Al Delle Muse un “Ballo in Maschera” affascinante


Mauro Navarri e Alberto Pellegrino

6 Gen 2004 - Commenti classica

La recensione di Mauro Navarri

Un imponente albero, al centro della scena, composto di un groviglio di persone ammucchiate fra loro. Così si apre la scena nel Ballo in maschera , andato in scena ad Ancona nell'ambito della stagione lirica del Teatro delle Muse. La regia irreale di Giancarlo Cobelli ha riprodotto sul palcoscenico tre temi a lui cari, la politica, l'onirico e l'erotismo. Come dicevo, l'albero, che si illumina lentamente, apparendo dal buio, è onnipresente sulla scena e rappresenta il contorcimento delle vicende e delle passioni umane. L'ambientazione è futuristica, con gli artisti vestiti da militari (che ricordano vagamente le squadre delle SS tedesche) o da sgualdrine anni '30. Gli ambienti sono chiusi e bui, le luci radenti, i personaggi in costante primo piano: una regia intelligente, serrata, dal forte taglio drammatico, che legge l'opera soprattutto come una storia d'oppressione e di rinuncia sentimentale imposta dalle costrizioni d'un ambiente gelido ed ostile: infatti già la prima scena, che dovrebbe rappresentare la casa di Riccardo, è composta da muri altissimi semoventi che ruotano, dando una sensazione asfittica e claustrofobica dell'ambiente. La struttura drammatica si snoda quindi come in un sogno, scandito da visioni grottesche ed infernali, diventando quasi un viaggio iniziatico di Renato e dei suoi compagni in divise proto-naziste. Le colonne di pietra si spostano, ruotando, e rivelano al proprio interno stanze di tortura, mentre il Giudice è vestito da inquisitore. Arrivano le comparse che sono vestite da pellerossa. Alla fine della scena si abbassa un sipario trasparente e due bambini passano davanti alla scena, si mettono a guardarla; poi si abbracciano e si baciano. Si passa poi alla scena II, altrettanto bella, sempre con l'albero fatto di persone al centro, e tutte ragazze creole intorno.
Nel secondo atto permane un senso d'oppressione ed angoscia: viene rappresentato uno spiazzo con una gabbia piena di schiavi, un patibolo e una forca. Sul fondo della scena, sopra la gabbia, un buco nella roccia (una cavità sul motivo del muro visto precedentemente) che sarà il punto d'ingresso per l'arrivo dei congiurati.
Per la prima scena del terzo atto, lo spettatore è proiettato all'interno di una stanza completamente nera, con, per contrasto, una scrivania, il montante di una porta e la cornice di un quadro completamente bianchi.
Infine il capolavoro, l'apoteosi dello spettacolo, il Ballo vero e proprio, veramente da antologia, eccezionale mèlange fra il Satyricon felliniano e l'Arancia meccanica di Kubrick per la forte dose di erotismo e violenza: al centro c'è sempre l'albero; i partecipanti al ballo sono truccati come marionette, e sono forzati a partecipare. I cospiratori sono vestiti d'azzurro, con gli occhiali da sole e su tutto c'è una profusione di lussuriosa frenesia.
Fra i cantanti, superlativo e nettamente superiore agli altri l'interpretazione del tenore Marco Berti nel ruolo di Riccardo, dalla voce potente, generosa, dalla pasta bellissima e dallo squillo sicuro ed impertinente; a volte eccede nei portamenti comunque, nell'interpretazione, ha un'eleganza, ironia ed indifferenza aristocratica tali, che gli permettono di rendere al meglio l'insolenza del personaggio.
Opposto a lui il baritono Stefano Antonucci, applauditissimo a Macerata in Lucia di Lammermoor e in Traviata, ma che qui è parso affaticato da un ruolo che forse non corrisponde pienamente alla sua voce: nei duetti col tenore tende difatti sempre a rimanere in secondo piano.
