dovrebbe avvenire il tentativo di amplesso era un’anitra sovrastata da una beccaccia incassate in una struttura cubiforme luminosa- durante la quale il conte alla fine scopriva le sue tendenze omoerotiche, con evidente strizzatina d’occhio al mondo lgbtq+. Il tutto ambientato in imprecisati anni ’50 del ‘900 ma sempre sovrastato sullo sfondo da enormi inquadrature e sul palcoscenico da strutture tridimensionali riproducenti il Trittico del giardino delle delizie di Hieronymus Bosch. Costumi sgargianti di coro e personaggi che sembravano fatti venire tutti dal Summer Jamboree di Senigallia con effetti circensi quali scoppi di coriandoli, un neon a cometa, l’antro eremitico ridotto a uovo sormontato da un granchio e altre misteriose amenità; Ory diventava nel duetto con Isolier, un Mosé con le tavole della legge a illuminazione intermittente (un omaggio alla sinarchia giudaica? Mah…) e tutti mimavano con mani e piedi le movenze della musica, cioè praticamente veniva trasformato in balletto o in continuata espressione corporea un petit-opéra nato, come da manuale, proprio con assenza della danza destinata invece al ballet-pantomime che doveva seguirlo o inframezzarlo. Non credo ci sia alcunché da interpretare criticamente su tale regia che vede purtroppo un altro grande nome piegato al main stream destabilizzante e destrutturante l’opera lirica che l’assimila a un luna park o a un circo per compiacere giovani e ignari senza lavorare in profondità nel merito del tessuto drammatico testuale. Tali “scenoregie”, in assenza di note dell’autore che espliciti i suoi intenti, permettono solo una mera descrizione analitica e cronachistica che esenta di fatto e di principio chi recensisce dal desumere la forma sintetica di uno spettacolo al fine d’interpretarne in chiave critica la sostanza artistica.

Per venire agli interpreti la presenza di Juan Diego Florez nel title-rȏle era già una garanzia di successo agevolato dalla sorprendente e accesa vocalità dell’Isolier di Maria Kataeva i quali, con la smagliante presenza vocale e scenica del soprano Julie Fuchs nella parte della Comtesse Adèle, hanno formato la triplice punta di diamante della serata. Florez è sempre lo stesso, tanto che gli anni non sembrano passare per la sua voce che è tenore fluente negli acuti e sensibile nella zona media con un profilo scenico sempre più affinato e spavaldo che dimostra efficacia sempre maggiore. La prima aria Que les destins prospères ha fatto subito drizzare le orecchie del pubblico esibendo con quale artista si aveva a che fare. Inutile tuttavia accennare alla mancata emissione filologica di falsettoni nella zona acutissima e sovracuta che appartengono a ben altro tipo di tenori preferiti dichiaratamente e testualmente da Rossini. Meravigliosa la presenza vocale della Fuchs che ha sfoggiato una vocalità completa in ogni registro, anche se un sovracuto raggiunto di passaggio non era proprio a fuoco; con acuti attaccati in pianissimo e rinforzati fin dall’aria concertante En proie à la tristesse, pienezza timbrica e di registro di vero soprano lirico di coloratura,-  ben stagliato il do acutissimo ribattuto e tenuto poi nella stretta finale, il soprano ha convinto ed esaltato l’uditorio in ogni momento, confortato da movenze sceniche che per fortuna non impegnavano troppo la cantante e non disturbavano lo spettatore; per venire all’Isolier della Kataeva, il mezzosoprano, che presenta un’ampiezza straordinaria nella zona medio acuta, ha anche una grande motilità  cordale nei passaggi scanditi e variati messi alla prova nel duetto con Ory, Salut, ô vénérable ermite e in seguito. Il basso Nahuel Di Pierro nel ruolo de Le Gouverneur ha incontrato l’immancabile scoglio nel rendere sensibili ed espressivi i trilli nel registro grave dell’aria di entrata Veiller sans cesse tanto che la regia gli ha permesso di mimarli tremolando la mano; la vocalità è però credibile e di buona grana nella totalità della parte anche là dove la pronuncia francese sembrerebbe semplificare l’emissione scura. Altro sensibile interprete della serata era il Raimbaud di Andrzej Filonczyk basse baritone, senza ancora quell’esaltante ampiezza che nella grande scena En voici, mes amis ci ricorda alcuni passati trionfi di cantanti del passato, ma ogni nostalgia è fugata dall’ottima pronuncia e dalla versatile vena timbrica dell’artista che ha avuto un riconoscimento notevole dal pubblico. Mesta sorpresa è stata poi quella di trovare una Monica Bacelli in Ragonde in piena dissociazione tra il registro grave e quello medio per una parte di mezzosoprano grave-contralto che decisamente non si addice a chi è soprano secondo tendente al mezzo: anche se l’artista non ha mai fallito ed anzi si è messa in luce in senso interpretativo e scenico, i suoni emessi di petto le assottigliavano il registro di testa e i medio-acuti risultavano meno a fuoco per un ruolo vocale che invece dovrebbe avere una netta presenza timbrica soprattutto nel primo concertato del prim’atto. Bene la parte spiccata più vocalmente che scenicamente del mezzosoprano Anna-Doris Capitelli in Alice.

Il tutto era retto dalle titaniche spalle del direttore Diego Matheuz che reggeva il possente emiciclo dell’Orchestra  Sinfonica Nazionale della RAI con una intensità e densità invero un po’ esuberanti rispetto al parterre canoro durante il prim’atto ma non più nel secondo in cui ha perfino superato certe attese scandendo tempi e timbriche inaudite. Il Maestro ha inserito perfino la petite réprise del finale del concertato dopo la prima aria di Ory. Lo splendido Coro del Teatro Ventidio Basso diretto dal M° Giovanni Farina ha fatto il resto con ampiezza di accenti e seguendo le travolgenti tempistiche rossiniane della direzione.

Per l’edizione del ROF 2022 un esordio operistico variegato e pieno di sorprese che è stato variamente applaudito e apprezzato dal pubblico.

Le Comte Ory
Vitrifrigo Arena
9, 12, 16 e 19 agosto, ore 20.00
Opéra en deux actes de Eugène Scribe et Charles-Gaspard Delestre-Poirson
Direttore DIEGO MATHEUZ
Regia, Scene e Costumi HUGO DE ANA
Interpreti
Le Comte Ory JUAN DIEGO FLÓREZ
Raimbaud ANDRZEJ FILONCZYK
Le Gouverneur NAHUEL DI PIERRO
La Comtesse Adèle JULIE FUCHS
Dame Ragonde MONICA BACELLI
Isolier MARIA KATAEVA
Alice ANNA-DORIS CAPITELLI

CORO DEL TEATRO VENTIDIO BASSO
Maestro del Coro GIOVANNI FARINA
ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI
 
Nuova coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna
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