Al Regio la solitudine di Violetta
Luca Rossetto Casel
11 Mag 2001 - Commenti classica
Torino, Teatro Regio, 8-15 maggio 2001
Il sipario scorre via veloce, e, per un attimo, al centro del palcoscenico, è lei, sola. Nel brevissimo lasso di tempo che separa la fine del preludio dall'ingresso turbinoso dei convitati, la solitudine di Violetta occupa la scena, fotografata in tutta la sua palpabilità . Perchè quella di Violetta Valery, la signora delle camelie, è una storia di solitudine solitudine tanto più acuta nella vacuità di una vita che cerca solo di dimenticare sè stessa, come è quella portata in teatro con lucidità spietata dal primo atto di Traviata.
Questo è quanto l'intelligenza e non dimentichiamolo- la conoscenza del testo di Alberto Fassini, regista di questo allestimento del capolavoro verdiano, offrono allo spettatore del Teatro Regio nella sola manciata di secondi che apre il primo atto. E tali felici premesse non vengono deluse: il resto dello spettacolo procede fluidamente, guidato da una regia sensibilissima, capace di impreziosirsi e di stupire con le gemme di piccoli gesti sempre accuratamente appropriati, che non si sovrappongono alla partitura poichè quella di Traviata è particolarmente eloquente in fatto di regia implicita – ma la riflettono e, spesso, la illuminano a loro volta.
Ora, questo avviene anche grazie a una compagnia di cantanti indiscutibilmente provvisti di presenza scenica e doti di attori (e ciò vale anche per i bravi comprimari, in particolare Bernadette Lucarini, che ha interpretato l'indispensabile Annina). Roberto Servile è splendido da tutti i punti di vista: capace di disegnare con pochi tratti un Germont umanissimo, canta ogni frase con grande musicalità ed espressione un vero fuoriclasse (e versatile, anche: i torinesi ricorderanno come pochi mesi fa, nello stesso teatro, abbia saputo dar voce al Figaro rossiniano). Tito Beltran è un Alfredo appassionato e, nonostante una pronuncia non sempre perfetta, elegante nel fraseggio (Parigi, o cara); in virtù di un temperamento esuberante, trova nei grandi slanci melodici la sua dimensione ideale.
La vera star dello spettacolo, però, è ancora una volta lei, Violetta; perchè è diventato difficile parlare di Violetta senza pensare a Eteri Gvazava, il giovane soprano siberiano impostosi nell'immaginario collettivo nel ruolo della protagonista della grande avventura mass-mediatica de La Traviata à Paris.
Va detto subito che Eteri Gvazava non è solo un volto televisivo, ma una musicista vera, dotata peraltro di una spiccata personalità . Dall'unione di quest'ultima con una notevole coscienza del proprio strumento vocale nasce un'interpretazione del personaggio originale e, sotto molti aspetti, decisamente nuova.
Nello specifico, ciò che caratterizza questa Violetta mi pare ravvisabile in un tratto di fondamentale dolcezza, mesta e luminosissima allo stesso tempo. Sotto il profilo tecnico, essa si manifesta in un'emissione sempre molto morbida, anche negli acuti più impervi, oltre che in un timbro rotondo e puro, dalla tavolozza ricca di sfumature; e in una notevolissima duttilità nell'articolazione. Bene: ma vediamo come tutto ciò trovi applicazione nella definizione del personaggio esaminando il cuore dell'opera: la prima parte del secondo atto.
Il grande duetto con Germont padre costituisce la chiave di volta de La Traviata in quanto determina allo stesso tempo lo snodo drammatico della vicenda e l'affermazione, per la prima volta completa, dell'avvenuta trasformazione di Violetta. Ho già avuto modo di scrivere riguardo all'eccellente prestazione di Roberto Servile; da parte sua, Eteri Gvazava mette a disposizione della protagonista tutto il suo bagaglio tecnico e, soprattutto, la sua intelligenza musicale. Il Vivacissimo di Non sapete quale affetto, per esempio, è veramente agitato, in virtù di una resa del nervoso gioco di articolazioni efficacissima; e i piano di Dite alla giovine sono davvero uno squarcio sull'anima, carichi di dolore ma di una dolcezza infinita; la fedeltà al testo non è mai fine a sè stessa, ma appare sempre guidata dall'attenzione per la psicologia del personaggio. Il cui aspetto determinante e, al tempo stesso, più originale, ho trovato poco più avanti, nella pagina probabilmente più nota di tutta l'opera: Amami, Alfredo.
Essa si colloca al culmine di un intenso climax di cui costituisce lo sfogo: viene perciò generalmente intesa come un'autentica esplosione musicale, un urlo lacerante che nei casi estremi può far pensare a Munch qui, no. Anzi: la Gvazava alleggerisce il timbro, lo rende ancora più morbido: e quello che resta non è un urlo, ma l'espressione di un dolore infinito, un dolore che mina l'anima dal profondo e che dal profondo sembra riemergere, ineluttabile, -in qualche modo- già saputo la solitudine. Violetta è rimasta sola, e ora, pronunciando (ma perchè dovrebbe gridarlo, poi?) quell'Amami, Alfredo, quelle parole di cui sente l'inutilità e l'urgenza insieme, ne prende pienamente coscienza.
