Serata emozionante con “Il trovatore” al Teatro della Fortuna di Fano


di Roberta Rocchetti

17 Ott 2018 - Commenti classica, Musica classica

Ascoltare e vedere il Trovatore nel pieno dell’autunno, stagione che gli si confà come un guanto, è come mettere una succulenta ciliegina su una torta già di per sé più che invitante, ma certo non è per questo che “Il Trovatore” andato in scena sabato 13 ottobre al Teatro della Fortuna di Fano l’abbiamo apprezzato così tanto.
Il merito di tale apprezzamento va tutto a chi con ottimo lavoro di sinergia ha saputo rendere la serata emozionante e saputo onorare una delle opere più belle di tutti i tempi.
La storia del trovatore Manrico, rapito da bambino per essere oggetto di una vendetta che si compirà nei tempi e nei modi più orrendi. Allevato dalla sua rapitrice, una zingara che finirà per amarlo quanto e più del suo vero figlio che per un terribile errore ha gettato nel fuoco della pira nella quale arse la propria madre messa al rogo dal signore locale, che era in realtà il padre di Manrico e fratello del Conte di Luna, colui che lo manderà al patibolo. In tutto questo si incastra il tragico amore di Leonora che ama Manrico ma che è purtroppo amata anche da suo fratello, sacrificherà la sua vita per salvare il trovatore, purtroppo invano.
Il sipario si è aperto sulla scenografia di Giada Abiendi, essenziale ma significativa, una pagina di giornale dal nome di fantasia a rappresentare le pubblicazioni clandestine della resistenza, dove molte righe apparivano cancellate dalla censura di un regime sempre presente ed incombente, e che ci ha fatto immediatamente tornare alla mente le opere di Anna Rosa Faina Gavazzi.
L’ambientazione trasposta durante il ventennio è risultata centrata e pertinente, le analogie tra la storia del trovatore del ‘400 e la tragedia del ‘900 sono state rimarcate da proiezioni sul fondale che alludevano proprio all’inesorabile destino della storia di ripetersi nei secoli, creando nello spettatore una immedesimazione ed una empatia con i personaggi sicuramente maggiore di una storia ambientata in un evanescente 1400, in quanto  più vicina a vicissitudini che fanno parte di ferite ancora aperte e le cui tematiche sono attuali ora più che mai. I costumi di Elena Cicorella e la regia di Valentina Carrasco che ha gestito in maniera mai casuale anche le luci hanno reso il tutto molto coinvolgente, creando una tensione emotiva costante dall’inizio alla fine dell’opera.
Per quello che riguarda le voci abbiamo ascoltato un Trovatore forse per certi versi inusuale ma mai inefficace, partendo dalla prestazione del ruolo che dà il titolo all’opera, quel Manrico, il trovatore interpretato da Ivan Defabiani. Senza quel piglio eroico al quale siamo abituati, un Manrico quasi intimista che a volte si fa fatica ad accettare, ma che nel contesto della trasposizione ci porta a pensare che gli eroi della resistenza furono effettivamente eroi loro malgrado, costretti ad una guerra non voluta e per la quale non erano nati e tagliati, spaventati ma divenuti forti per forza, così come è apparso questo Manrico. Vocalmente più a suo agio nelle note acute che non nel registro centrale il canto ha perso a volte un po’ personalità e partecipazione, paradossalmente risultando più incisivo nelle parti intermedie che non nelle arie che Verdi ha destinato a questo ruolo, ottimo nel duetto finale “Madre, non dormi?”, nel quale di contro, altri interpreti arrivano un po’ demotivati e stanchi.
Marta Torbidoni, nel ruolo di Leonora è stata come sempre vocalmente ineccepibile, voce che “corre” tutta sostenuta sul fiato senza mai urlare o forzare e che ha preso corposità mano a mano che l’opera proseguiva in un crescendo che l’ha portata al trionfo di un “D’amor sull’ali rosee” emozionante, commovente e convincente.
Simone Alberghini ha portato sul palcoscenico un Conte di Luna molto interessante e sfaccettato grazie anche alla sinergia con la regia. Dall’archetipo piatto del cattivo senza se e senza ma si è passati ad una figura crudele ma debole, spaventata e vigliacca, arrogante ma ingenua. Anche vocalmente è sembrata quasi più una figura rossiniana che non verdiana, modulata, poco stentorea, introspettiva e tormentata, ma per questo più umana, e quando la crudeltà appare umana tocca di più chi la osserva, perché fa paura.
La grande sorpresa di questa serata è stata secondo il nostro parere (ma non solo il nostro stando alle ovazioni finali) il mezzosoprano Silvia Beltrami, che ha dato vita ad un’Azucena spettacolare, perfetta sotto il profilo vocale dove in ogni gamma del proprio registro ha brillato senza perdere mai smalto, volume e fluidità ed ha, anche sotto il profilo recitativo, calibrato e centrato perfettamente il personaggio, senza stanche gestualità di routine, ma senza neanche sforare nel caricaturale, cogliendo perfettamente la fondamentale importanza che la recitazione ha anche nel teatro musicale. Silvia ha portato lo spettatore nel dramma e nella duplice natura di questa madre che è quella che ha sofferto più a lungo, ma alla fine anche quella a cui si deve gran parte dell’infinita sequenza di morti innocenti.
In definitiva potremmo dire che questo Trovatore ha avuto il grande merito di mettere in scena l’umanità, di cui ogni singolo soggetto ha, in percentuali variabili al suo interno, caratteristiche diverse e contraddittorie.
Buoni il Ferrando imponente fisicamente e vocalmente di Carlo Malinverno e la dolce Ines di Susanna Wolff, nonché il vecchio zingaro di Davide Filipponi e il Ruiz di Alexander Vorona che ha dato corpo anche al messo.
Un rilievo particolare vorremmo darlo alla stupenda direzione di Sebastiano Rolli che ci ha davvero deliziato, dirigendo l’Orchestra Filarmonica Marchigiana ha creato un suono pulito, omogeneo, potente ma mai fracassone e sinuoso e struggente nei passaggi più intimi come poche volte è dato ascoltare, ovazioni finali meritatissime anche per lui.
Il Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, guidato dal Maestro Giovanni Farina è stato un’altra gemma di questa serata riuscitissima, affiatato, preciso, e molto perfezionato anche sul piano recitativo.
In un teatro abbastanza pieno ma che meritava senz’altro il sold out, un pubblico in parte tradizionalista e quindi inizialmente titubante rispetto alla scelta di ambientare l’azione nel secolo scorso, si è ricreduto ampiamente tributando a tutti un caloroso e lungo applauso finale.
Per questo vorremmo dire: andate a teatro, senza pregiudizi e preconcetti, abbiamo giovani di valore, abbiate fiducia, date loro fiducia.

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