Ancona: “Lucia” in stile dark


Alberto Pellegrino

8 Dic 2002 - Commenti classica

Secondo appuntamento con la lirica al Teatro delle Muse di Ancona dove è andata in scena la Lucia di Lammemoor di Donizetti (26-28-30 novembre) con un allestimento realizzato in collaborazione con la Fondazione Teatro Massimo di Palermo dove l'opera arriverà nella prossima primavera. Come per l'Idomeneo si è puntato non solo sulla qualità musicale, ma anche sulla teatralità dell'evento, affidando la regia dell'opera al belga Gilbert Deflo, già noto al pubblico marchigiano per aver curato la messa di scena di tre opere (Carmen, Tosca, Faust) per lo Sferisterio di Macerata. Deflo ha portato avanti una puntuale lettura di questo capolavoro romantico nel solco della tradizione, ma senza essere tradizionale . Per prima cosa egli, per sua stessa dichiarazione, ha evitato la paccottiglia alla Walter Scott , ha trasportato la vicenda dal declinare del secolo XVI alla prima metà dell'Ottocento, l'epoca in cui è stata composta l'opera di Donizetti ed ha scelto il neogotico come cifra stilistica di tutta la vicenda, per cui è una Scozia in bianco e nero quella che si presenta agli occhi dello spettatore con tutta la violenza visiva del romanzo gotico inglese di fine Settecento. Per il Castello di Ravenswood, un tempo appartenuto agli avi di Edgardo ed ora proprietà dell'usurpatore Lord Enrico Asthon, lo scenografo e costumista William Orlandi ha creato nere superfici segnate da elementi tardo gotici sopra le quali si aprono nella sequenza delle varie scene feritoie di luce dal bianco accecante, come in una rivisitazione scarnificata e monocroma delle scenografie neogotiche ideate da Alessandro Sanquirico per i Capuleti e Montecchi del 1830. All'interno di queste atmosfere cupe e claustrofobiche si muovono i personaggi maschili e il coro dei famigli e dei dignitari della piccola corte di Asthon, avvolti nel nero di redingote, cappelli a cilindro, mantelli a pipistrello, mentre il grigio nelle sue varie sfumature caratterizza gli abiti femminili. Unica eccezione è Lucia (la bravissima e sensibile Patrizia Ciofi capace di incarnare alla perfezione il personaggio della dolente e appassionata eroina con il pallore del suo volto da cammeo), che nel secondo atto indossa il tradizionale abito da sposa, lungo il quale, dopo l'uccisione del marito Arturo, corre un sottile filo rosso, un rigagnolo di sangue che macchia la bianca superficie della veste nuziale. Tre momenti risultano particolarmente toccanti grazie anche al puntuale fraseggio delle luci: la scena del parco ( Regnava nel silenzio/Alta la notte e bruna ) dove contro un cielo grigio sta sospeso e congelato un pallido/Raggio di tetra luna ; la scena della pazzia, che interrompe i festeggiamenti per le nozze, quando il grande lampadario che sovrasta la sala scende fino a terra con le sue candele accese e diventa nel folle immaginario di Lucia l'altare predisposto per celebrare le nozze fra lei ed Edgardo, altare immaginario dinanzi al quale lei stessa rimane inchiodata come una bianca croce, quando le tenebre della pazzia si sono definitivamente impossessate della sua mente; le scene conclusive del secondo atto con la grigia pianura coperta di neve che circonda la tomba dei Ravenswood, dove Edgardo si prepara ad affrontare la morte per mano nemica ed a porre fine al suo dolore ( Tombe degli avi miei, l'ultimo avanzo/D'una stirpe infelice/Deh! Raccogliete voi ). In un bianco turbinio di neve avanzano alcuni uomini in nero ad annunciare la morte di Lucia ed il canto di odio si trasforma così in un canto d'amore e di speranza ( Tu che a Dio spiegaste l'ali/O bell'alma innamorata ), mentre il cupo fantasma del castello degli Asthon incombe sul corpo ormai pacificato del giovane Edgardo.
Deflo, nell'interpretare questo melodramma, punta decisamente ad evidenziare la spirale distruttiva odio vendetta che finisce per stritolare la povera Lucia vittima di un contesto familiare e sociale dominato dalle figure maschili: il fratello Enrico che tiene soprattutto al blasone familiare e alla conservazione del potere; Normanno, il bieco esecutore dei piani del padrone; Raimondo, precettore
e padre spirituale di Lucia, che finisce per opprimerla e terrorizzarla con la sua intransigente visione religiosa e sacrale della famiglia; Arturo, lo sposo imposto e non amato, che finisce per essere la causa scatenante di questo dramma familiare; lo stesso Edgardo che si ferma a ciò che vede, non sa scavare nelle cause del comportamento di Lucia, rinuncia a perdonare e fa precipitare la donna amata in un baratro di terrore e di follia. Ed è proprio la follia l'altro tema dominante dello spettacolo, dato che dice Deflo è soprattutto a partire dal XIX secolo che le manifestazioni dell'anima e dell'inconscio sono state esplorate sistematicamente e proprio il teatro musicale testimonia questo interesse tramite la figura di Lucia con la sua grande sensibilità , le sue allucinazioni, le sue estasi .
Al successo dell'opera ha contribuito la buona prova dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana ben guidata dalla giovane direttrice d'orchestra canadese Keri-Lynn Wilson che, dopo aver debuttato a soli 21 anni, si è perfezionata sotto la guida di illustri maestri come Otto Werner Mueller e Claudio Abbado. Il cast dei cantanti si è rivelato all'altezza di questa edizione della Lucia , a cominciare dal soprano Patrizia Ciofi che, come si è già detto, ha disegnato il personaggio della protagonista con raffinatezza tecnica e sensibilità interpretativa; il giovane tenore Aquiles Machado è stato un efficace Edgardo, anche se non ha sempre saputo coniugare a pieno sensibilità romantica e potenza come richiede in alcuni passaggi il personaggio; intensamente drammatico il personaggio di Enrico Asthon impersonato con spessore tecnico dal baritono Alberto Mastrantonio, come positivo è risultato il Raimondo interpretato dal basso Riccardo Zanellato. Per tutte le tre serate un pubblico delle grandi occasioni ha sottolineato con entusiasmo la conclusione dello spettacolo.

(Alberto Pellegrino)


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