Tatiana Serjan, interprete di Amalia, ha acuti facili e squillanti ma affetta da un vibrato un po' eccessivo. Comunque ha reso perfettamente sia vocalmente che drammaturgicamente lo strazio di un personaggio diviso nell'amore fra il dovere ed il piacere.
Un'attenzione particolare è stata prestata da Cobelli al personaggio di Oscar, ruolo en travesti che ricorda l'omologo Cherubino mozartiano, analogamente efebico, sessualmente ambiguo, interpretato da Anna Skibinsky, vocalmente non troppo brillante, un soprano leggero dallo squillo un po' querulo e petulante, come la tradizione ci ha abituati. Ulrica è la bravissima contralto di colore Trichina Vaughn, la cui voce, timbratissima e calda nelle discese verso le zone basse del registro rendono al meglio l'elemento esotico e americano voluto da Cobelli.
In uno spettacolo in generale decisamente bello e di valore l'unica nota negativa è da ascrivere alla direzione del direttore d'orchestra, Donato Renzetti, che non ha saputo fondere alla perfezione i solisti con l'Orchestra Filarmonica Marchigiana e con i coristi del Lirico Bellini. Oltretutto alcuni insistiti abbandoni della larga frase melodica non sempre si sono tradotti esattamente in quel particolare concetto dell'enfasi che intendeva Verdi, difficilissimo a rendersi in quanto il più delle volte lo si fa sconfinare nella retorica.
Ancora un paio di considerazioni sulla messa in scena. Il Riccardo Conte di Warwick di Cobelli è visto a tutto tondo, compreso il lato oscuro del potere, quello che riempie le prigioni di condannati, in una Boston del Settecento dove la schiavitù dei neri si fa decorativismo, ora frivolo ora sensuale. Riccardo è un potente, probabilmente un tiranno, in ogni caso rappresenta ciò che per Verdi è il lato nefasto di qualsiasi potere: ogni tipo di potere, infatti, corrompe mente e cuore di chi lo detiene. I potenti verdiani non sono malvagi, ma corrotti, per sete di potere. Su questo piano politico s'innesta quello amoroso , con il triangolo che si viene a creare fra lui, Amalia e Renato. Oscar poi è l'espressione leggera, festaiola del libertinismo britannico, ma anche sosia segreto di Riccardo, il suo folletto, il suo lato leggero. Nel primo atto compare, completamente pelato, con un gilet di pelle marrone e pantaloni attillati neri, che già danno una certa impressione di ambiguità in un personaggio che volutamente non è così ben definito; nel terzo atto, addirittura, nel ballo mascherato , indossa calze di rete, reggicalze di pizzo, e un boa rosa intorno al collo.
La parte forse che convince meno è la storia nella storia: Sam e Tom, i due congiurati, rappresentano il mondo puritano della Nuova Inghilterra contrapposto alla spensieratezza britannica di Riccardo. Sono stati invece raffigurati come capi pellerossa che, insieme ai neri, si oppongono alla loro colonizzazione uccidendo lo schiavista Riccardo, che di fatto è un buono. Nel 1859 la figura del congiurato sarebbe dovuta apparire al pubblico come una figura positiva: se non altro, in riferimento ai congiurati mazziniani. Invece nel Ballo la connotazione positiva è tutta addossata all'adultero Riccardo, al quale i due congiurati si contrappongono in maniera ridicola, perdente.
Ultima nota di colore , per ogni atto si vedeva passare una fanciulla completamente nuda. Le note di sala parlano dell'anima di Amalia. Non oso contraddire, essendo quella l'intenzione del regista. Ma da spettatore, considerando che era dipinta tutta di bianco e portava una folta capigliatura rossastra, mi sono permesso di fare un parallelo con la Venere di Botticelli: solo una mia fantasia o potrebbe esserci qualcosa di fondato? In fin dei conti la dea romana era la patrona dell'amore, e nella messa in scena anconetana la figura fantasma appariva in effetti ogni volta che c'era un duetto fra Amalia e Riccardo, o quando, ad esempio, nel III atto, Riccardo pensa intensamente a lei mentre sta sottoscrivendo il lasciapassare per l'Inghilterra che consegnerà a Riccardo.