Il sacrificio può dirsi pienamente compiuto più avanti, durante la festa a casa di Flora; e quando ritroveremo Violetta, nel terzo atto, vedremo come in realtà , nella sua povera soffitta, non sia più sola; ma questo è un altro discorso, al quale non è ora necessario aggiungere altro.
Sarà invece opportuno soffermarsi sulla direzione di Marco Armiliato, che alla conoscenza puntuale della partitura accompagna senso del teatro e sensibilità coloristica. I tempi tendono a essere generalmente piuttosto rapidi, ma sempre sottomessi a quelle che potremmo definire le ragioni del canto : non sono mai inerti, ma appaiono internamente mossi dal respiro musicale a disegnare un fraseggio nobilmente definito. L'esplorazione della raffinata orchestrazione verdiana è condotta alla luce di una concertazione estremamente equilibrata che porta spesso in primo piano le preziosità degli impasti timbrici e le sfumature ora sgargianti ora cupe dei singoli strumenti. E poi c'è l'attenzione al valzer.
Nel libretto, Denis Gaita firma una interessante riflessione sulla corrispondenza tra l'uso del ballabile e il riferimento al denaro, elementi che rimanderebbero alla volgarità , sociale e morale, del mondo dei nobili decaduti e dei borghesi arricchiti in cui vive e dal quale cerca di allontanarsi Violetta (Violetta, il denaro e il valzer). La tesi mi pare solo in parte condivisibile. Il valzer, infatti, rispetto agli altri ballabili, occupa per l'Ottocento una posizione ambivalente: se da un lato è indubbiamente legato alla dimensione della fisicità pura, nella sua ricerca di un contatto quasi osceno, certamente volgare, dall'altro, in virtù del medesimo contatto, dell'unione di due corpi nelle spire ipnotiche della danza, è stato visto un anelito all'infinito in cui l'elemento sensuale si fa veicolo dello Spirito assoluto (per Rèmi Hess, addirittura, non è casuale la somiglianza tra la figura disegnata dai danzatori e l'otto rovesciato ∞, simbolo matematico dell'infinito). Armiliato ne sembra essere ben consapevole, dando evidenza ai movimenti di valzer quanto agli altri elementi del linguaggio convenzionale della musica ottocentesca (come la figurazione ribattuta, alludente alla morte, chiaramente percepibile per esempio in Se una pudica vergine, nel terzo atto).
Lo spettacolo si giova della puntuale collaborazione del Coro del Teatro Regio, preparato e diretto da Bruno Casoni, e delle spiritose coreografie di Marta Ferri, che contribuiscono efficacemente a distribuire la tensione nel quadro secondo del secondo atto. Le scene e i costumi di Pierluigi Samaritani, molto suggestivi, si mantengono nel solco della tradizione fino al terzo atto, che vediamo qui ambientato non nell'ultima povera casa di Violetta, ma nella desolazione agghiacciante di un sanatorio (che, seppur di indubbio effetto, non mi pare aggiunga qualcosa all'ultima scena; anzi, mi sembra al limite fuorviante rispetto al percorso interiore della protagonista).
Al libretto ho già accennato sopra; mi limito ad aggiungere che ho trovato particolarmente meritevoli di segnalazione la bella analisi di Michele Girardi ( Elle mourut ainsi ) e gli acuti Ragionamenti sul canto di Sergio Durante.
La scheda:
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma La Dame aux camèlias di Alexandre Dumas figlio
Musica di Giuseppe Verdi
Personaggi e Interpreti:
Violetta Valèry soprano (Eteri Gvazava), Flora Bervoix, sua amica mezzosoprano (Federica Proietti), Annina, cameriera di Violetta soprano (Bernadette Lucarini), Alfredo Germont tenore (Tito Beltran), Giorgio Germont, suo padre baritono (Roberto Servile), Gastone, visconte di Letorières tenore (Davide Livermore), Il barone Douphol, protettore di Violetta baritono (Paolo Maria Orecchia), Il marchese D'Obigny, amico di Flora basso (Claudio Ottino), Il dottor Grenvil basso (Enzo Di Matteo), Giuseppe, servo di Violetta tenore (Matteo Mugavero / Giuseppe Milano (13, 15), Un domestico di Flora baritono (Marco Tognozzi / Enrico Speroni (13, 15), Un commissionario baritono (Marco Sportelli / Flavio Feltrin (13, 15), Direttore d'orchestra (Marco Armiliato), Regia (Alberto Fassini), Scene e costumi (Pierluigi Samaritani), Coreografia (Marta Ferri), Assistente alle scene e ai costumi (Alessandro Ciammarughi), Maestro del coro (Bruno Casoni), ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO REGIO, Allestimento Teatro dell'Opera di Roma.
Indirizzi web correlati:
http://www.teatroregio.torino.it
Sito del Teatro Regio di Torino
http://www.eterigvazava.com
Sito ufficiale di Eteri Gvazava
http://kwvideo.play.kataweb.it/traviata/
Sito de La Traviata à Paris, con la possibilità di assistere allo spettacolo in linea
(Luca Rossetto Casel)