Bologna: Il Messiah all'inglese


Athos Tromboni

15 Ott 2001 - Commenti classica

BOLOGNA
Ogni epoca, dalla fine del XVII secolo in poi, non ha fatto che accogliere con rinnovato stupore l'opera più rappresentativa del repertorio haendeliano: il Messiah. I commenti che ci sono giunti fin dalla sua trionfale prima esecuzione (Dublino, Great Music Hall, 13 aprile 1642) sono tutti improntati all'analisi di una partitura che rimane fuori del tempo, nel senso proprio che supera i secoli rimanendo non datata esteticamente, per l'estremo equilibrio, rigore, pulizia e attualità della musica. La pagina viene da Georg Friedrich Haendel spogliata di ogni drammatismo, il testo biblico è commentato con una narrazione musicale in 52 numeri, narrazione che si mantiene ripetitiva con stupefacente omogeneità sia nella parte più profetica (L'avvento del Cristo, 19 numeri), sia in quella passionale (La redenzione, 23 numeri), sia in quella catechistica e pastorale (La funzione del Cristianesimo nel mondo, 10 numeri). L'esecuzione dura circa tre ore, eppure nella ripetitività non c'è mai un momento di stanchezza nè dei contenuti, nè dell'espressione. Possiamo dire che – agli occhi e all'orecchio dell'uomo contemporaneo – quest'opera sacra sembra più un telegiornale sulla vita di Cristo, che un film. Ma c'è un'altra cosa che contribuisce nei secoli, oltre la notazione haendeliana, al rinnovamento del capolavoro musicale: l'interpretazione. Questa sì va calata nella sensibilità del tempo, con chirurgica attenzione e precisione: solo se l'operazione riesce, s'ottiene che il capolavoro riviva, solo se l'operazione riesce si fanno risplendere i suoi messaggi, ricollocandoli fuori del tempo. Abbiamo assistito ad un evento che ci ha portato dentro a quest'effetto: ci riferiamo all'inaugurazione della stagione concertistica del Teatro Comunale di Bologna, con il Messiah in cartellone, l'orchestra e il coro dello stesso Comunale in scena, Paul McCreesh sul podio e Camilla Tilling (soprano), Sara Mingardo (contralto), Paul Agnew (tenore), Neal Davies (basso) i cantanti solisti. La lettura di McCreesh, nel solco della prassi esecutiva barocca, è stata di grande intelligenza e vivezza: non sembrava neanche un'orchestra lirico-sinfonica, quella che suonava sotto i suoi comandi, quanto piuttosto un rinomato ensemble d'epoca, magari di cultura britannica (proprio perchè gli inglesi sono, oggi, i più bravi in questo repertorio). La scelta dei tempi, la concertazione strumenti-solisti-coro, la precisione e la puntigliosità degli attacchi veementi dati dalla bacchetta del direttore, hanno caratterizzato un concerto applauditissimo dalla platea bolognese. Anche la vocalità chiesta da McCreesh ai suoi cantanti, ha contribuito ad un risultato eccellente: la Tilling ha mostrato un'emissione intonata e musicalissima, la Mingardo una tessitura ed un colore vocale che seducono ad ogni passaggio, Paul Agnew è un tenore pulito e chiaro come si conviene a questo repertorio e Neal Davies ha tutte le bruniture e le morbidezze necessarie per impersonare il basso barocco. Buona, poi, la prestazione del coro bolognese (istruito da Piero Monti), vera, inimitabile colonna portante del Messiah. Successo caloroso di pubblico.
(Athos Tromboni)


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