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L'approfondimento di Alberto Pellegrino

La seconda opera in cartellone rappresenta una scelta particolarmente felice, perchè si tratta di quel Ballo in maschera di Verdi, che D'Annunzio ha giudicato il più melodrammatico dei melodrammi . Straordinaria espressione del genio verdiano, l'opera riesce ad essere nello stesso tempo elegante e briosa, passionale e drammatica, cupa e violenta in quel suo aggrovigliarsi di sentimenti amorosi, di ambizioni politiche, di odi, di vendette, di presenza magico. La tradizione musicale francese è presente nella leggerezza del paggio Oscar, nei movimenti di danza, negli inni, nelle canzoni fino a quella mazurca finale che trascolora nella tragedia della morte. Passione e sensualità , dolore e languore, odio e ironia, mistero e terrore si mescolano nell'opera verdiana, su cui incombe il gioco del caso che scompone e ricompone gli eventi secondo una perfetta struttura drammaturgica, che sa costruire le dovute corrispondenze fra il primo e il terzo atto, avendo come pilastro centrale il secondo atto che si apre in un clima di magia e terrore notturno ( Ecco l'orrido campo ) e che si chiude con la scena del dileggio dei congiurati nei confronti del marito tradito e offeso da quelle risate che straziano la sua anima. La cifra ironica, che attraversa l'intera opera, è presente nella celebre barcarola di Riccardo ( Di' tu se fedele ), nel quintetto E' scherzo od è follia e in tutta la partitura del paggio Oscar. I contenuti sentimentali trovano il loro fondamento su due passioni che s'intrecciano violentemente fra loro: l'amicizia di Renato per Riccardo e l'amore di Riccardo per Amelia. L'amore si manifesta come passione impetuosa nell'uomo e come passione dolorosamente combattuta in Amelia, mentre l'amicizia nobile e generosa di Renato s'infrange di fronte all'inattesa rivelazione dell'adulterio compiuto dall'amico e si trasforma in odio per la fiducia tradita e per l'amore deluso e infangato ( Eri tu che macchiavi quell'anima ). L'ultimo tratto distintivo dell'opera è la precisa definizione del carattere dei personaggi: la frivola leggerezza di Oscar, la sanguigna e sulfurea figura della maga Ulrica ( Re dell'abisso ), l'eleganza e la passionalità di Riccardo, il sentimento struggente, ambiguo, persino patetico di Amelia, la nera gelosia e l'odio feroce di Renato, passioni che conferiscono al personaggio un eccezionale rilievo drammatico.
Il libretto è tratto dal dramma Gustave III, ou le bal masquè di Eugene Scribe, che ha arricchito con una storia d'amore l'avvenimento storico riguardante il re di Svezia Gustavo III realmente pugnalato durante un ballo in maschera. Questo lavoro teatrale era stato messo in musica da Danier Auber nel 1833, mentre In Italia aveva dato spunto a due opere: La Clemenza di Valois (1841) di Vincenzo Gabussi (libretto di Gaetano Rossi) e Il Reggente (1843) di Saverio Mercadante su libretto di Salvatore Cammarano. Verdi, dopo la grande trilogia (Trovatore, Traviata e Rigoletto) e dopo il successo dei Vespri siciliani, avverte il bisogno di percorrere nuove strade e sceglie, tra i molti presi in esame, il testo di Scribe, affidando la stesura del libretto ad Antonio Somma. Destinata al pubblico di Napoli con il titolo di Una vendetta in domino, l'opera incontra però l'opposizione della censura napoletana che non accetta il regicidio e l'adulterio, imponendo che il protagonista diventi un nobile qualunque e la moglie si trasformi in sorella. Verdi non accetta questi cambiamenti e si trasferisce a Roma, dove l'impresario Vincenzo Jacovacci ha l'idea di trasferire la vicenda dalla Svezia in America e di cambiare nome del protagonista, che non è più il re Gustavo ma Riccardo il governatore di Boston. Con il nuovo titolo Un ballo in maschera, l'opera va in scena al Teatro Apollo il 17 febbraio 1859, conquistando in breve tempo il favore del pubblico.
La vicenda dell'opera
Atto primo. Riccardo svolge a Boston le funzioni di governatore avendo al fianco come segretario il fedelissimo Renato che vive con la moglie Amelia, verso la quale il governatore nutre un contrastato sentimento amoroso. Fervono i preparativi per un ballo di gala nel palazzo del governatore e il paggio Oscar porta a Riccardo la lista degli invitati, fra i quali figura naturalmente il nome di Amelia. Da parte sua Renato avverte l'amico che si sta preparando una congiura contro di lui, ma Riccardo preferisce non conoscere i nomi dei cospiratori, sicuro di potersi affidare all'amore del popolo. Nello stesso tempo egli si rifiuta di firmare il bando di condanna della maga Ulrica, anzi manifesta il desiderio di conoscerla ed invita tutti i cortigiani presso la dimora della donna, dove si reca travestito da pescatore. Nella spelonca della maga si trova Amelia, la quale vuole conoscere il modo per liberarsi della passione che prova per Riccardo. L'uomo, nascosto nelle vicinanze, viene in questo modo a conoscenza dei sentimenti della donna amata, mentre la maga prescrive ad Amelia di raccogliere un'erba magica in un luogo sinistro fuori città . Riccardo decide di seguirla, ma prima, alla presenza dei cortigiani che lo hanno raggiunto, interroga la maga sul suo destino: la donna gli predice che egli sarà ucciso in breve tempo dalla persona che per primo gli stringerà la mano. L'arrivo di Renato, che stringe la mano all'amico, provoca il riso del governatore che scherza insieme ai cortigiani sull'assurda profezia dell'indovina.
Atto secondo. In un luogo deserto e maledetto Amelia si aggira tormentata dall'amore e dal dovere coniugale. Sopraggiunge Riccardo che convince la donna a confessare il suo amore per lui. Renato si precipita nel frattempo ad avvertire l'amico del pericolo rappresentato dai congiurati e Amelia fa appena in tempo a coprirsi il viso. Riccardo accetta di mettersi in salvo, purchè l'amico riporti in città la donna velata senza mai rivolgergli la parola. Arrivano i congiurati, guidati da Tom e Samuel, i quali costringono la donna a rivelare la propria identità , lasciando il marito sconvolto ed esposto alle feroci ironie di quegli individui senza rispetto e senza pietà .
Atto terzo. Nel suo studio Renato decide di vendicarsi dell'amico di un tempo ed annuncia alla moglie il suo proposito di sopprimerla dopo un ultimo colloquio con il figlio. In realtà l'uomo vuole uccidere solo Riccardo e si accorda con Tom e Samuel per estrarre a sorte il nome dell'esecutore materiale dell'omicidio. In modo impietoso Amelia viene incaricata dell'estrazione: dovrà essere proprio Renato ad eliminare il governatore e l'occasione sarà il prossimo ballo in maschera. Riccardo, che ha deciso di rinunciare al suo amore impossibile, sta firmando l'ordine di rimpatrio per Amelia e Renato, quando entra Oscar per consegnargli un foglio inviato da una sconosciuta, nel quale si scongiura l'uomo a non andare alla festa se vuole salvare la propria vita, ma il governatore è deciso a non tenere conto dell'avvertimento. Nel salone delle feste Renato riesce a farsi dire da Oscar sotto quale maschera si nasconde il governatore e, mentre questi dà l'ultimo addio ad Amelia, lo trafigge con il pugnale. Prima di morire Riccardo riesce a dare una spiegazione dei fatti, discolpando Amelia e perdonando il suo uccisore.
(Mauro Navarri e Alberto Pellegrino)


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